Capitolo 26 - Quattro giorni



Quando finiamo di provare almeno due volte tutte le giostre, il sole sta quasi tramontando, e il cielo si è tinto di arancione. La gente comincia ad arrivare in gran numero. Io e man ci scambiamo uno sguardo: è ora di filarsela. Facciamo fianco a fianco la stradina per tornare indietro; man a metà strada mi spinge, e mi fa quasi cadere. Lo guardo in cagnesco, e lo spingo a mia volta.

Lui alza un sopracciglio, guardandomi di sbieco. «Sei troppo bassa tu, per farlo.»

Io spalanco la bocca, e poi incrocio le braccia, voltandomi per non guadarlo più, offesa.
Prima che lui possa finire la frase che ha cominciato, ovvero:"«Dai, su non...»", vedo una persona venirmi incontro.

Ed è proprio lei. Loren.

Tutto sembra bloccarsi, tranne quella figura, che come un treno sta per venirmi addosso. Si ferma a poco spazio di distanza da me, e mi regala un ghigno. «Ciao, Håbe.»

Una rabbia a dir poco sconvolgente mi monta in petto. «Come osi anche solo parlarmi? Vattene via, ok? Sei una matta.»
Lei fa una finta faccina dispiaciuta, e si sistema meglio la borsa sulla spalla. «Cos'è, non ti è piaciuto?»

Stringo i pugni, e sento man al mio fianco irrigidirsi allo stesso modo.

«Loren, sai cosa? Dimmi solo... perché? Perché mi hai dovuto fare una cosa simile? E poi guarda: non hai ottenuto nulla. Man è qui con me.»

Lei scoppia in una fragorosa risata. «Pensavi volessi "rubartelo"? Oh, beh, all'inizio si. Ti ho sfruttata per conoscerlo, pensavo fosse un bel ragazzo. Ma poi ho fatto qualcosa di meglio. Vendetta. Cosa si prova eh Håbe? Ti ho fatto esattamente quello che tu hai fatto a me!» Sputa le ultime parole con odio. I capelli viola si muovono come tentacoli.

«Non è vero!» protesto, arrabbiandomi sempre di più.«Tu sei pazza, Loren! Come pensi che quello che hai fatto sia uguale a quello che ho avevo io con...»
«Non hai neanche il coraggio di pronunciare il suo nome!»
«DEAN!» urlo, e lei mi guarda beffarda.

«Oh, che brava. E comunque è la stessa cosa: tu me lo rubasti! Ora tieniti pure questo ammasso di niente, io non voglio averci più nulla a che fare con te!» Fa per andare via.

Ma io non ci sto, non ci sto per niente. E mentre tutte le sue amichette la seguono, lo urlo.
«Vogliamo dirla tutta Loren? Che mi dici del vostro bambino? Che mi dici dell'aiuto che ti ho dato per abortire? Tu non ne volevi sapere più niente di Dean, perché ti ha messo incinta! Tu hai solo mentito! Ed è la prova che sei completamente matta!»

Mi sento un guscio vuoto, quando urlo quella cosa, e mi rendo conto di stare piangendo. Eppure sono fiera di me. Un peso di dieci chili finalmente si disintegra dentro la mia anima, e posso respirare appieno.

Eppure lei, dopo essersi bloccata, si volta a guardarmi e velocissima alza una mano per darmi uno schiaffo dritto sul viso.

Ma prima che possa farlo, un'altra mano blocca la sua.
Man le stringe il polso, e la guarda negli occhi: non posso vedere quello sguardo, lui è al mio fianco, ma posso vedere l'effetto che ha su Loren. La furia diventa paura.

Man dice solo tre parole: «Non ti azzardare». Poi le lascia andare il polso, mi mette una mano sulla vita e spingendomi mi sussurra all'orecchio "Andiamo".

Mentre torniamo verso casa sua a piedi, Håbe mi racconta cosa c'è sotto a quello che è appena successo. Io ascolto in silenzio, un passo dopo l'altro.

