10.1 In my blood
Quella notte, rientrai in casa cercando di fare il minor rumore possibile, per non svegliare i miei genitori o peggio, il nonno che credeva ancora di essere nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale. Mi avrebbe sparato con il suo cuscino credendo di avere in mano il fucile di precisione con il quale ha prestato servizio.
Aprì la porta della mia camera, convinta di aver superato la mia missione con successo, quando la luce della mia stanza si accese di colpo rivelando la presenza di papà Jaques e mamma Antoinette seduti sul mio letto.
Sbuffai, colta in flagrante dalla mia famiglia e perfettamente conscia di dover subire l'ennesima delle loro paternali sulla mia vita.
«Ti sembra questa l'ora di rientrare?»
«Domani hai la scuola!»
E queste furono le loro prime parole verso la sottoscritta, una volta che chiusi la porta dietro di me per poter lasciar riposare il nonno e non fare troppo rumore nei confronti dei vicini impiccioni che, ogni mattina, si permettevano di lanciarmi occhiate di rimprovero e derisione. Il tutto mentre la loro "perfetta" figlia Marguerite dava loro il bacio dell'arrivederci prima di uscire di casa e prendere l'autobus assieme a me.
Sbuffai per la seconda volta in pochi minuti, alzando gli occhi al cielo; ero stanca dei loro continui rimproveri sulle mie scelte di vita e i loro divieti su ogni cosa che mi divertiva.
«Sei conscia di aver esagerato questa volta?»
Lasciai cadere il mio zaino, incurante del fatto che avesse potuto far uscire la bustina di preservativi avanzati dalla nottata e che loro avessero potuti vederli, così come non mi preoccupai del fatto che potessero vedere l'enorme mazzetta di soldi che li accompagnava. Mi iniziai a spogliare, non interessata al fatto di non essere sola in casa, ma sentì subito l'ennesimo rimprovero di mio padre, che mi impediva di cambiarmi quando lui era in camera e, così, sbuffai.
«Non potresti smetterla di fare così? Abbiamo capito che questa è solo la tua fase ribelle che cerca di mettersi in mostra, ma così non aiuti nessuno.»
Mi sfuggì una risata amara, che non volevo trattenere e avvertì ancora di più i loro sguardi fiammeggianti su di me: per un solo attimo, avevo sperato che evitassero di tirare di nuovo fuori l'argomento del prestigio sociale.
«Non preoccupatevi, leverò le tende da questa casa il prima possibile e, giusto per aiutarvi maggiormente, cambierò anche cognome, così non dovrete più avere paura che la vostra primogenita faccia qualche cosa che possa rovinare il vostro buon nome.»
Spalancarono le bocche, fingendo una sorpresa che non gli apparteneva e, quando capirono che con me non attaccava, misero su uno sguardo arrabbiato e mi puntarono i loro indici contro.
«Vedi di non fare promesse a vuoto che noi siamo stufi di te quanto tu lo sei di noi.»
Al suono di queste parole, avvertì lo stesso dolore che provai la prima volta che mi venne rivolta questa frase, ma con una veloce alzata di spalle, cacciai il mio malessere e loro. Anche se non sembravano avere l'intenzione di abbandonare la mio stanza.
«Bene, ora che abbiamo parlato, potete lasciarmi da sola o avete ancora da rimproverarmi?»
Si guardarono, chiedendosi con gli occhi se con me avevano finito e poi, senza ulteriori parole nei miei confronti, uscirono dalla mia camera, così che io potessi spogliarmi senza che qualcuno me lo vietasse e mi infilai sotto le coperte così com'ero. Nuda come quando sono nata.
---
Chiusi la porta alle mie spalle, facendo sobbalzare la persona che era all'interno e, sensualmente, mi avvicinai alle sue spalle.
«Ci siamo proprio divertiti ieri sera, eh?»
L'uomo si voltò, fissando i suoi occhi scuri su di me e il suo sorriso da marpione incontrò il mio.
«Odile,» il mio nome, sussurrato da lui, era così erotico da farmi mordere il labbro inferiore per evitare di saltargli addosso nell'immediato. «Sai che siamo a scuola, vero? Non potresti neanche starmi così vicina, per cominciare.»
Ridacchiai, sentendo le sue parole, mentre infilavo le mani sotto il suo maglione leggero per tastare la sua morbida pancetta e infilarle sotto la cintura dei jeans. Lui cercò di spostarsi, ma quando sentì i miei ricordi condivisi con lui nei bagni o durante le ore buca, si lasciò facilmente andare sotto il mio tocco esperto.
«Lo sai che non ho più soldi per te.»
Lo sussurrò, ma io non smisi di muovere le mie mani, neanche quando lui andò a tastare sotto la mia gonna e scoprì che non indossavo l'intimo.
«E tu sai che non mi devi pagare.»
Lo sentì borbottare qualcosa sul fatto che fosse perché così non ero costretta a studiare per superare la sua materia e, in parte era anche vero, ma rimasi in silenzio per il piacere che mi stava procurando.
«Non abbiamo molto tempo, quindi sbrigati a venire.»
Borbottò ancora al suono delle mie parole, ma mise più impegno in quello che faceva a me, tanto che, inaspettatamente, lasciai uscire un grido di piacere che fu sentito anche oltre la porta.
«Che succede?»
La domanda della preside, una volta aperta la porta, sorprese il professore, ma io non gli lasciai andare il membro dalle mani, finché entrambi non venimmo, anche se lui fu un po' restio a continuare il lavoro su di me inizialmente.
Quel che successe dopo, fu un'espulsione per me e il licenziamento per Paul, il mio professore di Letteratura e, dulcis in fundo, i miei genitori furono chiamati per essere aggiornati sulla situazione.
La litigata che ne seguì, sia nell'ufficio della preside che una volta giunti a casa, fu tremenda; talmente tremenda che scoppiò il water del mio bagno privato. A quanto pare, troppe grida non fanno male solo al corpo umano.
Fummo interrotti, però, dal campanello e dalla domestica che annunciò un ospite per me e la mia famiglia.
«Buongiorno, signori Moreau e signorina Moreau, sono qui per conto del preside dell'International Business school of Marseille.»
La mia famiglia offrì del tè e dei biscotti a quello sconosciuto che si credeva chissà chi solo perché fa parte di una scuola internazionale abbastanza famosa anche qui nella capitale e discutevano seduti sulle poltrone dello studio privato di mio padre, mentre io ero costretta a rimanere in piedi dietro ai miei genitori. In silenzio, cosa che io odiavo.
«Ogni anno, vengono sottoposti ai candidati dell'età di vostra figlia dei test in incognito, cosicché non si entri in una competizione che potrebbe compromettere i risultati e la signorina Odile Moreau è risultata una delle candidate più promettenti per la nostra scuola.»
Smisi di ascoltarli, valutando i pro e i contro di quel trasferimento; certo, avrei perduto i miei clienti, ma non mi ci sarebbe voluto farmene altri e farmi espellere anche da quella scuola quando mi fossi stufata.
Sentì mio padre chiedere i costi che avrebbero dovuto sostenere e vidi, con la coda dell'occhio, lo sconosciuto tirare fuori un documento da far firmare ai miei genitori e, il secondo dopo, fui spedita a fare le valigie per la mia nuova scuola.
Eravamo tutti entusiasti.
La mia famiglia, probabilmente, lo è anche adesso, al contrario mio.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top