Capitolo 17 - Fuochi


Ci blocchiamo. I suoi occhi blu si piantano nei miei. «Aspettavi qualcuno?», mi chiede.

«No.È strano.» Mi sposto in avanti e lo sfioro. Trattengo il respiro, lo guardo, sperando che non si arrabbi, ma lui non fa una piega: serra solo i denti per una frazione di secondo. Allora mi volto nuovamente verso la porta, e sbircio nello spioncino.

Ha una mano sulla guancia, si sta sistemando con un dito il trucco sotto l'occhio. Le unghie perfette, i capelli stirati ed evidenti come sempre, dalle punte viola. Il rossetto acceso, gli occhi da gatta pieni di eyeliner.
Loren.

Bene. Da quel momento in poi — e mi riferisco al resto della mia vita —, tutto diventa quasi surreale.

«Gesù, che cazzo ci fa qui?», inorridisco. Cosa dovrei fare adesso?
Man mi fa cenno di spostarmi e guarda nello spioncino anche lui. Aggrotta la fronte. «Ah si, quella tipa» e detto ciò, come se fosse a casa sua, apre la porta.

Immagino per un attimo una me incazzata nera che gli tira un pugno. Ma nella realtà, non faccio altro che guardare la porta aprirsi, e un sorriso pieno di rossetto farsi strada su un volto familiare quanto il corso delle ferite sul cuore. Sento un "Oh!" di sorpresa.
«Man? Wow! Che casualità trovarti qui.» La ragazza ha gli occhi piantati su di lui, che la saluta con un cenno.
«Ciao, ehm. Conosci Håbe?»
«Oh, sì! Siamo amiche da sempre.»

Poi la gatta guarda me, aspettando una risposta ma io sono fin troppo scioccata dal suo trovarsi sulla soglia della mia porta per dire "si ok, ma che cazzo vuoi?".

Il ragazzo al mio fianco afferra al volo la situazione. «Bene, stavo andando via, ciao a entrambe.» Prima di voltarsi e andare, mi guarda un attimo; mi passa al fianco e sale in macchina.

Loren davanti a me si volta a salutarlo con tanto di gesto della mano. Io sono ancora sconvolta. Mi esce solo un: «Beh?»
Lei comincia a parlare. Mi dice che le dispiace, ripete la parola "scusa" una quantità di volte infinita, e si è preparata tutto un discorso per chiedermi di tornare ad essere amiche. «... Capisci? Mi manchi, e voglio di nuovo parlare con te come prima, l'ho capito quando ci siamo viste qualche giorno fa. Mi perdonerai Håbe?»

Silenzio. «Cosa vuoi in cambio?», le chiedo.
Lei sembra punta nel vivo. «Scusami?!»
«Con te c'è sempre un secondo fine, Loren. Cosa vuoi davvero da me?»
«Niente! Io voglio solo tornare ad uscire insieme, a stare insieme. Dammi la possibilità di dimostrarti che sono sincera, per favore!»

A quel punto la faccio entrare: ci accomodiamo sul divano. La situazione è irreale: dopo tutto quello che quella ragazza mi ha fatto, vederla in casa mia è assurdo.

Tuttavia, sembra davvero intenzionata a farsi perdonare.
Se ne va un'ora dopo, con la promessa che mi farà ricredere sul suo conto.

Quando rimango sola, ho quasi l'impulso di andare a dormire, alle sette e mezza di sera. Ne ho abbastanza per un anno intero.
Ma non ho ancora idea di quello che succederà di lì a poco.

***

La sveglia del telefono mi avvisa che è ufficialmente il ventotto Maggio. Mi stiracchio, e spengo il rumore fastidioso. Mi preparo per andare a lavoro e quando arrivo al bar dopo una veloce passeggiata, ci trovo una persona che non pensavo di vedere, perlomeno non lì.

Sam. Il vicino di casa di Håbe, l'Armadio, che prende un caffè e chiacchiera con Doreen, mentre la ragazza pulisce il bancone.

Quando entro nel locale, Sam si gira, e sgrana gli occhi, forse infastidito. Non credo proprio di andargli molto a genio, a quel tipo lì. Non che a me vada a genio lui, così come il resto della popolazione mondiale.

«Buongiorno, man! Lo sapevi che stasera c'è un fantastico spettacolo pirotecnico sull'East River? Me lo stava dicendo questo ragazzo!» mi dice la bionda, tutta contenta.

