Capitolo 12 - Dana


***

«Allora, senti, problema: se metto quello rosso mi ingrossa, se metto quello bianco sembro una monaca. Mi butto sul solito nero?»

Una Dana Hyman molto disperata sta gettando all'aria tutto il suo armadio. Cerco di farmi strada nella sua stanza, badando a non calpestare nessun vestito. Lei è piegata nell'enorme guardaroba e si vedono solo le sue gambe. Una camicetta nera vola via e va ad appendersi sulla lampada da terra vicino la finestra con le tende arancioni.

La camera di Dana è proprio come Dana: chiassosa, colorata e... unica. Le pareti sono dipinte di una miriade di graffiti dai colori sgargianti. Le tonalità si amalgamano ma non si mischiano mai: osservando in un preciso punto potrai sempre distinguere una determinata figura, che mai stonerà con le altre intorno. È davvero bravissima a disegnare.

La parete a sinistra, sui cui è poggiata la testiera dell'enorme letto a baldacchino, è piena di poster e fotografie appese a fili di luci di Natale che vanno da una parte all'altra della parete e fanno anche più giri.

Ovviamente le lenzuola sono arancioni. Il pavimento è di legno, ma anche lì non poteva non divertirsi: dopo aver finito le pareti aveva così tanta vernice avanzata che ha buttato a terra secchiate di colore totalmente casuali. Ora sembra di trovarsi all'interno di una di quelle valigette per acquerelli.

Di fronte al letto c'è l'enorme cabina armadio, che occupa tutta la lunga parete, sulla quale sono attaccate un numero infinito di altre fotografie, molte scattate da me.

In fondo alla stanza - introvabile al momento, sommersa da tutti quei panni - c'è la sua scrivania, che ha deciso di mettere scoperta al centro della stanza mentre pitturava: l'effetto è che anche quella ha tutte le tonalità del mondo, e probabilmente qualcuna in più. Non mi sorprenderei se involontariamente Dana avesse creato un nuovo colore; non è una cosa difficile da immaginare.

Quanto a lei, proprio in quel momento riemerge dalla cabina. Descrivere Dana caratterialmente è impossibile. E anche se ne fossi in grado, non lo farei mai. Dana devi conoscerla e basta. È come comprare un libro e chiedere a qualcuno che l'ha già letto di dirti il finale.
Ha un tatuaggio dietro la spalla che può rendere l'idea, una frase che dice: "dentro di me coesistono le due facce della luna".

Suo padre è afroamericano e sua madre è portoghese. Lei è nata in America. Sa parlare correttamente quattro lingue: americano, portoghese, spagnolo e inglese.

Dal padre ha preso sicuramente la carnagione scura, la bocca grande e carnosa. Dalla madre, invece, ha preso gli occhi grandi e sensuali e il naso all'insù. I capelli sono ricci: gli stretti boccoli arrivano poco sopra le spalle, incorniciando il viso dalla forma tonda. È alta, ma non troppo, ha delle bellissime gambe e curve importanti, che spesso mette in mostra.

Questa è Dana Hyman. La mia modella preferita quando ho voglia di scattare un po' di foto e la persona più bella del mondo.

Certo. Magari non proprio in questo istante, mentre con un gesto di stizza si passa una mano nei capelli e li scompiglia tutti, disperata.

«Dana, smettila! Lo sai anche tu che stai bene con tutto, no? Sai già come finirà. Tu te ne proverai cinquecento, io ti dirò il mio preferito e tu metterai esattamente l'opposto, ma sarai comunque uno spettacolo.»

Lei fa un gesto con la mano, come a dire "ma smettila". «No, Håbe, ho davvero bisogno di un consiglio. Sono troppo agitata e quando lo sono, sai benissimo che non riesco neanche a sbattere le palpebre, figurati scegliere cosa mettermi.»

«Che ne dici di quel vestito nero? Te lo sei messa a quella festa di qualche giorno fa...»
«Esatto, l'ho messo! Sicuramente ci sarà gente importante e magari qualcuno mi ha già visto...»

Sospiro, rassegnata, e mi alzo. Vado nel suo reparto "robe-serie", che si trova nell'ultima anta in fondo alla stanza. La apro e mi metto a spulciare: giusto tra un abito lungo di pizzo e un copri-spalle di seta, trovo il vestito perfetto.

