Sogno su tela
Autore: SamAdel13
Pacchetto: Pesci
Citazione: "Mia piccola Amélie, lei non ha le ossa di vetro: lei può scontrarsi con la vita. Se lei si lascia scappare questa occasione, con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e fragile come il mio scheletro. Perciò si lanci, accidenti a lei!" (Raymond, Il favoloso mondo di Amélie)
Mira uscì dalla doccia, prese l'asciugamano e rispose al telefono, «Sì, sì. Tra dieci minuti, certo.»
Sono in ritardo, sono in ritardo, sono in ritardo.
Appoggiò il telefono sul letto e, tenendo d'occhio l'orologio, si asciugò e si vestì.
Sette minuti, dai, dai.
Raccolse i capelli con la pinza e sentì le gocce d'acqua scenderle lungo la schiena.
Cinque minuti.
Afferrò il telefono, la borsa e uscì di casa mettendosi le scarpe per le scale.
Non ce la faccio, non ce la faccio.
Avviò il motore dell'auto e si inserì nel traffico.
«Muovetevi, forza.»
Tre minuti.
Accese la radio e Giovanni secondo Matteo fuoriuscì dalle casse, «No. Questo, no.» Cambiò frequenza e si sintonizzò su un'anonima stazione, la voce annunciava "Grandi successi anni '80".
Si fermò al semaforo e guardò il cellulare, l'ora segnava le sedici.
Sono in ritardo.
Accese una sigaretta e alzò il volume mentre la radio trasmetteva Time After Time.
Come si fa ad essere in ritardo il primo giorno di lavoro? Accidenti...
Parcheggiò l'auto e scese di corsa, salì le scale del primo piano e rallentò alla terza rampa.
Non potevano stare al primo piano?
Arrivata al quarto piano si portò una mano al fianco e prese qualche boccata d'aria.
Devo smettere di fumare. O iniziare a fare palestra.
Come no.
Lo so ma prima o poi lo faccio.
Bussò alla porta: le aprì una donna con il naso aquilino e un caschetto scuro, lo sguardo non ammetteva scuse.
«Salve, mi spiace aver tardar...»
«Le persone che non sanno rispettare gli orari sono inaffidabili.»
«Ha ragione. Se non vuole farmi fare la prova lo capisco.»
«Ho un appuntamento importante e non ho il tempo di sostituirti. Oggi resti ma se ritardi ancora non ci sarà più bisogno che ti presenti. Non ti farò il contratto finché non capirò che sei responsabile.»
«Va bene signora.»
«Vieni, mio padre è di qua.»
Il corridoio era illuminato da delle applique in ottone e le pareti erano guarnite di quadri di paesaggi.
Che belli...
Chissà quanto valgono.
Chissà se conosco qualche pittore.
«Di qua.»
Mira voltò a sinistra seguendo la signora.
«Permesso...»
«Signorina D'Amico, questo è mio padre, Cristian. È un po' sordo quindi deve parlare ad alta voce e sempre frontalmente.»
«Va bene.»
Che sala!
Mira si mise davanti a Cristian e allungò la mano ma si fermò vedendo che dormiva. L'uomo indossava pantaloni, camicia e una giacca coordinati sul marroncino.
Non avrà caldo?
Le persone anziane e allettate, o in sedia a rotelle, devono stare più coperte per via della circolazione.
È Luglio. Levagli la giacca.
«Papà. Papà.» La signora gli posò una mano sulla spalla e lo scosse, «Papà!» L'uomo si spaventò e sgranò gli occhi, si guardò attorno e a Mira sembrò spaesato.
Assomiglia a nonna.
Avrà la demenza.
«Papà, questa è Mira, la nuova badante. Resterà con te tutti i pomeriggi e la sera fino a quando non rientrerà Consuelo», disse ad alta voce e Cristian annuì con la testa. «Dimmi tu se devo prendere due badanti per coprirne una», si voltò verso Mira e le allungò un'agenda, «Qui ci sono i numeri di emergenza e il mio cellulare. Inoltre ci sono degli appunti lasciati da Consuelo sulla cena e sulle faccende da sbrigare.»