«Ciao, Sam» lo saluto, avvicinandomi al bancone.
«Ciao, ehm... "coso".»

Doreen rimane interdetta. Guarda prima me e poi lui, un paio di volte. «Voi vi conoscete?»
«Sì, è il vicino di Håbe. Ed è molto lontano da casa. Come mai da queste parti?», chiedo.
«Lavoro. Diciamo che sono in pausa per una mezz'ora», risponde.È praticamente vestito come l'ultima volta in cui l'ho visto: bermuda e maglia a maniche corte, capelli legati, sicuramente per via del caldo impressionante. «E poi,» riprende, dopo aver finito il caffè «sono venuto a spargere un po' la voce. Stasera ci si diverte. Vi lascio qualche locandina.» Tira fuori da un marsupio qualche biglietto colorato.
«Grazie», rispondo.

"Chissà se verrà anche Håbe- aspetta che? Guarda tu che mi tocca pensare."

Il tizio sembra leggermi nel pensiero. «Ci saremo sia io, che Håbe, che Dana. Se tu e la tua band avete voglia di venire, potreste anche farvi conoscere un po', ci sarà un palco a disposizione e la stampa. Aspettiamo qualcosa come duemila o tremila persone. Bene, ora devo andare. Grazie e buona giornata, ci vediamo stasera!»

Quando l'Armadio abbandona il locale, vado a mettere il grembiule. Mi affretto a fare i caffè per qualche cliente. Doreen mi si avvicina, chiedendomi se quello fosse il fidanzato di Håbe.
«No, non stanno insieme», le rispondo. Servo un cornetto.
«... Ma?», mi istiga.
«Ma? Non c'è un ma. Sono buoni amici.»
Lei cambia argomento. «Andiamoci tutti stasera. Tutti quanti! Sarà la nostra prima mega-uscita tutti insieme. Credo che potremmo ufficialmente inserire Håbe nel gruppo, così come Dana e Sam. Che ne dici? Sì, sì, dovrei dare a Håbe il mio cellulare e...»
«Doreen, cassa», le faccio segno.
«Sei simpatico come un piatto di broccoli!» Sbuffa, allontanandosi da me, asciugandosi le mani nello strofinaccio, e avanzando verdo la cassa, esordendo ai clienti in fila con: «Salve signori, cosa pagate?»

***

Il sole non accenna a tramontare, neanche se lo guardo fisso. Camminando verso lo studio di registrazione, dove ho l'appuntamento coi ragazzi prima di andare alla festa al parco, Manhattan mi sembra una sconosciuta.È come se la luce fosse diversa, questa sera. Mi sento un po' irrequieto, e la cosa non fa certo bene alla mia abitudinarietà. Respiro flebili molecole di ossigeno che orbitano in quel caldo afoso, mentre con stizza arrotolo un poco le maniche della camicia blu.
Pessima scelta.
«Ciao ragazzi», esordisco svoltando l'angolo: sono tutti lì all'entrata, chi fuma e chi si prende a parolacce.
«Eccolo qua! Perfetto, manca solo Damian. Mi ha chiamato, dice che ci raggiungerà dopo.» Taito rimette il cellulare in tasca e mi sorride.
«Quello scansafatiche. Sarà con qualche ragazza, ah.» Jazz espira e il fumo della Camel imbratta l'aria di grigio.

«Ok, eccomi, sono pronta!»
Qualcuno esce dalla porta della sala registrazione, si ferma per un secondo e armeggia con la maniglia chiudendola a chiave. Poi si volta e mi guarda fisso. «Ciao, man!È un piacere rivederti.»
Jazz, che è vicino a lei, le mette un braccio sulle spalle. «Viene anche lei, è la mia accompagnatrice.»

Loren sgrana gli occhi e sguscia via dalla presa, correndo a nascondersi dietro di me. «No grazie... Jared!»
Tutti hanno un sussulto, e il chitarrista inorridisce. «Non chiamarmi mai più così! Bleah, nomi di battesimo. Che schifezza. Andiamo o no?»

***

Scosto una ciocca ribelle dall'occhio destro. Mi guardo attorno: è tutto bellissimo. Sam e la sua squadra hanno fatto davvero un buon lavoro. Inoltre, considerato che il ricavato andrà in beneficenza, questo spettacolo sa di magico.

Centinaia di sedie bianche sono poste davanti al palco in legno, pieno dei disegni dei bambini che hanno partecipato al progetto. Intorno a noi, il parco verde, dove gli stessi bambini si rincorrono e giocano, in attesa che tutto cominci.