«E questo qui?», chiedo, esterrefatta. Lo estraggo prendendolo con la stampella e glielo mostro. Lo giro, per mostrarglielo, e lei si avvicina a me. «Dana, ha ancora il cartellino! Devi assolutamente mettere questo, è perfetto!»
Lei spalanca gli occhi e comincia a saltellare sul posto. Afferra il vestito e mi abbraccia, mentre urla di gioia. «Cosa farei senza di te?! Me lo ero proprio dimenticato, questo! Santo cielo, è stupendo! Grazie menina bonita! Ora tocca a te. Ti ho preso un regalo», ammicca, con tanto di occhiolino, dopo essersi staccata dall'abbraccio.
«Cosa? Dana? Ma sei matta? Non mi avrai mica comprato qualcosa! La devi smettere...»

Ma lei scuote la testa, su di giri. «Non ti avrei mai permesso di metterti il solito vestitino scialbo, ok? Adesso chiudi gli occhi.»

Obbedisco, anche io emozionata, lo ammetto. Era da tanto che non mi sentivo così. Man sarebbe arrivato fra due ore e noi stavamo ancora scegliendo cosa mettere. Ah, si: ero lì da quella mattina. Giusto per metterlo in chiaro.

«Aprili!», squittisce.
Li apro, e quello che vedo mi toglie il fiato. «Oh mamma mia!»
«Allora, che ne dici? Ti piace? Non è meraviglioso? E ho preso la tua taglia, era l'ultima rimasta!»
«Dana, ma lo avrai pagato un sacco!»
«Ma no, sciocca. Viene dal negozio di mamma, le hanno fatto un sacco di sconto: praticamente non l'ha pagato. Perché credi io abbia tutta questa roba?»

La madre di Dana è la direttrice di due negozi di abbigliamento molto famosi e anche abbastanza costosi. Molto spesso, Dana riceve vestiti che magari passano di moda oppure che nessuno compra e che finiscono in magazzino, dimenticati, ma pur sempre bellissimi.

«Va bene, allora. Ma devi smetterla di fare così!»
«Shhh!», mi zittisce, con una linguaccia.
«Bene, vado a sciacquare i capelli, ché ho tolto il rosso rimasto.»
«E perché mai ti sei decolorata? Vuoi tornare castana? Mi piace!» Alza i pollici, poggiando il vestito sul letto e cominciando a mettere un po' d'ordine.
«Me lo ha fatto notare SenzaNome, dice che castana starei meglio, e siccome voglio cambiare ho intenzione di ascoltarlo. D'altronde sono rossa da tre anni ormai: sento che è il momento di cambiare.»
Lei annuisce, convinta.

Non sono più quella che ero prima. È ora di voltare pagina. Sento che voglio ricominciare, e quando una donna vuole farlo, si sa, parte dai capelli.
«Allora di corsa, è tardi, ràpida querida!» Mi dà un paio di pacche sul sedere, ridendo, e spingendomi verso il bagno.

***

L'orecchino mi scivola e cade a terra. Lo raccolgo proprio mentre Dana passa dietro di me e va spedita in camera sua. Torno a guardarmi nello specchio del corridoio: i capelli lisci e setosi, castani proprio come sono al naturale, un po' di ombretto marrone e del rossetto (di Dana) color ciliegia.

Mi allontano di un passo e mi sorprendo a sorridere.

In questi giorni in cui io e SenzaNome non ci siamo visti, devo ammettere che mi è mancato. Ho quasi il bisogno di vedere quegli occhi blu. Scuoto la testa energicamente.
Che mi prende?
Mi sta davvero succedendo di nuovo, a distanza di un anno?
Lì, di fronte al riflesso di me stessa, non leggo più nulla nei miei occhi di quel dolore e di quelle pene, di quei giorni passati a piangere e quelle notti ricolme di incubi che non mi facevano dormire. Certo, di incubi ne faccio ancora, spesso. Ma sono sicura che migliorerà.

Sono pronta a ricominciare.

Dana mi si affianca e si mette a guardarmi, con la bocca spalancata. «Sei meravigliosa querida, da lasciare senza fiato. E il tuo ragazzo ha proprio ragione, castana è tutta un'altra cosa.»

«Il mio... cosa? Ma scherzi?! Ma quando mai...», arroscisco e scuoto la testa ridendo fragorosamente. Ci abbracciamo. La guardo anche io: è fantastica. Il tubino arancione le sta d'incanto e le mette in evidenza le forme, fasciandola nei punti giusti. La lunghezza è perfetta, poco sopra il ginocchio. Le scarpe col tacco di vernice dorate (mie) si intonano ai grandi orecchini che porta, al trucco sugli occhi e alla pochette. I capelli sono lasciati al naturale, con solo una piccola treccina da un lato.

