13.2 Il filo rosso
Due anni prima, 07 dicembre
Milano
Volteggio nel piccolo spazio che separa il mio letto dall'armadio, tirando fuori i vestiti più disparati per poggiarli sul mio corpo e osservare come mi possano stare e poi li lancio scompostamente sulla pila di abiti che si è creata sul materasso.
Sbuffo, senza perdermi d'animo, quando noto che l'unica cosa rimasta all'interno del guardaroba è un giubbotto di pelle rosa fosforescente, comprato anni fa per una festa di compleanno di Emma. Mi siedo sul letto, con un sorriso flebile e la sconfitta di dover indossare qualcosa di non adatto per l'occasione inizia a strisciare sotto pelle, rubandomi tutta la felicità del momento.
Già mi vedo a varcare le porte del famoso e rinomato teatro alla Scala con il giubbotto di pelle ancora sulla gruccia dell'armadio, mentre tutti gli occhi si posano su di me e le risate degli ospiti più influenti del Paese che si sbeffeggiano di me.
Mi butto all'indietro,facendo volare in aria tutti gli abiti che si trovavano sparsi attorno a me e poi il buio, creato dai tessuti sovrapposti sulla mia faccia, diventa la mia unica via di fuga per una realtà troppo diversa da quella che mi ero immaginata.
Sento delle urla provenire dal salotto, segno che mia madre stia cercando di comunicarmi qualcosa e, subito dopo, la porta della mia camera si spalanca e la voce squillante della mia migliore amica, Emma, annuncia il suo arrivo.
«Indovina chi è stato scelto per organizzare la sfilata di quest'anno?»
Sbuffo ancora per la mia situazione drammatica, ma mi metto a sedere per sorriderle, felice dei risultati che sta ottenendo all'Istituto Marangoni, dove studia per diventare una famosa stilista. Il suo sorriso, però, si perde quando nota il disordine nella mia stanza e vede le condizioni in cui verso.
«Non dirmi che non hai trovato nulla da indossare per questa sera!»
Le labbra vengono tirate verso il basso dalla forza di gravità, così come i miei occhi e li punto sulle mie ginocchia, negando con la testa subito dopo; la piccola e calda mano di Emma si posa su una mia spalla e si muove in maniera circolare, mostrandomi il suo sostegno e il suo volermi bene, nonostante tutto e tutti.
A volte, anche nonostante me.
Un suo sospiro mi fa alzare gli occhi ancora su di lei e la vedo annuire da sola, come per prendersi a forza un permesso che dovrebbe darle qualcun altro e la speranza torna a far galoppare il mio cuore.
«Prova a rovinarmi il vestito e tu sei una donna morta.»
È l'unica frase che riesce a dire prima che io le salti al collo per ringraziarla della possibilità che mi sta dando.
L'abito sembra fatto su misura per me, ma questo solo perché io ed Emma abbiamo pressoché le stesse misure, anche se gli sguardi delle persone in metropolitana mi rende nervosa all'ennesima potenza.
In effetti, non è una cosa usuale trovare una ragazza con un lungo abito rosso elegante, una finta pelliccia bianca sulle spalle e un trucco quasi esagerato a coprirle il volto; allo stesso tempo, però, non è da tutti i giorni riuscire a comprare un biglietto per la prima al Teatro alla Scala di Milano senza essere un personaggio famoso. Mando l'ennesimo messaggio a Emma per ringraziarla del prestito dell'ultimo momento e per cercare di distrarmi dagli sguardi sempre più pressanti sulla mia figura.
L'icona del noto social network capeggia sotto i miei occhi e, per un solo momento, immagino di postare quella foto fattami dalla mia migliore amica prima di uscire da casa sua, poi scuoto la testa e torno nel mondo reale.
Non potrei mai diventare famosa per una sera in cui un mio sogno si è avverato.
