EXTRA 4 - Rainbow

Le mani mi tremano leggermente, appena afferro entrambi i lembi del papillon e tiro per stringerlo. Un nodo allo stomaco di pura felicità e la sensazione di star vivendo un dolcissimo ricordo, forse uno dei più belli che vivrò mai, mi riempirono la bocca. Sono costretto a deglutire un paio di volte.

Guardo negli occhi l'uomo che ho davanti e sprofondo in quei pozzi verdi, lucidi dall'emozione come i miei.

Non parliamo, neanche una sillaba.

Un abbraccio. Mi stringe così forte che sento di potermi decomporre lì.

Fa un sospiro tremante e, staccandosi da me, mi regala un enorme sorriso tirato dei suoi, che gli fa scomparire gli occhi in due fessure e nascere una sola fossetta a destra.

Saltella felice un paio di volte, agitando le mani come per scaricare la tensione.

«Non ci credo. Sta accadendo sul serio.»

Sorrido, contento e mi soffermo a guardarci all'enorme specchio della sua camera da letto.

Sembriamo due completi imbecilli.

Lui porta un abito elegantissimo, ma completamente pieno di piccole zucche arancioni. Le scarpe a punta laccate sono dello stesso colore acceso, mentre il papillon è color sangue e da esso, con il trucco, sgorgano piccole gocce di rosse che sporcano la camicia bianca.

Anche sul viso ci è andato pesante: gli occhi sono cerchiati di nero e sembrano sprofondare dentro il suo cranio, mentre il pantone della sua pelle è stato reso ancora più chiaro, quasi a farlo sembrare cadaverico.

Scoppio a ridere, sinceramente divertito. Io non sono conciato così, per fortuna. Almeno, il mio travestimento ha quasi un senso. Håbe ha deciso di graziarmi: si è limitata a tingermi i capelli di verde e ricoprirmi di un fondotinta bianchissimo, per farmi assomigliare il più possibile al Joker.

Rido ancora al pensiero di quella stessa mattina, ancora nudi sul letto, all'alba, a truccarci e prenderci in giro come due ragazzini.

Il mio completo è un semplice smoking blu, ottenuto con una supplica di intere settimane: Håbe voleva prenderlo viola.

«Non ci credo, Hurricane. Ti prego, dammi uno schiaffo e dimmi che è tutto uno scherzo» dice il mio migliore amico, sorreggendosi al muretto che separa la zona letto dalla piccola veranda, per non cadere. Le gambe gli tremano e sta visibilmente sudando.

Sorrido e gli vado vicino. «Mi piacerebbe dirtelo, ma è tutto vero. Oggi ti sposi e a me sembra di essere un babbo di due marmocchi anziché una.»

Taito mi guarda con quelle biglie verdi e penetranti. Gonfia il petto riempiendolo d'ossigeno. Poi abbassa la testa, scuotendola e portando una mano al volto.

«Ehi, giù le mani dalla faccia!» protesto, scostandogli via il polso, preoccupato per il trucco.

«Secondo te Alexa si presenterà? E se mi molla sull'altare?»

«Dopo tutto il casino per preparare questo matrimonio, credo proprio che si presenterà, Taito. Altrimenti la vado a riacchiappare io e le tingo i capelli di verde...»

Taito scoppia in una fragorosa risata. «Proprio non l'hai digerito il tema Halloween, eh?»

Faccio un passo indietro, staccandomi dal muretto e allargando le braccia, come a indicarmi interamente. «Ma mi hai visto? Håbe piangeva per le risate ogni volta che ci incrociavamo in corridoio stamattina.»

Taito ride ancora, poi mi poggia una mano sulla spalla. «Dai, ti prometto che appena arrivati al ricevimento potrai struccarti. Ma sei il mio testimone, mi servi particolarmente "horrorifico".»

Sospiro, gonfiando il petto, ancora fiero di quel ruolo. Annuisco. «Solo per te, punk gotico del cazzo.»