È meravigliosa.
«Anche tu sei a dir poco fantastica, Dana.»

«Ancora non mi sembra vero, Håbe», dice, sudigiri, mentre usa le mani come se fossero dei ventagli, per farsi aria sulle guance rosse d'emozione. «Io, te, i Fourth-off July. Potrò conoscere Taito, ma soprattutto...»
«Kristopher!», esclamiamo insieme e ridiamo. Si è presa una bella cotta per quel batterista. Chissà se man sa se è fidanzato oppure no...
«Veloce, mancano cinque minuti. Andiamo da te, forza!»

Scendiamo in strada dopo aver salutato i genitori di Dana e percorriamo a piedi la poca distanza tra le nostre case. La mia amica abita una decina di case prima della mia, sempre sulla stessa via. Ci conosciamo fin da bambine, proprio come me e Sam, ma con la differenza che io e Dana siamo sempre state unite. Con Sam invece, il rapporto si è intensificato da quando...
Lascio cadere il pensiero.
"Non stasera."

Arriviamo di fronte casa mia ed entriamo. Saluto mamma e papà con un bacio, e gli dico che tornerò domani, visto che finita la festa ho intenzione di dormire da Dana.

«Chi vi viene a prendere?», chiede mia madre, da brava investigatrice. I capelli castani come i miei le cadono sulla spalla destra in una treccia scomposta e la bocca è nella sua tipica espressione da "tu-così-bella-devi-fare-attenzione".

«Tranquilla, mamma. Viene quel ragazzo che mi ha portata a casa l'altro giorno, quando sono svenuta.»
Lei annuisce, poi guarda mio padre, che sorride. Lei lo incalza con lo sguardo ma lui continua a sorridere. «Tu non dici niente, Victor?»
«No. Sono due brave ragazze e hanno diciotto anni, cara. Lasciale divertire, sanno badare a loro stesse.»

Mio papà è un brav'uomo. Da un po' ha deciso di tagliarsi i capelli a zero e la barba che porta comincia a essere un po' grigia ai lati. I suoi occhi verdi sono bellissimi, identici ai miei. Quando ero piccola si divertiva a dirmi che glieli avevo rubati, per poi farmi il solletico.

Mio padre, da un anno, ha sempre la solita espressione quando mi guarda: come se si sentisse colpevole per quello che mi è successo. Sappiamo tutti e tre che lui non ha colpa di nulla e glielo ho detto tante volte. So che non è facile, lasciarsi tutto alle spalle ma forse per la prima volta questa sera sento di chiudere una porta immaginaria che da troppo tempo mi teneva prigioniera.

E sento anche suonare un clacson.
Al mio fianco, Dana impazzisce.
Il mio cuore comincia a battere più veloce. Vado alla finestra.

«È arrivato. Ciao mamma, ciao papà!»

Apro lo sportello e scendo, chiudendolo. Mi appoggio alla macchina con la schiena e incrocio le braccia. Le luci di casa sua sono accese... così come quelle della casa affianco. Mi sento osservato e dopo qualche secondo mi rendo conto che non mi sbaglio: alla finestra della casa a sinistra di quella di Håbe, c'è Sam.

L'Armadio mi saluta, alzando la mano.

Ricambio.

È stata una giornata abbastanza piena, e sono stanco. Non credevo di farcela ad andare alla festa fino a qualche giorno fa: ero sicuro che avrei avuto il turno di sera al bar, ma sono riuscito a farlo spostare. Ho lavorato fino alle sei e mezza, ho staccato, una doccia veloce e sono subito ripartito. Non ero neanche sicuro di aver messo i pantaloni, ma ora che guardo si, ci sono.
Chissà come sarà questa festa, quanta gente dovrò schivare. "Spero poca", ma so che non sarà così. Ormai abbiamo costituito una specie di compagnia e la quantità di imbucati che ci ritroviamo ad ogni festa è pazzesca, sono quasi più di noi.

Non dico che non mi piaccia, conoscere nuova gente. È ché non mi piace stringere le mani, non mi piace "mi chiamo X... e tu?".
Non lo so, c'è qualcosa che davvero non va in me. E anche in questi pantaloni. Avrei dovuto prendere una taglia più grande. Non di me. Dei pantaloni.