La donna si allontanò facendo cenno di seguirla.
«Questo è il bagno. Nell'armadio trovi gli asciugamani, coperte, lenzuoli e le tele cerate. Di qua invece c'è la camera da letto. Sai usare un letto elettrico?»
«Sì.»
«Bene. Nell'armadio ci sono i vestiti, quelli sporchi li puoi mettere nella cesta in bagno e di qua c'è la cucina. La lavastoviglie è rotta, la spesa la fa l'altra badante quindi, se vuoi mangiare qualcosa di particolare, te lo devi portare.»
«Va bene.»
Non mi sono portata nulla oggi...
Brodino.
«Per cena fagli un brodo...»
Ecco.
Cavoli.
«Sul tavolo c'è la lista delle medicine che deve prendere. Mi raccomando, Consuelo ha scritto un cucchiaino di lassativo ma tu dagli un cucchiaio grande.»
«Ok...»
«Ti ho detto tutto, l'altra badante verrà a mezzanotte. A quanto pare non poteva fare il turno pieno perché deve aspettare che il marito esca da lavoro per tenergli i bambini. Tu hai figli?»
«No.»
«Bene, la prole è un dispendio di tempo, soldi ed energie. Non averli. Allora, ci vediamo domani pomeriggio alle sedici e, se non sarai puntale, non avrai il contratto. Intesi?»
«Certamente.»
È peggio della Rottenmeier.
Fa paura.
Per fortuna che non resta.
Mira salutò la signora e tornò nella sala da Cristian; l'uomo sembrava addormentato, così prese il telefono e aprì la chat di Whatsapp:
- Sono al lavoro nuovo. La casa è pazzesca, c'è un arazzo nella sala che prende tutta la parete e non è una parete piccola. Hanno anche un pianoforte!
- Vuoi metterti a suonare il piano ora?
- Nah, non ho la pazienza. Però è bellissima questa casa. Nella camera da letto è tutto stile Filippo XVI°. Uno spettacolo.
- Se hanno un letto a baldacchino mandami una foto.
- Non sapevo ti piacessero i letti a baldacchino.
- Mi piaci tu su un letto a baldacchino.
- Idiota. Ora vado a vedere cosa devo fare. Mi hanno lasciato la lista delle faccende.
Mira mise il silenzioso al telefono e lo infilò in tasca, prese la lista delle faccende e iniziò a leggere: spazzare, strusciare, rifrescare gli ambienti, pulire il bagno, dare il sanificante, pulire la cucina... La lista continuava con le indicazioni sulla cura della persona.
Non mi pagano abbastanza.
E con lui cosa dovrei fare?
Lasciamolo dormire.
Non si annoierà?
Magari non si accorge neanche di dormire.
Andiamo a guardare i medicinali in cucina.
«Almeno questa stanza è pratica.»
Bene, iniziamo anche a parlare da sole.
Non è che prima non lo facessi.
Se lo fai ad alta voce è peggio.
Allora, vediamo un po' queste medicine: Cardioaspirina a pranzo, lassativo un cucchiaino a colazione e uno a cena, Deplagi- deplaglifozin...
D'ora in poi si chiama Fonzie
Depal... Fonzie solo a cena. Bene, quindi devo solo dargli il lassativo e il tipo figo.
Hey.
No, non iniziare che poi non me la tolgo dalla testa.
Sunday, Monday, happy days, Tuesday, Wednesday, happy days...
Perfetto.
«Thursday, Friday, happy days, Saturday, what a day, rockin'all week with you... Na-na-na-na- na-na-na-na. Fortuna che non me la ricordo più, na-na-na-na na-na- na-na. Torniamo serie. Bene, sono le cinque e la lista delle pulizie è lunga. Iniziamo dal bagno.»
Sì ma prima controlla che il vecchio respiri ancora.