Il matrimonio di quel coglione mi riempie di gioia da mesi. Tutto è pronto, ormai, e al pensiero di essere finalmente giunti al trentun ottobre, un altro sorriso spontaneo nasce sul mio volto.

Mi perdo per un secondo a pensare a me e Håbe. A quel giorno a Las Vegas, dove eravamo scappati insieme, lasciandoci alle spalle lavoro e preoccupazioni, prima della nascita della marmocchia.

Ci eravamo sposati senza neanche chiedercelo.

Era bastato uno sguardo, davanti quella vetrina piena di anelli.

Eravamo da soli. Io in jeans e maglietta, Håbe in un vestito rosso che le fasciava la pancia già cresciuta del sesto mese.

Non lo avevamo detto a nessuno.

Non avevamo voluto nessuno.

L'avevo tenute strette tutto il tempo, lei e la marmocchia, senza lasciarle mai. Ogni tanto sorridevo alla mia donna, emozionato e le asciugavo le lacrime dalle guance. Così come lei asciugava le mie.

Guardo istintivamente l'anello al dito. Quando gli altri l'avevano saputo, durante un sabato sera un po' troppo alcolico, era scoppiato un disastro.

Håbe, quella volta, circa due mesi dopo la nostra fuga romantica, era ubriaca come mai e, prima di crollare ridendo tra le mie braccia, le era scappata la notizia, lasciandomi solo per tutta la serata a dover difendermi dagli insulti degli altri.

Taito si era arrabbiato talmente tanto che aveva organizzato lui un grande ricevimento per festeggiare assieme. Dana, Doreen e Alexa avevano comprato addirittura l'abito bianco ad Håbe.

Un bussare insistente ci interrompe e mi scuote dai pensieri. Una piccola vocina sommessa urla: «Papà! Zio! Sono pronta! Mi aprite?»

Sorrido e apro la porta.

Eccola lì, quella marmocchia insolente.

Si porta subito le manine alla bocca, cercando di non ridere, ma fallendo miseramente. Gli occhietti color mare si assottigliano.

«Ah! Ridi di me, eh! Ora te la faccio vedere io!»

La prendo su e arretro, posandola sul letto matrimoniale di Taito e iniziando a farle il solletico.

Lei comincia a ridere, divincolandosi e il suono della sua risata mi riempie il cuore di emozioni che solo lei può regalarmi: è lei il mio dono più grande.

«Basta! Papà! Mi rovini il trucco!"

«Hurricane Jake Austin!» sento tuonare da fuori la porta.

Sbuffando, alzo istintivamente le mani. Il mio nome completo... sono proprio nei guai.

Håbe fa il suo ingresso, le braccia incrociate e il cipiglio arrabbiato.

È dannatamente bella anche così. Un vestito nero, un po' sgualcito e rotto, le fascia le curve e le mette in risalto la carnagione pallida. I suoi occhi verdi sono accentuati da un forte trucco rosso fuoco sulle palpebre. Ovunque, sul corpo, ha delle ferite da cui gronda sangue: a vederle, il mio cuore geme per un secondo, ma poi si ricorda che sono finte.

I tacchi a spillo vertiginosi non bastano a farla arrivare alla mia stessa altezza, ma mi fanno desiderare ardentemente di essere soli in stanza.

Sorrido, mentre lei inizia a sgridarmi.

«Hai idea di quanto diavolo ci ho messo a sistemarla quella scimmia? Tu...»

La interrompo, cingendole la vita con un braccio e chinando un poco la testa per baciarla. Un bacio leggero, per non rovinarle il trucco, ma solo perché sono bravo.

I suoi occhi si spalancano, poi ricambia, ridendo un poco sulle mie labbra. «Ti odio» sussurra, dandomi un leggerissimo schiaffo sul petto.

«Ti amo anch'io.»

Uno starnuto. Ci giriamo entrambi verso la marmocchia.

Il vestito che porta è pieno di piccole ragnatele disegnate. La gonna è ampia e le maniche bombate, proprio come piace a lei. Il trucco è, ovviamente, molto meno pesante di quello di Håbe e le mette in risalto giusto un poco le labbra piene, con qualche disegno di ragnatele sulle guance, ancora leggermente rosate per il mio attacco di solletico.