La porta della casa di fronte a me si apre e sento delle voci.

Una ragazza dai capelli ricci e scuri esce dalla porta, fasciata in un vestito arancione. Deve essere Dana, l'amica di Håbe.
Sono sicuro che molti miei conoscenti sbaverebbero dietro quelle curve accentuate dal vestito aderente, ma non io. È bella, ma fin troppo esagerata. Ne ho viste di ragazze nella mia vita, non tante ma quante basta per conoscere i miei gusti.

E li vedo scendere tutti insieme dalle scale, proprio dopo Dana.

Nel senso, ok: Håbe. Castana. Avevo ragione: sta molto meglio così. Quel colore le valorizza gli occhi verdi; sembrano screziati di un marrone scuro, questa volta. Mi guarda e si blocca al penultimo scalino. Porta una maglietta con le maniche bombate che le arriva fin sopra l'ombelico, rossa, come le sue labbra. I pantaloncini corti sono a vita alta con dei bottoni marroni, dello stesso colore della borsa che porta a mano e delle scarpe alte di cuoio.

È truccata quel che basta: mascara, un po' di fondotinta, credo qualcosa di marrone sulle palpebre. Le guance anche sono colorate, ma dubito che sia trucco quello.
Ecco, si. Ammetto che rimango un attimo spossato. Ma un attimo, non di più, ho una certa reputazione da mantenere.

Mi schiarisco la gola, e apro la portiera posteriore della Nissan usata. «So che non è una decappottabile, ma ho anche un affitto da pagare, io.»

Mi blocco sul secondo scalino, quando metto a fuoco la sua figura. E rimango senza fiato. È indescrivibile quanto è bello. Mentre scandaglio ogni centimetro della sua figura, i suoi occhi si spostano da Dana a me, e anche lui mi osserva.

Ha i capelli pettinati, un po' tirati indietro; non lo avevo mai visto così in ordine. Gli occhi sono meravigliosi come sempre e risaltano ancora di più... ma forse sono io che sto impazzendo. Indossa una camicia bianca, dei jeans neri, con una cinta in vita nera; da essa partono delle bretelle dello stesso colore. Non lo avrei fatto tipo da bretelle, e invece dire che ci sta da Dio è riduttivo.

Cerco di respirare, sono sicuramente arrossita. Il mio cuore ha cominciato a battere così forte che temo possa sentirlo anche lui, nonostante la distanza.
M'impongo un po' di contegno, e finisco di scendere le scale.
Lui tossisce, poi apre la portiera e dice: «So che non è una decappottabile, ma ho anche un affitto da pagare, io.»
Io e Dana ci mettiamo a ridere, e lei risponde: «Tranquillo, per uno dei chitarristi migliori del quartiere, possiamo passarci sopra!»

Impongo alla mia voce di non tremare e ai miei occhi di non guardarlo, mentre esordisco: «Beh, caro SenzaNome, lei è Dana Hyman, la mia migliore amica. Dana, lui è man.»
«Piacere!», esclama lei mentre allunga la mano. Le do un colpetto col gomito. La ragazza mi guarda. Poi spalanca gli occhi e sembra ricordare, così ritira il braccio.

SenzaNome mi guarda interrogativo.
«Le ho detto che non ti piace il contatto fisico», spiego, sottraendomi a quel volto fin troppo bello.
Ma riuscire a non guardarlo è una cosa praticamente impossibile.

Lui annuisce. «Andiamo. È già tardi.»
«Sappi che io amo la tua band! So un sacco di vostre canzoni, insomma, il vostro primo EP è stato il mio regalo di compleanno l'anno scorso e wow! Penso che abbiate davvero talento, sai, la canzone numero cinque...»
Dana attacca a parlare, mentre andiamo verso l'auto. Io rimango dietro di lei, e mi concentro nel tentativo di non cadere dai trampoli.

Quando alzo nuovamente lo sguardo, finalmente arrivata alla portiera posteriore, man mi sta guardando, ignorando del tutto quello che Dana sta dicendo. Mi viene da ridere ma mi trattengo.

Mi fa l'occhiolino, inchiodandomi lì, poi sale al posto del guidatore.

Quando il mio cuore si riprende dallo shock e ricomincia a pompare sangue, penso: "Confermato, ormai. È proprio uno stronzo."

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top