Scendo alla fermata corretta e salgo le scale, sentendo l'aria fredda della sera di fine autunno danzare in mezzo ai miei capelli lasciati sciolti in morbide onde alle mie spalle e mi fermo al centro di Piazza Duomo. Osservo come si erge quel monumento conosciuto in tutto il mondo con la luna che splende tonda e intera dietro di lui e la Madonnina d'oro che riflette la luce pallida; le impalcature, seppur siano sempre presenti attorno alle mura della chiesa, non la rendono meno attraente ai miei occhi che fissano la costruzione con meraviglia come se fosse la prima volta.
Dopo aver preso un bel respiro e scattato una foto al panorama che mi si staglia davanti, volto le spalle al Duomo ed entro in Galleria.
Le luci gialle, artificiali, rendono netta la divisione tra la natura e l'artificiosità delle invenzioni umani, anche se continuo a percorrere il pavimento sotto gli sguardi delle persone; ora non mi guardano più come se fossi una pazza appena sfuggita da un manicomio, ma paiono osservarmi con ammirazione, con invidia. Quasi come se si stessero chiedendo chi io sia; come se io fossi famosa.
I capelli ramati sembrano quasi un velo, che si allunga e si sposta a piacimento del vento e per colpa della velocità dei miei tacchi bianchi che ticchettano sul pavimento decorato nei minimi particolari.
Le luci artificiali terminano e il pavimento liscio e colorato lascia spazio alle piccole pietre grigie che compongono la Piazza della Scala e mi chiedo come facciano tutte le altre donne a camminare con tacchi vertiginosi come se avessero delle semplici e comode scarpe da tennis ai piedi nonostante la scomodità del terreno. Levo le scarpe, sperando che nessuno faccia caso a me e le indosso di nuovo una volta giunta in prossimità della strada; prendo il cellulare dalla borsa ed entro sul biglietto elettronico che mi è stato inviato quando ho speso la quasi totalità dei miei risparmi per poter partecipare a questa serata e lo mostro ai giovani ben vestiti che accolgono gli ospiti con un sorriso, per dirigerli ai loro posti.
Il sorriso è contagioso.
È quel che penso, quando mi ritrovo a sorridere dopo che il ragazzo in smoking mi ha mostrato la direzione da intraprendere con spiegazioni dettagliate; la felicità aumenta a dismisura quando davanti a me si stagliano le scale da percorrere per arrivare al palco da me prenotato. La ragazza, con un'elegante divisa molto simile a uno smoking, mi apre la porta per farmi entrare e la richiude dietro di me.
Gli occhi mi luccicano e corro subito al parapetto per poter osservare al meglio il paradiso che i miei occhi stanno osservando; tiro fuori il cellulare e scatto più fotografie possibili per documentare questa serata al meglio e per ricordare ogni dettaglio.
Una risata, leggera e maschile, rischia di farmi perdere il telefono e di farlo cadere in testa a qualche illustre ospite per colpa dello spavento che mi ha provocato, ma lo recupero in tempo e lo nascondo al sicuro nella mia borsetta. Poi, mi volto verso il nuovo venuto e mi sembra di riuscire a sentire il completo blocco di ogni mia cellula neuronale alla visione del ragazzo che ho davanti.
Come se io non fossi più padrona del mio corpo, lo vedo avvicinarsi a me con cautela e muovere le labbra sensuali in una danza che vorrei condividere con lui e poi agitare una mano davanti ai miei occhi.
«Ho paura di averti causato un ictus, non è che potresti rispondermi?»
Batto le palpebre e, finalmente, riesco a sentire la saliva che si è all'interno della bocca e a capire il senso delle sue parole; scuoto la testa senza dire niente.
Non saprei neanche che cosa rispondergli.
Vado a sedermi e fisso gli occhi sul panorama che mi offre questo posto: osservo le tende rosse che coprono il palcoscenico, le rifiniture rosse e oro che decorano l'intera struttura e le persone eleganti sedute o che parlano in piedi con amici e parenti; poco dopo, la sedia al mio fianco si sposta e il ragazzo si siede al mio fianco. Lo osservo con la coda dell'occhio, non perdendomi neanche il più impercettibile movimento di quei capelli castani che gli ricadono sugli occhi in maniera disordinata.
«Prima volta qui?»