***
Mira posò il pennello e inclinò la testa di lato: sorrise ammirando le ombreggiature sugli scafi delle barche, anche quelle delle vele erano soddisfacenti ma il sorriso si spense quando l'occhio si posò sulle onde. Prese il quadro e lo posò per terra. Aprì e chiuse i pugni ispirando profondamente.
Perché non mi riescono?
Perché non sei Ivan Aivazovsky. Alle volte non basta provare.
Ma ci sto provando da una vita.
Mira tirò un calcio al cavalletto che finì per terra.
Se si rompe lo devi ricomprare.
Raccolse il cavalletto e lo poggiò al muro, mise via i colori e portò in bagno pennelli e tavolozza. L'odore della trementina le invase le narici. Sulle dita c'erano delle macchie blu e ci si accanì: il risultato fu un turchese tenue.
«Questi colori sono pessimi.»
Certo, diamo la colpa ai colori.
«Cristo, sono già le tre e mezza.» Mira prese il telefono e aprì la chat:
- Mi sono alzata tardi e mi sono messa a dipingere, stavo per fare tardi a lavoro.
- Sei sempre la solita. Ancora con le onde?
- Già. Non riesco a farle translucide. Mi chiedo come cavolo facesse.
- Eh, Mira. Parli di un pittore coi contro coglioni. Ha studiato pittura tutta la vita e ha viaggiato per il mondo, non si è improvvisato pittore per caso.
- Certo. Faccio tardi, a dopo.
Mira prese l'auto e si avviò a casa del signor Cristian. Accese la radio ma la voce dello speaker si perse nella sua testa.
Non si è improvvisato pittore per caso.
Di certo tu non hai fatto nessuna scuola.
Non hai finito neanche la scuola normale.
Ma disegno da sempre.
Non conta nulla?
Senza una scuola e un diploma/laurea che attesta che ne sei capace? No.
Sentì il calore arrivare agli occhi, parcheggiò e si asciugò le lacrime.
Non è il momento.
La signora le aprì e uscì di casa facendole un cenno con la testa.
Mira andò nella sala a controllare il signor Cristian. Dormiva. A parte i convenevoli all'ora di cena, non le aveva mai parlato.
Tra una pulizia e l'altra, Mira, si concesse qualche pausa per ammirare i quadri della casa. C'era una vasta raccolta di Macchiaioli, soprattutto di Lloyd e De Tivoli; c'erano anche molti quadri impressionisti ma non riconosceva la firma.
Si fermò parecchi minuti davanti ad un paesaggio di un lago in notturna: i colori usati per catturare i riflessi della luna sull'acqua la mandavano in estasi.
«Ti piace molto?»
Mira si girò di scatto e si sentì come qualcuno sorpreso a rubare.
«S-si...»
L'uomo sulla carrozzina si avvicinò a Mira. «Lo ha dipinto mia moglie.»
«Era davvero molto brava. Lo trovo stupendo.» «Anche tu dipingi. Hai le mani macchiate.» «Mi spiace...»
«E di cosa? Ho sentito l'odore di trementina tutti i giorni da quando sei qui. Era da tanto che non sentivo quell'odore per casa. Consuelo ogni tanto mi porta a fare un giro al museo.»
«Mi scusi. Non ne avevo idea. Se lo avesse scritto negli appunti l'avrei portata anche io.»
«A mia figlia non piace, per questo non glielo diciamo», l'uomo rise e le fece l'occhiolino. «Cosa dipingi?»
«Non ho uno stile preciso né dei soggetti particolari. Non ho fatto nessuna scuola quindi dipingo per lo più quello che vedo. Sto provando a fare le onde di Ivan Aivazovsky ma non riesco ad ottenere lo stesso effetto.»
«Aivazovsky ha avuto un grande dei grandi insegnanti e si è dedicato alle marine dopo aver soggiornato in Crimea dove conobbe gli ammiragli della flotta russa. Ammirava quegli uomini e da loro ha imparato ad amare il mare. Tu lo ami?» «Aivazovsky?»
