12.2 Una sposa per il Dio Luna

Osservo il volto del ragazzo che amo e gli sorrido, il tutto mentre lui ricambia il mio sguardo e gioca con una ciocca dei miei capelli marroni ramati.
«Mi piacerebbe tanto chiederti di diventare mia moglie.»
I suoi occhi ora sono tristi, consapevoli del destino che attende le donne di questa città e io tiro un pugno contro la sabbia sotto di noi: è ingiusta questa vita.
È già tanto, però, che io e Paolo siamo riusciti a non far scoprire la nostra relazione.
«Abbiamo trascorso degli splendidi anni insieme.»
Mormoro, sentendo le sue dita farsi più presenti e pesanti tra le mie ciocche soffici; sappiamo che, presto o tardi, un emissario degli Dei tornerà qui per pretendere una donna e io non posso permettermi storie amorose o qualcosa di più finché non sarò fuori dal range dell'età richiesta.
E, purtroppo, questo non accadrà prima di dieci anni.
«Possiamo ancora sperare.»
Quello del mio amato Paolo è solo un sussurro, coperto dagli altoparlanti installati in tutta la città che annunciano che tutte le donne in età da marito dovranno raggiungere il sindaco nella piazza principale.
Le ultime parole famose.

Io e Paolo ci dividiamo subito in spiaggia; abbiamo rischiato tanto questa volta a rimanere da soli e così vicini in un luogo pubblico il trenta maggio, ma era il nostro decimo anniversario e speravamo di poterlo festeggiare fingendo di essere una coppia normale di una qualunque altra città.
Se solo ci fosse possibile scappare da questo posto infernale, lo avremmo già fatto da tempo.

Seguo la fila di ragazze e adulte che si è creata; una fiumana di femmine che schiamazza, alcune sono eccitate all'idea, altre hanno solo paura e, altre ancora, vogliono fare quel che è giusto per la città e per il mondo.
Le pazze esaltate, come le chiamo io.
Mi si affianca mia zia, l'ultima delle cinque sorelle di mia mamma, che mi accarezza una spalla per consolarmi; cerca anche di farmi ridere con una battuta sulla sua età e dandosi della vecchia anche se ha solo nove anni in più di me.
«Questa è la tua ultima chiamata, dal prossimo anno potresti anche essere sul punto di sposarti con l'uomo che sceglierai tu.»
Lei sospira a causa del mio tono esasperato e mi prende la mano per farmi sentire che non sono sola.

Ci disponiamo in file, divise per età - come se fossimo animali da macello - e attendiamo che degli esperti passino tra di noi per scrivere le loro impressioni e su chi far passare alla fase successiva.
Le altre volte mi è andata bene e non sono mai stata tra quelle che passarono alla competizione vera e propria. Tengo le dita incrociate per far sì che sia la stessa cosa anche quest'anno.
Li sento mormorare e mugugnare, mentre io mi volto verso mia zia per richiederle un sorriso di incoraggiamento; anche se ho più bisogno di fortuna.

Rimaniamo così a lungo, tanto a lungo che iniziano a tremarmi le ginocchia per la voglia di poterle muovere, sgranchirle o metterle a riposo e, quando la mia buona volontà sta per cedere, il sindaco fa la sua comparsa con la stessa faccia di uno che si è appena fatto di crack e ci accoglie tutte con un sorriso che pare andargli da un orecchio all'altro - quasi letteralmente.
«Carissime concittadine!»
Trattengo una risata, sentendo anche la sua voce esaltata come ogni volta che c'è la selezione delle partecipanti e non ascolto neanche il resto del suo discorso: l'ho già sentito fin troppe volte per i miei gusti.

«E ora i nomi delle fortunate che potranno ambire a diventare l'amata moglie del Dio Luna.»
Una smorfia sfugge al controllo delle mie emozioni e si palesa sul mio viso, ma la elimino subito - sperando che nessuno mi abbia notata - e presto attenzione all'identità delle ragazze che dovranno cambiare la propria vita per qualcosa - o meglio, qualcuno - che pretende senza mai dare veramente qualcosa a tutti noi.
«Aurora Briano.»
Il mio nome.
La mia condanna.

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