Ha preso un po' da tutti e due. Sia fisicamente che caratterialmente. Ha il nasino all'insù, piccino, di Håbe, ma la forma dei miei occhi. Il colore delle iridi è un perfetto compromesso tra il verde e il blu. È anche già più alta di Håbe quando aveva tre anni.

Ama stare sia da sola che con le altre persone. È socievole, ha già tanti amici, ma le piace anche sdraiarsi sul letto a giocare in solitudine.

Ovviamente, ama leggere.

Iris.

Così abbiamo deciso di chiamare quella scimmia. Non avevamo trovato nome più azzeccato, visto che nella mitologia greca, Iris è l'incarnazione dell'arcobaleno.

Da un uragano come me e dal cielo sereno nel cuore di Håbe, non poteva che nascere un arcobaleno.

Lei è il nostro insieme di colori vividi. Ciò che ci sussurra ogni mattina che ne vale la pena.

Se tutto era diventato bellissimo già prima di Iris, nella mia vita, ora lo è ancora di più. Mi sembra di vivere in un film e non più in quello scarto che era prima la mia esistenza, accartocciata su se stessa come i fogli sotto la mia scrivania.

Ero un foglio bianco, un'idea scartata prima di nascere. Håbe, per prima, mi ha raccolto da terra e si è messa a dipingere. Solo grazie a lei ho finalmente conosciuto i colori.

Ma ci è voluta Iris, con le sue mani piccole ed esperte nel saper amare, nel saper tracciare in me linee e forme sconosciute, a completare l'opera immensa della mia anima, ora caleidoscopica e piena di tutte le tonalità del mondo.

Piena di me e di noi.

«Non sarà un po' troppo scoperta?» obietto, indicando le braccine nude di Iris e guardando Håbe.

La mia donna annuisce velocemente. «Ho portato anche un giacchettino. Vieni, Iris, mettiamolo.»

«Oh, ma quanto siete belli!» Dana e Doreen fanno il loro ingresso. La prima è palesemente vestita da Dracula in versione femminile, con tanto di mantello lungo e denti da vampiro.

Doreen, invece, porta con immensa eleganza un tubino bianco sgualcito, ricamato da diverse croci rosse, a indicare forse di essere un'infermiera zombie.

La bionda non riesce proprio a trattenere l'emozione e, nonostante il tacco vertiginoso degli stivali rossi alti fino al ginocchio, si fionda tra le braccia di Taito, che la stringe fortissimo.

«Siamo venute a dirvi che è ora. Sam e gli altri sono di sotto ad accogliere gli ospiti, sono quasi arrivati tutti!» squittisce Dana, cingendo la vita ad Håbe e poi sporgendosi a pizzicare una guanciotta a Iris.

Guardo subito Taito: trema visibilmente, da capo a piedi. Chiude gli occhi per una frazione di secondo e inspira. Senza rilasciare il fiato, pronuncia: «Okay. Andiamo.»

***

Lancio uno sguardo al mio uomo, fermo immobile sull'altare, al fianco del suo migliore amico. Il brivido che provo quando incontro i suoi occhi blu non è mai cambiato nel corso degli anni: è ancora così forte da darmi le vertigini e cominciare a chiedermi se sia veramente mio.

Stringo la manina di Iris e le sussurro di correre a prepararsi. Lei annuisce e scompare dietro l'altare, accompagnata dall'uomo con cui abbiamo fatto le prove il giorno prima.

Tutta la cattedrale è addobbata a tema: ragnatele pendono dai lampadari, lunghi teli neri sono appesi alle pareti e crisantemi color notte decorano le sedute. Candele di tutti i tipi e di tutte le dimensioni scaldano la sala con il soffitto altissimo pieno di archi gotici.

Qui e là ci sono anche zucche arancioni, con intagliati i ghigni più disparati.

Insomma, mi sembra di essere stata catapultata in un videogioco horror di quelli che piacciono a Koky. Lo saluto con la mano: lui e il resto della band, più Sam, sono dietro a Taito e Hurricane.