«Io e Loren eravamo grandi amiche. Solo che lei... è sempre stata molto egoista, una persona parecchio bisognosa di attenzioni e sicuramente tanto snob. I suoi genitori sono ricchi a dismisura rispetto ai miei quindi mi ha sempre fatta sentire inferiore. Non me ne ero accorta da bambina, ma poi risultò sempre più palese.

«Eppure le volevo bene, e lei ne voleva a me. A un certo punto, beh... ti ho raccontato di Dean. Quando mi resi conto di amarlo, lui stava con Loren. Anche se non stavano propriamente insieme: Dean ha sempre avuto relazioni che non erano mai davvero tali; e con lei fu così. Quando poi la lasciò perdere per me, io ero cosciente della loro frequentazione ma... diciamo che me ne fregai. E in un certo senso mi sentii anche fiera: ero riuscita a conquistarlo nonostante avesse una Loren al fianco. Lei poco fa ha parlato di "rubarglielo", ma loro non stavano neanche insieme e quando io le parlavo di lui lei mi diceva solo cose vaghe. Non lo amava davvero, era solo infatuata del "bello-e-dannato".
Quando scoprì che io e Dean ci eravamo baciati mi venne a fare una grande scenata, se la legò al dito e non la sentii per un paio di giorni, forse una settimana.

«Venni a sapere che se ne era andata dall'ennesima compagnia con cui usciva, che era quasi impazzita.
E che era sola.
A un certo punto mi chiamò al telefono, nel panico più totale perché era rimasta incinta... ed era sicura fosse di Dean.»

Scanso un palo, mentre siamo ormai arrivati a Central Park, a poca distanza da casa sua. Lei fa qualche pausa durante il racconto, ed io mi impegno ad assimilare quelle informazioni. Sembra un po' turbata, ma felice.

«Beh, poi, diciamo che l'ho aiutata. L'ho consolata. Lei mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno. Io le ho giurato di non svelarlo mai.

«Recuperammo i rapporti e visto che era rimasta senza compagnia la dissi di uscire con me, Sam, Dana e i miei vecchi compagni di quarto superiore. Lei strinse amicizia con Sam ma ben presto si trasformò nuovamente. Cominciò a prendermi in giro, a schernirmi di fronte a tutti, e quando le chiesi di piantarla si rifece su Dean.

«Io arrivai a non sopportarlo più. Avvertii tutti che non sarei più uscita con loro se ci fosse stata lei. Al tempo, non avevo quel grande rapporto che ho ora con Sam. Lui continuò ad uscirci.

«Fu quando successe quello che ti ho già raccontato con Dean, quella notte, che lei mi diede il colpo di grazia.
Il giorno dopo l'accaduto Loren mi piombò in casa come una pazza, e mi venne a dire che era stata con lui la notte prima che succedesse, che lui mi aveva tradita con lei e che... che lei era contenta, perché quello che mi era successo me lo ero meritato.
La cacciai via, le dissi di non tornare mai più.

«Mi fa così schifo. Pensavo fosse cambiata ma a quanto pare è sempre la stessa matta. In fondo, penso sia solo una persona sola. Una persona sola e che per di più non sta bene neanche con sé stessa. È per questo che tende a rovinare le vite degli altri.»

Siamo di fronte casa sua quando smette di raccontare. E io mi rendo conto, guardando la porta della sua villetta, di non volere lasciarla.
Una cosa strana.

Lei mi sorride, ed io non so cosa dire. Sono stato in silenzio per tutto il discorso ma l'ho ascoltato. Decido di chiederle: «Cosa hai pensato, quindi, quando hai visto che noi la conoscevamo?»
«Sono rimasta allibita. Insomma, è stato strano.Èvero, sapevo che suo padre avesse uno studio di registrazione oltre a tutte le altre cose, ma non pensavo fosse quello dove anche voi suonavate...»

