Capitolo 13 - "Balliamo?"

Parcheggio la macchina nel posto riservato alla band; scendo dall'auto, sentendo aprirsi anche la portiera dietro.

Il piccolo parcheggio di ghiaia sul retro, riservato agli "ospiti speciali" è occupato solo da una macchina oltre la mia: quella di Damian. Avrà portato gli altri con lui.

«Prego, di qua», faccio strada.
«Wow!», sussurra Dana.

L'edificio davanti a noi è molto bello. Ha delle grandi vetrate scure e dei fili al neon lo illuminano negli angoli, salendo per tutta la sua altezza. Si intravede fin da qui giù la terrazza in cima, illuminata a giorno dalle luci all'interno.
Il palazzo in realtà è un albergo a quattro stelle, che di sera però funge anche da discoteca.

«A che piano è la festa?», chiede Håbe, mentre cominciamo a incamminarci verso l'entrata. Il rumore dei tacchi delle ragazze scandisce i secondi; superiamo il piccolo cancello controllato dal bodyguard a cui mostro il mio tesserino e camminiamo fra due file di siepi. Il cielo è sgombro di nuvole e si è alzato un vento fresco. Intorno a noi, alti grattacieli svettano e ci osservano silenziosi, mentre la notte luminosa di New York sfavilla ed è talmente potente che ti viene quasi da chiudere gli occhi.
«All'ultimo piano. Il cinquantesimo. Le feste più belle le abbiamo fatte tutte qui», ricordo. E scuoto la testa.
«Davvero?» Una voce, alla nostra destra, tra le siepi. «Temo di non ricordarne nemmeno una, man. E tu?»

Una ragazza bionda – quella ragazza bionda – è seduta su una panchina alla nostra destra. I suoi occhi celesti mi scrutano dalla testa ai piedi; fa l'ultimo tiro di sigaretta.

E si alza.
E io sento l'impulso di tornare a casa.

Indossa un abito turchese semitrasparente, che non lascia molto spazio all'immaginazione. Il corpo perfetto e sinuoso è messo in risalto dal tessuto leggero, che accentua le sue movenze. Ci si avvicina, sorridendo, e osservo il leggero trucco sul suo viso, quasi inesistente – ma infatti a cosa le servirebbe? Nella mano destra tiene una piccola pochette azzurra con i manici.

I miei occhi si spostano quasi automaticamente su man, che non fa neanche una piega, come se fosse abituato a vedere ragazze così ogni giorno. E mi rendo conto che è vero. Insomma, lui con quella ci lavora... e non solo.
Scaccio quei pensieri, e abbasso lo sguardo, un gusto amaro in bocca e un senso di delusione.

«Già, forse ho mentito. Anche io non me le ricordo, Doreen», scherza man, e poi si volta verso Dana, per presentarla: «Doreen Foster, ti presento Dana Hyman.»

Le due si stringono la mano. «E lei la conosci già», continua man, guardandomi.
Doreen mi sorride. «Ciao, Håbe. Sei davvero uno schianto.»
Mi metto a ridere, alzando le sopracciglia, e arrossisco. «Io? Ti sei vista?»
Fa un gesto con la mano, come per dire "ma ti prego!" e sembra sensuale anche in quello. «Dai, bando alle ciance, meglio andare.»
A quel punto, la bionda concentra la sua attenzione su man, prima di dire: «Quando ho detto a Viviette che saresti venuto, per poco non collassava sul bancone del bar.»
Man si stropiccia la faccia un istante e dopo mette le mani nelle tasche dei pantaloni, sussurrando: «C'è anche lei.»
Non è una vera e propria domanda, sembra più una lamentosa affermazione.
«Oh, si. È tutta ansiosa di vederti!», ride Doreen, e gli dà una piccola spinta sulla spalla. Lui si ritrae subito di qualche metro a sinistra, e borbotta qualcosa sottovoce, che non riesco a captare.

Io e Dana rimaniamo dietro, mentre tutti e quattro saliamo le scale d'ingresso. La mia amica mi si avvicina e mi guarda interrogativa, poi mi sussurra: «Ma stanno insieme?!»