Sobbalzo di nuovo al suono inaspettato della sua voce e mi volto verso di lui; non immagino quanto siano sgranati i miei occhi, mentre si posano sui suoi marroni come i miei. Sorride semplicemente, mentre attende una mia risposta e il silenzio tra di noi riempie l'intero palco.
Sbatto le palpebre e puoi scuoto la testa, tornando a osservare il palcoscenico di fronte a me.
«No, frequento teatri da quando ero una bambina, ma è la prima volta che riesco a partecipare alla Prima.» Mi mordo le labbra, indecisa se rivelare ancora di più della matassa di emozioni e pensieri che si rincorrono sempre e senza tregua dentro di me e rilascio un sospiro.
«Mio padre è stato un grande ballerino, in questo teatro, poi ha insegnato e diretto la parte ballata di molti spettacoli; mi ci portava ogni volta e io sedevo sempre in quel punto lì, assieme a mia madre. Lui alzava gli occhi verso di noi ogni volta che il suo spettacolo prima che cominciasse e ci sorrideva, poi iniziava la magia e i miei occhi non riuscivano mai a lasciare quel palcoscenico che sembrava brillare di luce propria, come se fosse il paradiso.»
Le persone, sotto di noi, iniziano a chiudere le conversazioni e prendere posto perché l'orario dello spettacolo sta per scoccare e il silenzio tra di noi sembra farsi più leggero, l'atmosfera si trasforma in qualcosa di diverso e, in questo preciso momento, so con certezza che posso fidarmi di questo stupendo sconosciuto.
«Ho sempre sognato di vivere una Prima qui, con mio papà, ma in questo periodo lui ha sempre lavorato e, ogni anno, dovevamo rimandare; alla fine lui è morto prima che il nostro potesse realizzarsi.»
Mi stringo nelle spalle, voltando il volto verso la parte opposta di quel viso angelico e lascio che una lacrima solitaria sporchi il trucco che Emma ha spalmato sul mio viso.
Le luci calano quel tanto che basta per permettere a tutti gli spettatori di avere occhi sui tendoni rossi che si stanno aprendo e la sceneggiatura della Tosca compare sotto i miei occhi lucidi per l'emozione.
Accarezzo il balcone del palco con la mano che trema e, per un solo attimo, mi è sembrato di avvertire il calore familiare della grande mano di papà sulla mia; la canzone comincia e mi rendo conto che la mia è stata solo una fantasia, così riporto gli occhi sugli attori e mi godo lo spettacolo.
Le luci dell'edificio sono ancora accese e spiccano contro il cielo scuro, illuminato solo dalla luna piena che risplende ancora di più di quando sono uscita di casa.
Raggiungo la Piazza della Scala e mi abbasso per togliermi le scarpe, come ho fatto ore fa, ma una chioma scura interrompe la mia discesa. Il vestito mi viene alzato impercettibilmente, così come il piede destro; la calzatura bianca è sfilata e poggiata al fianco dei pantaloni scuri indossati dallo sconosciuto.
«Ti hanno mai detto che una damigella ha sempre bisogno di un cavaliere che l'aiuti anche nelle faccende più banali?»
Resto spiazzata, per l'ennesima volta, nel sentire quel suo irresistibile e inconfondibile accento straniero e la sua voce sensuale; i suoi occhi incontrano i miei e il suo sorriso spezza ogni mia barriera, poi torna ad abbassare il viso per concentrarsi nel togliermi anche l'altra scarpa. Una volta finito, prende le mie calzature in mano e si affianca a me, porgendomi il braccio libero come farebbe un vero gentiluomo.
«Dove posso accompagnarla, madamigella dal sogno che brilla?»
Mi mordo il labbro inferiore, indecisa se accettare o meno il suo invito, ma mi dico che un aiuto a camminare su quei trampoli è sempre utile, così incrocio il mio braccio al suo.
«Ovunque i suoi sogni ci condurranno, mio cavaliere.»
I nostri sorrisi si incrociano e la luna sembra benedire il nostro incontro con la sua luce splendente.
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