«Io non ce l'ho mai vista lì dentro, prima di conoscerti, Håbe», rifletto. «Lei lo ha proprio fatto apposta. Si è riavvicinata a te, poi a me. Se io avessi saputo che lei... e tu...»

Lei intanto ha aperto il cancelletto dell'entrata. Si gira a guardarmi, gli occhi spalancati. «Ti saresti comportato in modo diverso?»

Mi rendo conto solo in quell'istante che le parole che ho appena detto sembrano essermi scappate dalla bocca, fuori dal mio controllo. Non so da dove siano venute. Mi viene da urlare, mentre cerco invano di sistemare i pezzi di un puzzle di cui non riesco a vedere i bordi. È come se fosse fuori dal mio campo visivo, non so dove sto andando a parare, non so neanche qual è la figura rappresentata, non so niente eppure...

«Forse... sì», dico. E non so se sto mentendo o se è la verità: lo dico e sembro non essere neanche io.

Lei rimane immobile. «Per me

Oh.
Mi aspetto da un momento all'altro di sentire un potente ululato, della mia bestia venuta a cibarsi di quelle che sembrano essere emozioni. Eppure, non arriva. E io mi sento dentro una bolla di sapone scivolosa, non riesco neanche a capire se sto in piedi o no.

Non so dirle se è per lei. Non lo so perché semplicemente non so neanche il motivo per cui continuo a respirare tranquillo, per cui nel mio cervello c'è silenzio e gli unici pensieri che circolano dentro sono su di lei.

Quindi... aspetta, è davvero per lei?
Questo vuoto che sento, un vuoto per la prima volta consistente, è davvero merito suo? Forse... sì.

Mi blocco, e non riesco a rispondere. Lei forse percepisce nel silenzio rumoroso la mia incapacità di comunicare, o meglio, di comunicarle. Si perché per la prima volta faccio fatica a rispondere a una domanda: sono sempre stato bravo a rispondere e svincolarmi da ciò che non voglio dire, a nascondermi in parole inutili che alla fine non dicono niente di vero.

Eppure, stavolta no. Non mi riesce.
Lei sembra capirlo.

Mi si avvicina di un passo. Poi un altro. E un altro mezzo. Mi guarda negli occhi, ed ho quasi l'impulso di dirle di no.
Di non farlo.
Ma lei se ne frega.

Mi accarezza una guancia, ed io sento una scossa dalla testa ai piedi, una di quelle che scuoterebbe il mondo.

Ma scuote solo il mio, di mondo.

Quando ritrae la mano poi, sembra pentirsene. Io ho gli occhi chiusi, e la sento sussurrare: «Scusa.»

Mi viene naturale una risata. E mi sorprendo che mi venga naturale.
Riapro gli occhi. La luce dei lampioni  dietro di me si accende, e illumina il suo volto fino a poco prima nella penombra.

Le trecce le si sono sciolte e ora i capelli le ricadono alla rinfusa sulla spalla. Non mi ero mai accorto avesse gli occhi così grandi; mentre la guardo, sembra quasi che non abbiano una fine.

«Prima fai il danno e poi chiedi scusa?», la provoco.
Lei si mette a ridere, e mi da una piccola spinta sul petto. «Vai al diavolo!»
«No, vado a casa. Ci vediamo al compleanno, no?»

Un'atmosfera strana si impossessa di noi: lei tentenna quasi quanto me. Sembra pensarci un po'. «Uhm.È tra ben quattro giorni. Come faccio senza di te per quattro lunghissimi giorni?» Si morde il labbro.

Alzo un sopracciglio. Schiocco la lingua, infilandomi le mani nelle tasche e controvoglia riesco a voltarmi.

«Sopravvivrai» le rispondo, mentre ciondolo via, attento a non guardarla di nuovo. Sento i suoi occhi addosso finché non giro l'angolo.


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