Già. Guardando il modo in cui Doreen posa gli occhi su man, è la prima cosa che pensi. Si intuisce facilmente che quella ragazza stravede per lui. Però, in un secondo momento, notando come lui si comporta, la freddezza che lo caratterizza... allora viene spontaneo dire: "no, non stanno insieme."

Ed è così che rispondo a Dana, poi aggiungo: «Lei è quella ragazza che ho trovato da lui scalza, la scorsa domenica...»
Leggo un po' di preoccupazione nei suoi occhi.
«Cosa c'è?», le chiedo.
«Beh... sembra una fotomodella. Non intendo dire che tu non sia bella Håbe, ma lo sai, io sono una persona realista. Insomma...»
Alzo una mano per farla tacere, e probabilmente sono diventata rossa quanto il mio vestito. «Io voglio solo essere sua amica, ok? Nient'altro, perché non potrà mai esserci. Fine della questione.»

Non sembra molto convinta, ma annuisce e fa cadere l'argomento.

Le porte dell'ascensore si aprono e la terrazza colma di gente ci dà il benvenuto. Tutti si girano a guardarmi; tutto il mio autocontrollo scende in campo, e mi preparo psicologicamente a ciò che mi aspetta, in modo da non tornare di corsa alla macchina.

Un boato di applausi si leva dalla folla e decido di stare al gioco: faccio un inchino. «Buonasera», dico.

Subito i miei coglioni preferiti vengono a importunarmi: in un attimo trovo Koky alla mia destra che si diverte a tirarmi le bretelle e Jazz che mi saluta ruttando a sinistra.
«Ehi, man!», mi saluta Taito e allarga le braccia, come a sottolineare la grandezza di quel posto.

La terrazza dell'albergo è enorme. Non appena uscito dall'ascensore, la prima cosa che mi colpisce è il soffitto in vetro, che se New York non fosse così luminosa, beh, sarebbe un bell'osservatorio. Ma direi che anche New York è una fantastica visione.
A sinistra, l'area bar lunga fino in fondo la stanza sfila elegantemente: gli scaffali bianchi e gli sgabelli neri sono disposti in piccoli gruppi, e un mucchio di gente è affollata a ordinare questo o quest'altro drink alle bariste: mentre osservo alzo la mano e una di loro ricambia il saluto.
Poggiati alle parete dietro le bariste, centinaia di scaffali colmi di bottiglie con lo sfondo al neon.
A destra invece i muri non esistono, c'è solo vetro e altri neon a illuminare una grande zona circolare occupata da divani e poltrone gonfiabili, tutte bianche ma che prendono i miliardi di colori che le luci proiettano. Ci sono poche persone sedute: quelle che non bevono al bar sono tutte in fondo a ballare sull'enorme pista.

Mentre le mie orecchie cominciano ad abituarsi a quel sovrapporsi di risate, parole, conversazioni e note, saluto i miei amici. Poi mi scanso un po' a destra e mi volto.
Vedo Doreen passarmi al fianco e farmi un cenno verso il bar, per avvertimi che sarebbe sparita. Ma non è lei che sto cercando; mi sporgo un po' e incrocio gli occhi di Håbe che è rimasta indietro.
«Muoviti», le dico e accompagno la parola con un gesto della mano.

Lei mi sorride, visibilmente emozionata e fa un passo proprio quando la mia visuale viene completamente oscurata dalla testa di Dana che mi si piazza davanti.
«Oh mio Dio! Ti prego presentameli. Sto per impazzire!»
Comincio sul serio a chiedermi dove Håbe abbia trovato questa pazza euforica.
«Ragazzi, vi presento Dana Hyman. Dana, questi sono Jazz, Damian, Taito e Koky.»

Tutti le stringono la mano. Diventa talmente rossa quando arriva a Koky che penso possano esploderle le guance da un momento all'altro, così faccio un passo indietro e mi sposto, mentre gli altri cominciano a fare conversazione.

