13.4 Il filo rosso

Tre mesi prima, ultime settimane di marzo
Milano

Alzo gli occhi, posandoli sul grande satellite bianco che riesco a intravedere oltre la coltre di lacrime che mi offusca la vista; le pongo silenziose domande, alla disperata ricerca di risposte.
Non potevi lasciarla al mio fianco ancora per un po'?
Vorrei poterlo gridare, ma il dolore che mi attanaglia il petto annulla ogni mia volontà; il corpo trema sotto il vento freddo di questa serata di inizio primavera, ma l'unica cos che faccio è stringermi di più nelle braccia, tentando anche di trattenere a me tutti i pezzi del mio cuore distrutto.
Non odo rumori prima di sentire delle braccia avvolgermi, ma sono così stanca e provata che il mio intero corpo non sobbalza neanche per lo spavento, così come non riesce a fare neanche il mio cuore; anche se ci pensa un profumo molto conosciuto a rallentare i miei tremori. E rimaniamo così, in silenzio e davanti alla porta dell'ospedale per un tempo indefinito, finché Christian non scioglie le nostre posizioni e, con molta delicatezza, mi accompagna lontana da qui.

Quando la luce del sole brucia insistentemente le mie palpebre, fatico ad aprire gli occhi a causa di tutte le lacrime versate fino a ora.
Un tenero e cauto buongiorno arriva alle mie orecchie arriva alle mie orecchie in un soffio e, quando mi alzo per associare un volto a quella voce, vedo la mia migliore amica osservarmi dalla soglia della porta: il suo solito sorriso contagioso, e coraggioso, oggi è sostituito da una smorfia triste. Si fionda ad abbracciarmi, senza darmi il tempo di rendermi davvero conto di non star vivendo un incubo, inciampando in coperte e cuscini vari e, quando riesce ad avvolgere il mio corpo con le sue braccia, sfugge a entrambe un singulto.
"Christian me lo ha detto solo questa mattina, altrimenti sarei corsa molto prima da te."
Vorrei risponderle, dirle di conoscere la profonda verità delle sue parole e che la mamma sarebbe stata contenta di avere entrambe le sue figlie al fianco, soprattutto nei suoi ultimi istanti di vita, ma riesco solo a riprendere a singhiozzare e ad ancorarmi alle spalle della ragazza, che considero da sempre una sorella, per sfogare il mio dolore.
Ci manchi, mamma.

È passata una settimana da quella notte, ma ancora il cuore non vuole saperne di cicatrizzarsi, nonostante tutte le premure dell'uomo che mi sta tenendo per mano. Lui mi bacia il palmo, dopo esserselo portato alle labbra e mi regala uno sguardo carico di così tante emozioni che non riesco a decifrarlo.
"Ti amo." Me lo dice solamente con la mimica della bocca e io cerco di fargli capire che lo ricambio, sforzandomi di intensificare la stretta tra le nostre mani.
Davanti a me, oltre la bara pronta per essere seppellita, Emma è rigida in mezzo ai suoi fratelli e riesce a lanciarmi un'occhiata addolorata, prima di voltarsi verso Luca, il maggiore dei suoi fratelli, e abbassare il capo, in un chiaro segno di sottomissione. È una scena che riesce a distruggere gli ultimi brandelli del mio cuore già martoriato e sapere di non poter fare nulla per aiutarla a distruggere quel rapporto malsano aiuta solo a distribuire per il prato di questo cimitero le ceneri del mio cuore.

"C'è una cosa che la dolce e solare Giovanna ha insistito per farmi dire in questo triste giorno."
Alzo in fretta il capo, abbassato dopo l'inizio della celebrazione, puntando i miei occhi in quelli del parroco: sono sicura che riesce a vedere con estrema chiarezza il barlume di sorpresa che mi ha animata. Anche se è stato per un solo secondo.
"Sì, cara Maya. Tua madre sapeva che questo giorno sarebbe giunto molto presto e ha voluto lasciare un messaggio alle persone care che avrebbe lasciato indietro."
Lui estrae una busta dal libro che tiene tra le mani e la apre, per poi spiegare il foglio sui testi sacri e schiarirsi la voce.
"Alle mie due figlie," i miei occhi corrono ancora a cercare quelli di Emma e, una volta incrociati, torniamo a sentirci ancora quelle due bambine che si sedevano in fronte a lei per ascoltare delle storie o due adolescenti che aspettavano una ramanzina dopo aver combinato un disastro, ma che trovavano solo due braccia spalancate che erano sempre pronte a coccolarle.
"So bene quando voi due sentirete la mia mancanza e quanto i vostri cuori soffriranno per la mia perdita, ma spero che questo dolore possa essere la carica per prendere in mano la vostra vita prima che sia troppo tardi."
Passano pochi secondi, secondi che trascorro a immaginare la sua voce mentre ci dice queste parole davanti a una tazza di cioccolata calda e i suoi occhi che si spostano quasi impercettibilmente sul viso della mia migliore amica. Alzo una mano per asciugarmi le lacrime che hanno ripreso a scorrermi sulle guance e, subito dopo, abbasso lo sguardo, convinta che il messaggio sia finito; anche se torno a osservare Don Antonio quando riprende a parlare.
"E, per cortesia, Maya! Sbrigati a sposare Christian e a renderlo un uomo sul quale nessun'altra donna possa mettere le mani!"
Il parroco si schiarisce la voce, forse per togliersi dall'imbarazzo, nello stesso istante in cui a me scappa una risata malinconica e la mano del mio fidanzato si intreccia alla mia.
Lo so benissimo, mamma, quanto tu ti senta fiera di te.
Ricambio la stretta e mi volto verso di lui, per regalargli un sorriso triste che vuole dimostrargli tutto l'amore che rovo nei suoi confronti. Osservo poi il suo sorriso: un incrocio tra il divertito e il malinconico e capisco che mia mamma, come sempre, ha ragione. Non riesco a immaginare la mia vita senza di lui al mio fianco.
Mi sono sempre reputata una donna forte, una che non ha bisogno di un uomo al proprio fianco per poter vivere ed essere felice; eppure, ora, con le sue dita intrecciate alle mie e la sua forza a farmi da sostegno in questo momento così difficile, sono pronta a mettere in dubbio tutte le mie certezze.

Emma mi fa un veloce cenno di saluto, senza avvicinarsi per colpa di quel che Luca e Giacomo, i suoi fratelli, le vietano di fare e alzo la mano sinistra per ricambiare. Il bagliore della Luna che si scontra con la pietra azzurra che mi adorna l'indice, però, mi distrae anche dalle persone che vengono a regalarmi le loro inutili condoglianze.
Alzo gli occhi su quel satellite bianco e mi sembra di vederci dentro il sorriso caloroso di mia mamma, come se volesse dirmi di non far attendere il futuro.
L'ultima cosa a cui penso, prima di abbassare gli occhi su ciò che mi circonda e dar retta alle persone che mi circondano è il motto di mia mamma: «il futuro non deve mai attendere, anche se si fa rincorrere per anni prima di farsi raggiungere. Prendi il fucile che tengo dietro il frigorifero, azzoppalo e fallo tuo.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top