«No, il mare.»
«Non tanto.»
«Allora perché lo dipingi?»
«Perché le sue marine sono magiche.»
«E credi che la magia sia nella tecnica?»
«Beh, sicuramente è la base.»
«No, mia cara. La base è la passione. Puoi avere la tecnica migliore del mondo ma se manca passione, il quadro ti rimanderà solo un'immagine. In ogni pennellata sono impressi i sogni, le emozioni e le speranze del pittore. Queste cose non le puoi trasmettere se non le hai. Non hai mai dipinto qualcosa che ti ha lasciato dentro un segno? Hai mai pianto alla fine di un opera o rimasta incredula del tuo operato?» «Qualcosa c'è stato ma sono cose, così...»
«Mia cara, se sei la prima a sminuirti, nessuno crederà in te. Non tutti i pittori hanno avuto la fortuna di frequentare scuole, di essere allievi di grandi maestri o di risultare "Gran pittori" da vivi. Hai dei disegni con te? O delle foto?»
«Solo dei dipinti ispirati a Monet e a Faraone.»
«Bene, abbiamo anche un contemporaneo. Molti si fermano ai pittori più noti, come se fosse la celebrità a rendere un'artista quello che è.»
«Lei sa moltissime cose sulla pittura. Dipingeva?»
«Per un periodo della mia vita ma ho smesso quando è morta mia moglie.»
«Mi dispiace molto.»
«Come dicevo, la pittura è passione e la mia passione era lei. Se n'è andata dopo una lunga malattia ma se n'è andata serena e con sé si è portata via ogni mia emozione. Mi fosse rimasta la rabbia, avrei potuto dipingere ancora ma non ho più niente da offrire. Però non sono diventato apatico. Mi nutro delle emozioni degli altri pittori adesso.
Ti sembrerà strano che, dopo due settimane di silenzio, ti stia raccontando tutte queste cose ma a mia figlia non piace l'idea che prenda confidenza con le badanti. Ha paura che possa essere raggirato e che dilapidi la sua eredità.
Consuelo è una donna straordinaria e lavora per me da molti anni, sa di dover apparire burbera e menefreghista ma le donne che di solito la sostituiscono lo sono davvero e, detto tra noi, meglio una che se ne sta al telefono tutto il tempo di una che si mette a frugare per casa ma tanto l'oro l'ha già fatto sparire Annalisa.»
«Sua figlia ha fatto sparire l'oro?»
«In realtà ha fatto sparire tutto ciò che avesse valore. Mi ha lasciato i mobili e i quadri solo perché ho fatto finta di avere un attacco di cuore.»
«Cavoli.»
«Da ragazzina anche a lei piaceva l'arte ma non aveva passione, invece ha scoperto di essere molto brava per gli affari. Ha una casa d'aste a Milano ma non cerca il talento. I suoi clienti sono sempre in cerca di nuovi pittori; ognuno spera di acquistare il lavoro del futuro Picasso ma sono tutte opere vuote, senza emozioni, fatte solo per guadagnarci. Un intenditore non si farebbe mai fregare.»
«Sicuramente non sarebbe male vivere d'arte.»
«Vivere d'arte significa vivere di sogni. Ma capisco che il pane vada messo a tavola. Si può trovare l'equilibro tra le due cose. Tu vorresti vivere del tuo lavoro?» «Sarebbe un sogno.»
«E cosa te lo impedisce?»
«Senza una scuola d'arte che attesti un minimo le abilità e le conoscenze diventa difficile al giorno d'oggi.»
«Oh, cara. Posso assicurarti che lo è sempre stato ma se ti preme così tanto avere un attestato, perché non fai una scuola?»
«Perché costano molto. Ne ho trovata una che elargisce tre borse di studio l'anno. C'è un concorso che scade tra poco e andrebbe inviata un'opera. Per questo mi stavo esercitando sulle marine di Aivazovsky.»