Poi mi schiarisco la voce molto forte, per farmi sentire in quel casino.
Tutti si girano e mi guardano, ma si concentrano subito sulla ragazza al mio fianco.

«E lei è Håbe», dico. Faccio una pausa, capendo subito di non voler restare lì. «Ora però vado a prendermi qualcosa. A dopo.»

Mentre tutti si lanciano su Håbe, io mi infilo tra un gruppo di persone e ne schivo altre tre. Cerco in tutti i modi di arrivare al bar senza finire schiacciato da qualcuno, ma è praticamente una missione impossibile. Alla fine rinuncio.
Non riesco a sopportare di non avere il mio metro minimo di distanza con il resto della popolazione mondiale. Quindi, mi siedo su uno sgabello.

E Doreen compare, con in mano due drink.
Si siede accanto a me, e me ne porge uno.
«Grazie», le dico.
Lei schiocca la lingua. «Mi stai deludendo, tu. Giravano un sacco di voci prima tra i guys. Dicevano che ti eri trovato una ragazza, che era anche carina e ho subito capito che si trattasse di Håbe... ma man! L'hai lasciata in pasto ai piranha!»

Prendo un sorso e mi ritrovo a bere mojito. Un ragazzo dietro al bancone si sta esibendo in uno di quei numeri da bar. Proprio in quel momento agita il bicchiere senza coperchio: il liquido al suo interno, ghiaccio compreso, schizza in aria ma lui lo prende al volo con l'altro bicchiere, tra gli "ooooh" generali.
Poggio i gomiti sul tavolino alto, dopo essermi avvicinato con lo sgabello.

«Mi stai ascoltando?», chiede, alzando la voce, Doreen.
«Sì, sì. Vuoi che ti dia una risposta ovvia, giusto? Ok. Eccotela: non è la mia ragazza, Doreen.»
Lei si avvicina al mio volto per sentirmi meglio mentre parlo. Siamo molto vicini, e le nostre braccia si sfiorano. Resta un attimo ferma in silenzio, prima di allontanarsi nuovamente. Prende un sorso dal suo bicchiere e la vedo rimuginare su qualcosa. I begli occhi azzurri si velano di nebbia. «Man...», comincia a dire, ma si blocca. Poi sospira.
Sento incertezza nella sua voce. Da dove sono non riesco a vederla adesso; si è nascosta tra i capelli.

«Che c'è?»
«Beh... Pensavo di chiederti se...»,  tentenna, ma subito dopo tira su la testa di scatto. «Se ti andava di venire con me in pista. Sai, Viviette mi ha pregato in ginocchio di portarti da lei quando saresti arrivato.»
So che Doreen avrebbe voluto dire qualcos'altro. Faccio un sorso. «E questa cos'è, una minaccia?»
Lei scoppia a ridere, una risata quasi sollevata. «Andiamo.»
Si alza in fretta, mettendosi apposto il vestito e sparisce veloce tra la folla, col bicchiere in una mano e la borsa nell'altra.

La seguo dopo aver finito il mojito, mentre mi guardo intorno. Poco più in là c'è Håbe, seduta su uno dei divanetti bianchi. Batte il piede a ritmo di musica, e annuisce a qualcosa che le sta dicendo una ragazza al suo fianco. Sembra annoiata.

Proseguo nella folla, facendomi largo e salutando qui e là. Intravedo anche Oliver, e faccio finta di non averlo sentito urlare tutto contento "«Ehi, man!»".
Individuo Doreen che balla con Viviette e qualche altra ragazza. La bionda mi prende per il polso e mi trascina sulla pista.
«Lasciati andare, su!»
«No, grazie!» urlo tra il frastuono. Siamo proprio davanti a una delle casse, e sento intorno a me il pulsare dei corpi delle persone al ritmo con la musica che mi scava nel cervello.
«Sei proprio inutile!», dice Doreen ridendo. Mi volto verso Viviette. «Sono venuto qui in mezzo solo per salutarti, ora, se non vi dispiace bellezze, vi lascio per respirare.» Scoppiano tutte a ridere, Viviette mi regala un sorrisone, accentuato dal suo rossetto carminio, e io me la filo.