A mezzanotte, ci saranno i fuochi d'artificio. La piattaforma mobile è già pronta al centro del laghetto qui vicino: sarà tutto spettacolare.

Dana mi sussurra una cosa all'orecchio, facendomi quasi spaventare: «Ok, io fossi in te farei molto piano a girarmi adesso.È uno schianto
Sam, al mio fianco, nota Dana che mi sussurra qualcosa, e aggrotta la fronte.

Purtroppo non riesco ad ascoltare il consiglio della mia migliore amica. Mi giro velocemente ed eccolo là, in fondo al prato, con tutto il resto della band, che mi viene incontro. Scende le scalette, poi abbandona il sentiero per il prato. Quando mi è a tre metri di distanza, si ferma e... «Ciao, Bambina.»

... Eh. La camicia blu che porta è uguale ai suoi occhi. Mi viene l'assurdo impulso di togliergliela e dato che siamo in pubblico dovrei solo vergognarmi.
«Si, ciao anche a te. Se non ti dispiace devo...»
«Haaaaaabe!» Improvvisamente un paio di braccia mi cingono il collo, e mi ritrovo qualcuno addosso. Cerco di districarmi tra i suoi capelli viola, ma non è per niente facile.

Loren si stacca dal mio collo, la fronte rilassata, anche se è venuta qui coi tacchi quindici centimetri, e non deve essere molto comodo. Ha addosso un top aderente come la gonna a tubino.
Per stare al parco.
Di sera.
Un po' spero che le zanzare se la sbranino.

«Ciao, Loren, che ci fai qui?» Cerco di non chiederlo in modo troppo brusco, ma non sono sicura di esserci riuscita.
«Oh, i ragazzi hanno insistito perché venissi anche io, così, diciamo che non avevo nulla da fare...» Si mette al fianco di man, e mi rendo conto che insieme sarebbero una bella coppia... La narcisista e l'apatico, prossimamente al cinema!

La sua versione non mi convince granché. Non mi è poi così chiara tutta questa situazione. Come fanno lei e man a conoscersi? Decido che le avrei chiesto spiegazioni più tardi.

Sam non ha ancora detto nulla. Saluta man con un confusissimo: «Ciao, ehm, io ancora non so come diavolo chiamarti...»
«Man va benissimo. Lei è...» Lo Sconosciuto fa per presentargli Loren.
«Lo so chi è lei. Ciao, Loren. Håbe mi ha raccontato che ora vi frequentate di nuovo. Sono contento.»
La gatta annuisce. «Sono molto contenta anche io, mi fa piacere ritrovarti!»

«Attenzione, signori e signore! L'Associazione vi da il benvenuto!»

Lo spettacolo inizia, a palco libero, il che significa che chiunque può salire ed esibirsi. I primi sono due bambini, un maschio e una femmina, che danzano insieme sulle note di Mozart. Poi è il turno di un paio di cantanti molto bravi. Decidiamo tutti di sederci solo a quel punto: le sedie sono giù tutte occupate, ma non importa. Ci mettiamo sotto al palco, seduti sull'erba. Mi trovo Loren alla mia sinistra prima che possa dire "A", e Dana dall'altra parte. Sam si sistema al fianco di Dana, e cominciano a parlare tra loro. Man è andato a parlare con qualcuno sotto al palco: chiedo spiegazioni a Taito su cosa è andato a fare.
«Suoneremo una canzone anche noi», mi spiega Taito. «Altrimenti scusa, perché avremmo portato quelle?» E mi indica la chitarra che ha ai suoi piedi, insieme a un altro paio di sacche più in là. 

Me ne rendo conto solo adesso, che stupida. «È fantastico, Taito. Cosa suonerete?»
«Oh, beh, lo vedrai.» E mi fa l'occhiolino, senza più dirmi una parola.

Seguono nell'esibizione un bambino con il suo cane addestrato a rotolare e dare la zampa, una coppia che balla il flamenco, una ragazza che suona il violino. E poi...
«E ora accogliete calorosi i Fourth-off July!»

La folla sempre più grande applaude e incita la band ad andare sul palco. I ragazzi si preparano, e cominciano a suonare.

La riconosco subito: è la stessa canzone che man aveva suonato per me a casa sua, qualche giorno prima. La voce di Damian — che è riuscito ad arrivare al parco esattamente cinque minuti prima che li chiamassero a suonare — scorre lenta e dolce come panna sulle note, poi la canzone diventa più incisiva, più dura: anche la sua voce cambia con il ritmo, mentre Koky alla batteria scandisce ogni nota.