«Adesso capisco. Ma non devi puntare ad essere il nuovo Aivazovsky. Né Picasso o Monet. Dovresti aspirare a farti un nome al quale gli altri si rifaranno un domani. Facciamo così, portami quei quadri di cui non mi hai voluto parlare prima, così li vediamo insieme. Ma, mi raccomando, non li portare su subito, altrimenti Annalisa penserà che abbiamo fatto amicizia.»
***
Mira rientrò a casa euforica e si mise a cercare i quadri: i paesaggi ispirati a Tolkien erano finiti dietro le scatole dei vestiti mentre gli acquarelli fatti dopo le letture di Urania erano sopra l'armadio. Da sotto il letto tirò fuori i paesaggi e gli scorci sul mondo fantastico che sognava: cieli rosa che sfumavano nel magenta per finire nel viola melanzana, alberi in cui aveva usato tutte le sfumature di verde, giallo e marrone, le cui fronde nascondevano occhi smeraldo; campagne tetre in cui spiccavano, nello sfondo a toni scuri, chiese gotiche illuminate da lune piene.
Non poteva portarli tutti, tre o quattro sarebbero stati sufficienti.
Davvero lo farai?
Me lo ha chiesto lui.
E se non gli piacciono? Ci resterai male.
Magari gli piacciono.
Non so quale scegliere, mando due foto.
Di foto, quello, ne vuole solo una.
Mira scattò una foto ad ognuno dei quadri e aprì la chat di whatsapp:
- Non ci crederai mai.
- A cosa?
- Ricordi il signore a cui bado?
- Ricordo anche che devi mandarmi ancora una foto.
- Lascia perdere. Questo tipo non ha la demenza, fa finta. Dipingeva anche lui da giovane.
- Fammi indovinare: vi siete messi a parlare di pittura e ha detto di vedere in te qualcosa. Mira, resta con i piedi per terra.
- In realtà non ha detto niente di simile. Mi ha solo chiesto di portargli i miei quadri...
- Fai come vuoi. Non ci restare male quando ti scontrerai con la realtà.
- Ho capito...
Mira strinse il telefono e si mise a sedere per terra, le ginocchia strette al petto.
Lo sapevi che ti rispondeva così.
Neanche lui crede in quello che faccio.
E perché dovrebbe?
Non ci credi neanche tu.
Inizi le cose, assilli le persone intorno a te e, al momento di metterti in gioco, non lo fai.
Ho paura di fallire.
No, tu hai paura di tentare.
Fai di tutto per metterti nelle condizioni che sia impossibile riuscire.
Scadenze, impegni, accumuli tutto così è più facile dire non potevo riuscirci.
Lo sai benissimo che se fallisci non muore nessuno.
Lo so.
E allora perché continui a comportarti così?
Glieli porterai i quadri?
Non lo so.
***
«Li hai portati?», domandò Cristian appena Annalisa fu uscita di casa. «No, ho dormito poco ed ero in ritardo», Mira abbozzò un sorriso. «Quando sono rientrata a casa li ho cercati ma non sapevo quale portare.» «È un peccato. Le occasioni andrebbero prese al volo.»
Mira si sedette sul divano e prese il telefono.
Essere sinceri con uno sconosciuto alle volte è più semplice.
Sì, era un bel film quello.
«Volevo chiedere un consiglio ad un amico. Lui sta studiando all'accademia d'arte di Firenze e ha già esposto dei quadri. È molto bravo e parliamo sempre di pittura ma...»
«Non pensa che tu sia alla sua altezza. Per questo ieri ti lamentavi della scuola?» «Già.»
«Cosa ha detto dei tuoi lavori?»
«Questi non li ha visti», disse agitando il telefono, «Ne ho solo mandato uno ad un concorso per ambientazioni fantastiche.»
«Ti hanno scartato?»
«No, in realtà lo hanno accettato.»
«Non mi pare tu sia contenta.»
«Era un concorso gratuito e non c'erano vincite in denaro.»
«Hai le foto?»