Esco da quella massa di gente e respiro. Ho un disperato bisogno di una sigaretta e un po' d'aria. Mi dirigo verso la porta; solo a quel punto vedo Håbe ancora seduta sul divano.
Mi fiondo verso il bar, recupero un bicchiere di vodka al volo e decido di raggiungerla.

Alzo una mano, lei mi sorride, sorpresa. «Pensavo di non rivederti più, che ti avessero risucchiato in un vortice di alcool e tette.»

«Mi sei mancata anche tu in questi quaranta minuti. Che fai, mummia, hai intenzione di stare qui tutta la serata?», chiedo, mentre faccio un sorso dal bicchiere.
«Eri tu quello solitario dei due. O sbaglio?», mi provoca, e sorride.

Alzo le braccia e indico il bicchiere di vodka che ho in mano. «Ma io ho l'alcool.»
«Ma non sai ballare.» Incrocia le braccia.
«Non è che non so ballare. Non so ballare tra la gente. Perché odio la gente.»
«Come? Non ho capito.» Si sporge verso di me, così mi accuccio davanti a lei in modo da poterle parlare in quel casino. I suoi occhi verdi sono profondi come l'oceano.
Hanno alzato ancora la musica.

«Niente, niente», dico.

Tiene le mani incrociate sulle ginocchia, e mi osserva con un sorrisetto storto poggiato sulle labbra.

«Ti sfido. Balla con me.»

«Lì in mezzo? Non ci penso proprio.» Scuoto la testa.
«Allora seguimi. Ho bisogno d'aria.»
Si alza davanti a me, costringendomi ad arretrare. Sembra leggermi nel pensiero: anche io ho bisogno d'aria. Le indico una porta che dà sul balcone esterno della discoteca.

Appena fuori, mi godo l'aria fresca. Il vento mi accarezza il viso e le luci della città sotto di noi offrono un meraviglioso spettacolo. Anche da lì fuori si sente la musica.

«Guarda.» Håbe mi indica a sinistra, dove il balcone prosegue. Noto qualche persona che balla poco più in là. «Gente a cui non piace la folla. Mi ricorda qualcuno.»
Mi poggio con la schiena sulla ringhiera e mi accendo una sigaretta, poggiando il bicchiere su un tavolino.
Chiudo gli occhi e lascio il fumo entrare e uscire dai polmoni.

Quando li riapro, Håbe è al mio fianco, a guardare il panorama che si stende immenso sotto di noi. I grattacieli sembrano così vicini da poterli toccare.

Le persone che percorrono le strade, invece, quelle sono così minuscole. Mi viene in mente che alla fine non sembrano altro che formiche con nidi un po' più grandi.

«Vuoi un po'?», mi chiede, indicandomi il bicchiere.

«Cos'è?»
«Vodka.»

Deglutisco. Forse dovrei dirgli le cose come stanno.
Nella mia testa appare una specie di filmino: quello che succederebbe se gli dicessi "sai, non mi sono mai ubriacata, e tantomeno sono mai stata ad una festa del genere". Nel filmino lui mi fissa, mi chiede se sto scherzando e quando gli dico di no, scoppia a ridere e se ne va lasciandomi lì e correndo da MissBiondaGambeLunghe.

E quindi meglio lasciar stare. Tanto che sarà un po' di alcool?
«Va bene, grazie.»

Prendo il bicchiere e faccio un sorso. Strizzo gli occhi mentre mi pizzica la bocca e il cervello, ma poi faccio finta di nulla.
So di non poter ingannare man. Quello lì è un grande osservatore e avrà sicuramente già notato qualcosa. Ma me ne frego. Poggio il bicchiere di nuovo sul tavolino, insieme alla borsa.
«Balliamo», gli dico.

Lui fa uno strano suono con la bocca e mi guarda della serie "come, scusa?"
«Dai. Sei un grande conquistatore o solo un coniglio?», lo provoco. 

Lui si diverte così tanto con la gente. Perché non posso farlo anche io con lui?

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