Trattengo il respiro, con gli occhi chiusi, per la maggior parte del brano, e mi sembra di tornare sul divano di man, soli, io e lui. Un brivido mi percorre la schiena.

E mi viene da sorridere.

Quando la canzone finisce segue un fortissimo applauso: saremo più di quattromila persone. Vedo addirittura cinque o sei ragazze saltellare, con un cartellone con scritto "SIETE FANTASTICI FOURTH-OFF JULY". La voce della loro partecipazione questa sera deve essersi diffusa molto velocemente.

Mentre la band scende dal palco, gli applausi non si fermano. I ragazzi firmano autografi, mentre la serata continua: dopo quaranta minuti tornano a sedersi con noi.

«Siete stati WOW!» grida Dana, e stampa un bacio sulla guancia di Koky.
Già... Quei due erano andati via insieme, la sera della festa in discoteca. Dana mi ha assicurato che non è successo niente tra loro: mi ha raccontato che dopo la festa avevano fatto quest'incredibile passeggiata da sbronzi, e mai Koky aveva provato a toccarle il sedere. Lei era rimasta molto sorpresa.
Inutile dire che sono scoppiata a ridere fino alle lacrime della sua espressione seria mentre me lo diceva.

Torno al presente distogliendo lo sguardo da loro due: lo spettacolo continua, e pian piano il sole tramonta.
Alle dieci, comincia il buffet: decidiamo di mangiare sul lago.

Loren mi sta appiccicata tutta la sera, e la cosa mi irrita.È davvero strano che lei sia lì, tranquilla, a mangiare insieme a noi, a scherzare con Jazz e il resto dei ragazzi.
«Allora, Loren...» Non ce la faccio più ad attendere: devo chiederglielo. «... Come fai a conoscere i ragazzi?»
«Sono una delle organizzatrici dei loro concerti, in realtà. E inoltre, mio padre è il proprietario dello studio di registrazione dove provano quasi tutti i giorni: io di solito sono lì.»
Jazz si inserisce nel discorso. «Però è strano, sai? Fino alla settimana scorsa non ti ci avevo mai vista. Me ne sarei accorto prima, se una ragazza come te fosse stata lì...»
Loren arrossisce un poco e si affretta a dire: «Oh, no no ti sbagli! Io sono sempre stata lì. Magari non ci siamo visti perché facevo turni differenti. Comunque, credo proprio andrò a prendere qualcosa da bere. Vieni con me, Håbe?»
«No grazie, passo.»

Si offre Jazz di andare con lei, che non sembra molto contenta, ma accetta.

E proprio quando loro si alzano e si allontanano, il presentatore annuncia che i fuochi stanno per partire e invita tutti a spostarsi vicino al molo.
Corriamo, per non perdere i posti migliori.
Perdo Dana tra la folla, e quando arrivo sulla riva, mi giro alla mia destra per cercarla: ma ci trovo man. I nostri sguardi si incrociano, scontrano e poi tornano indietro.
Fisso la piattaforma galleggiante, dove alcune persone sono a lavoro.

Sentirlo così vicino mi fa contorcere lo stomaco. Non voglio neanche parlargli, non so perché, sono così confusa quando finisco in quegli occhi che mi sento su una giostra girevole.

A un certo punto, si schiarisce la gola. Così lo guardo. «Che c'è?»
Ha un angolo della bocca curvato all'insù, e non mi guarda, sembra studiare il pelo dell'acqua, quando dice: «Sai, Doreen ha detto che tu, Sam e Dana siete ufficialmente entrati a far parte del nostro gruppo di uscite.»
«Quindi? Non ti va a genio?»
«No, no, tutto il contrario. Ma questo significa una cosa, una cosa molto brutta.»

Attendo che prosegua. Le persone sulla piattaforma si allontanano.

«Significa che dovrò davvero darti il mio numero di telefono.»

Lo guardo, mi guarda. Non dico niente, che cosa dovrei dire? 

... Che sono felice?

Continua: «Ovviamente, questo senza aggiungerti alla lista delle mie spasimanti. Giusto?»

I fuochi d'artificio esplodono in mille colori sopra le nostre teste, illuminano i suoi occhi come fosse primavera, e mi sembra di esplodere insieme a loro.

«Giusto.»


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