Sono tutti vestiti da zombie assassini, con tanto di lembi di pelle finti che penzolano.

Solo Jazz - ovviamente - ha dovuto esagerare: ha un coltello finto ficcato nella testa e un intero braccio dentro il vestito, così da sembrare che sia stato mozzato.

Sam mi lancia un sorriso e la sua fronte si increspa in piccole rughe. È visibilmente felice, anche con brandelli di pelle e sangue a penzolargli dalle orecchie.

Cercando di non ridere delle loro condizioni, mi metto composta in fila insieme alle altre damigelle. La damigella d'onore, davanti a me, è una grande amica di Alexa, di nome Kora. Si dondola sui tacchi con fare nervoso: è vestita da dama di corte zombie.

Doreen mi stringe il braccio e mi chiede a voce bassa: <Hai mica dei fazzoletti? Temo che ne avrò bisogno.»

«Certo, li ho qui.» Sposto il bouquet di dolcetti e scheletri nell'altra mano e le mostro la pochette color sangue.

«Ottimo, menomale. Ma quando arriva? Dio, sto impazzendo.»

Anche Dana, dietro Doreen, non riesce a star ferma. Si tortura il lembo del mantello da Draculessa e ogni tanto si sistema i denti aguzzi.

All'improvviso, una musica dolcissima e triste irrompe nella stanza, propagandosi tra le pareti gotiche e inquietanti.

La riconosco quasi immediatamente: è una canzone de "La Sposa Cadavere", il film di Tim Burton. Quella canzone malinconica ma tremendamente potente che lui e lei suonano al piano, in versione estesa.

Mi porto istintivamente una mano alla bocca. E le grandi porte in fondo alla sala gremita di gente si spalancano.

Alexa fa il suo ingresso, in un abito bianco ampissimo, rotto e sgualcito in diversi punti. Il corpetto è interamente coperto di pietre azzurre chiarissime che riflettono le luci delle candele. Tutti la guardano in sincrono, ma lei ha occhi solo per Taito.

Mi volto ad osservarlo: il suo volto si increspa come carta pesta dall'emozione e, come me, si porta un mano al viso, guardando la sua donna con un tale amore negli occhi che una lacrima scende sulla mia guancia.

Sposto lo sguardo su Hurricane e lo trovo a guardarmi. Gli sorrido, cercando di asciugarmi alla meglio le lacrime. Lui mi sorride altrettanto e sillaba qualcosa.

"Ti amo".

Il cuore mi esplode in petto, insieme al rumore delle persone in sala che si alzano, tutte contemporaneamente, al passaggio di Alexa.

Il suo volto è truccato divinamente e i capelli tinti di blu ricordano davvero tanto la sposa cadavere di Burton. Il rossetto sbavato, il velo lunghissimo a incorniciarle il viso e due enormi occhi brillanti d'emozione come gioiello.

Respiro e corro con la mano a cercare i fazzoletti. Li passo anche a Dana e Doreen che hanno cominciato a frignare peggio di me.

Alexa arriva vicino a noi.

È talmente bella da brillare e spegnere tutte le candele intorno. Ci sono solo lei, Taito e il modo in cui si guardano, come se si vedessero per la prima volta.

Il padre di Alexa la affida alla mano di Taito e inizia la cerimonia. Il rito è molto breve, sotto richiesta degli stessi sposi.

Non appena arriva il momento fatidico, la mia piccola Iris fa il suo ingresso e a quel punto esplodo a piangere anche io come un bambina.

Tenendo in mano un portagioie antico, Iris percorre tutta la navata, stando attenta a non inciampare nel tappeto rosso. Sorride raggiante e arriva velocemente davanti a Taito e Alexa, per poi aprire il bauletto.

«Grazie mille, piccolina.» Tai le da un bacio fra i capelli e preleva le fedi.

Iris mi raggiunge contenta: la stringo forte con un braccio, mentre Hurricane ci guarda e posso giurare che ha gli occhi lucidi d'emozione.