Mira aprì la galleria e diede il telefono a Cristian. L'uomo armeggiò più volte con il cellulare portandoselo vicino agli occhi.
«Come detto, non sono niente di che...»
«Hai ragione, non lo sono.» Cristian le restituì il telefono ma Mira sentì uno schiaffo. «Bene, sarà meglio che inizi a fare le pulizie.»
Mira mise il telefono in tasca e si chiuse nel bagno, poggiò la schiena contro la porta e si lasciò cadere a terra. Aprì la bocca in un urlo silenzioso.
Ti importa così tanto il parere di un estraneo.
Non mi pare sia solo il suo parere.
E poi hai visto i dipinti che ha in casa? È uno che se ne intende.
Pensi la stessa cosa di quell'altro, solo perché studia arte.
Qualcosa vorrà pur dire studiare, no?
Se devo trasformarmi in un pomposo che non accetta le critiche, preferisco rimanere ignorante.
Ok, Cristian ha detto che non sono niente di che, chiedigli perché.
Migliorati. Cazzo. Anzi, portagli un quadro e dimostra che si sbagliava.
Ancora meglio, fregatene e continua dipingere.
Tanto lo sappiamo che continuerò a farlo.
Appunto. Ti ha ferita.
Usa questo dolore.
Non serve a nulla stare male se non ti porta a dipingere.
Mira si asciugò gli occhi e si buttò nella pulizia del bagno. Nella testa una tavolozza di colori si riempì delle sfumature del rosso e l'immaginazione la guidò nella creazione di una nuova opera, scemando la rabbia.
Quando rientrò a casa si mise le cuffie e lasciò che la musica sovrastasse ogni pensiero. Prese i colori e la tela e impresse nelle pennellate il dolore verso il rifiuto, la paura di non riuscire e la rabbia per essersi arresa, ogni volta, contro se stessa.
Con il bianco sottolineò la debolezza, ora messa in rilievo come luce splendente; il verde e il viola andarono a costruire quella strada che voleva per sé, piena di speranza e ricerca verso qualcosa di più.
Posò il pennello che il sole era già alto, si sedette per terra e chiuse gli occhi.
Mira sentì la sveglia e il cervello le comunicò che dovevano essere le tre e mezza. Aprì gli occhi e si trovò davanti il dipinto.
Ci sono riuscita.
Se non ti muovi riesci a perdere anche il lavoro.
Cazzo.
Caricò il dipinto in auto e si accorse di avere le mani colorate. Quando scese di macchina notò delle macchie anche sui vestiti.
Fanculo.
Corse le scale e bussò alla porta. La signora le aprì e mostrò l'orologio.
«Sono quasi le sedici.»
«Appena in tempo», Mira sorrise ed entrò in casa.
«Al limite direi.»
La signora uscì senza ulteriori parole e Mira si recò nella sala e si affacciò alla finestra. Quando la vide salire in macchina e sparire dietro la curva, scese di casa e tornò con il quadro.
«Cosa fai?», domandò Cristian.
«Quello che avrei dovuto fare ieri. Domani scade il concorso per la borsa di studio e vorrei inviare quest'opera.»
«E vorresti il mio parere?»
Mira rimase con il quadro in braccio.
«Mi sono già espresso ieri. Inutile portarmi ora un quadro.»
«Questo è nuovo.»
«Hai dipinto tutta la notte, nonostante ti avessi detto che i tuoi lavori non sono niente di che?»
«Sì.»
«Questo è l'atteggiamento giusto. Mia cara, lei non ha le ossa di vetro e non ha bisogno di qualcuno che la giudichi. Lei può scontrarsi con la vita, con l'arte ma deve essere la prima a credere in sé. Sta già soffrendo per un pezzo di carta che non ha, se si lascia sfuggire quest'occasione, con il tempo sarà il suo cuore a diventare secco come il colore dimenticato sulla tavola. Si lanci, accidenti a lei e il quadro voglio vederlo solo dopo che lo avrà fatto!»
«Grazie.»
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