Sento le farfalle mangiarmi lo stomaco e una profonda gioia stringermi il petto fino a riversarsi in altre lacrime calde.

Mi chino un poco per parlare a Iris: «Quanto sembro un panda da uno a dieci, amore?»

Lei si mette a ridere piano e mi guarda divertita con quegli occhioni verde acqua, incorniciati dalle sopracciglia scure come i capelli. Sembra una bambolina di porcellana. «Undici, ma sei comunque bellissima, mamma.»

Le lascio un bacio pieno di rossetto, facendola protestare e poi le faccio segno di guardare.

È il momento delle promesse.

Il primo a pronunciarle è Taito.

Deglutisce forzatamente e si asciuga le lacrime con il dorso della mano. Poi, scava in una tasca e ne tira fuori un foglio molto stropicciato.

Vedo Hurricane sorridere e voltarsi dall'altra parte, mordendosi le labbra. Sta cercando in tutti i modi di non piangere, lo so. Mi chiedo se non ci sia effettivamente il suo zampino da giornalista nella promessa che sta per leggere Taito.

«Di che cosa è fatto è il buio?» esordisce il punk, passandosi una mano fra i capelli e sbuffando, gettando subito dopo la testa all'indietro.

I miei occhi si riempiono di nuovo di lacrime e lui annaspa, cercando di continuare, profondamente commosso.

«Bene, posso dirvi con certezza che il buio è fatto di niente. Ci ho passato parecchio tempo a cercare di modellarlo, a plasmarlo e dargli forma, quando mi aveva inghiottito e mi sembrava che il mio destino fosse segnato e inesorabile. Allora mi aggrappavo famelico alla speranza di, almeno, dargli una forma, per sintetizzarlo in qualcosa a cui potermi stringere forte.»

Taito deglutisce e, quasi di riflesso, Alexa gli prende la mano. Lui sospira, la guarda negli occhi e prosegue con la voce leggermente più ferma, anche se grosse lacrime gli rigano le guance.

«Per fortuna, uno squarcio nel buio si è aperto prima che io potessi aggrapparmici saldamente. E sei arrivata tu.»

Alexa sussulta e comincia a piangere ancora più forte.

«Sei stata la certezza. Sei stata ciò che mi ha confermato il mio destino. Io non ero destinato a rimanere al buio. Il tuo amore, quello che hai portato con te mentre mi raccoglievi dal fondo, è stato più forte dell'ombra. Non ti sarò mai abbastanza grato di esserti fidata di me. Quello che posso fare è prometterti di ringraziarti ogni giorno, amandoti con tutta la mia anima, fino anche a consumarmi, non mi importa. Voglio ricambiare ciò che hai fatto per me e non mi fermerò davanti a niente.»

Ho guardato Hurricane negli occhi per tutto il discorso finale e le parole di Taito mi ricordano così tanto anche me e lui.

Anche il mio uomo si era gettato nel buio, aggrappandosi così forte a esso da dargli una forma.

Ma poi ne eravamo usciti insieme.

Eravamo usciti alla luce, ammaccati e feriti, ma felici, adesso, di vivere a colori.

Taito, tremando, infila l'anello ad Alexa.

Parte un applauso commosso e lento, a cui mi accodo, ancora persa negli occhi blu del mio immenso amore, che adesso sta visibilmente piangendo.

Stringo forte Iris a me.

«Piccola, mi prometti una cosa?» sussurro all'orecchio di mia figlia.

«Cosa, mamma?»

«Che non ti arrenderai mai. Neanche quando sembrerà tutto perduto, neanche quando avrai messo in gioco ogni cosa e non sarà stato abbastanza. Promettimi che ci proverai sempre fino all'ultimo.»

I suoi occhi si fanno velocemente ancora più grandi e si stringe più forte a me. «Promesso, mamma. Non mi arrenderò, come avete fatto tu e papà.»

Non mi sono resa neanche conto che Alexa ha cominciato a parlare.

«La mia vita non è mai stata effettivamente vita. Me ne sono resa conto il giorno in cui ti ho visto, Taito, in quel bar.» La ragazza lancia un'occhiata veloce a Hurricane, ringraziandolo con lo sguardo e lui crolla definitivamente, passandosi le dita sugli occhi.

«Eri profondamente ferito. Ora, mi rendo conto che non avevo per niente il diritto di fare quel che feci. Ma lo feci comunque. Ci misi tutta me stessa per far breccia dentro di te e mi innamorai di te così tanto da non capire neanche più dove finivo io e iniziavi tu. E, ad oggi, è ancora così. Non abbiamo confini, io e te. È una cosa che ho sempre amato. Quello che voglio prometterti, è che non cambierà mai. Voglio prometterti di esserti al fianco quando ci sarà da lottare ma anche quando sarà il momento di ridere.»

Fece una pausa, sorridendo al suo amato che sembrò sciogliersi lì, in una pozza di lacrime.

«Ti prometto che ti appoggerò nelle decisioni giuste e che ti darò del cretino quando combinerai qualche macello. Ti prometto che ci metterò il mio impegno a sopportare le prove con la band a casa nostra, anche quando tremeranno le pareti.»

Una risata generale scalda i cuori di tutti in un abbraccio collettivo che si fa sempre più stretto.

«Non sono mai stata brava a parole, quello sei tu. Ma sono brava coi fatti. E farò di tutto per amarti in tutte le tue sfaccettature, dalle ombre alle luci. Perché ti amo tutto e non smetterò mai di farlo.»

Un altro applauso invade la cattedrale quando anche Alexa mette l'anello a Taito: sono tutti in lacrime, nessuno escluso.

Anche il funzionario che celebra la messa ha gli occhi lucidi. Si schiarisce la voce, prima di dire: «Benissimo, allora. Con queste promesse, procediamo. Taito Cruz, vuoi tu prendere la qui presente Alexa Dawson come tua sposa, per amarla e onorarla, accettando tutto ciò che è e tutto ciò che sarà con te, finché esisterete?»

Hanno deciso di cambiare la formula in quel modo. La trovo anche io decisamente più consona a loro due.

«Lo voglio» dice Taito in un sospiro, stringendo forte le mani di lei.

«E tu, Alexa Dawson, vuoi prendere il qui presente Taito Cruz, per amarlo e onorarlo, accettando tutto ciò che è e tutto ciò che sarà con te, finché esisterete?»

Il volto di Alexa si allarga in un bellissimo sorriso. «Oh, sì che lo voglio.»

Tutti scoppiano a ridere, me compresa e anche Iris al mio fianco.

«Ebbene, vi dichiaro allora il signore e la signora Cruz. Taito, puoi baciare la tua sposa cadavere.»

Taito allunga le mani sul volto di Alexa, posandole sulle sue guance rosse e piene di lacrime e baciandola con trasporto. Lei lo stringe fortissimo a sé.

Un boato di gioia e applausi si riversa sui novelli sposi che ci guardano uno per uno, per poi abbracciarci, riconoscenti e felici.

Li seguiamo percorrere la navata. Mi ricongiungo con Hurricane che mi cinge per la vita, scoccandomi un sonoro bacio sulla guancia e poi mi volto per baciarlo sulle labbra.

Sento il fuoco avvampare dentro me a quel contatto. È così dannatamente mio.

Sento qualcuno tirarmi la gonna. Guardo in basso, staccandomi dal bacio e rendendomi conto che siamo rimasti immobili in mezzo alla navata.

«Dai mamma! Papà! Andiamo!» Ci incita Iris.

Hurricane, al mio fianco, le da un buffetto sulla testa e la sprona: «Vai, corri da zio e zia!»

Iris annuisce e comincia a correre verso la porta.

Stringo forte la mano del mio uomo.

«Andiamo» mi dice, guardandomi dritto negli occhi e scavando fin dentro la mia anima, suonando accordi di brividi che conosce solo lui. «Non vedo l'ora di struccarmi. E baciarti fino a che non mi ubriaco di te.»

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