Toxic Park
Il racconto che state per leggere è frutto di un piccolo gioco a cui ho avuto il piacere di partecipare qualche giorno fa.
Sulla pagina Facebook del gruppo I Parolanti venne richiesto un racconto che parlasse di droga e tossicodipendenza. Lo stile doveva essere quello di Irvine Welsh e del suo Trainspotting, quindi crudo ma anche ironico.
Ho sforato di brutto la lunghezza richiesta che doveva essere di 4000 caratteri mentre io avevo inteso 4000 parole. Alla fine ne ho scritte circa 1500 di parole.
Nonostante ciò, ho avuto l'onore di essere pubblicato sul blog dei Parolanti e ne vado particolarmente orgoglioso perché si tratta di un blog autorevole frequentato da persone molto preparate e serie.
Vi consiglio di passare da quelle parti perché troverete tanta bella gente e autori bravissimi.
Trovate qui sotto l'indirizzo del blog:
https://iparolanti.wordpress.com/
Buona lettura.
Il giorno è un giorno del cazzo come tutti gli altri, solo che il sole di novembre questa mattina è meschino e s’insinua dritto negli occhi di Perci, così infastidito dalla luce da non riuscire a collassare come Dio comanda. Oggi la panchina del parco è più scomoda del solito, anche se è probabile che sia soprattutto l’effetto del calo a renderla tale. Se il Conte non si materializzerà quanto prima, Perci finirà per farsela di nuovo addosso com’è successo l’altro ieri. Uno spasmo sconquassa i suoi pensieri: il tiepido calore non riesce a fermare i brividi che gli attraversano il corpo.
Il Toxic Park si trova sul Lungo Stura Lazio e si allarga sotto l’ombra del più recente Novotel. Ogni tanto qualcuno esce dall’albergo e si avventura tra i viali, ma se ne va quasi subito appena si accorge di cosa si tratta e di chi corre il rischio di incontrare. In effetti, negli ultimi tempi i fradici si ritrovano verso via Bologna, lontano dall’albergo, in modo da non correre il rischio di essere perquisiti tutti i santi giorni dalla pula. Libero mercato: loro stanno fuori dai coglioni, i clienti del Novotel non si trovano i tossici quando mettono il becco fuori dalla hall.
Perci è talmente assorto nei suoi pensieri, che non si è neppure accorto dell’uomo dalla barba rossiccia che ora siede sul lato della panchina su cui appoggia i piedi.
- È dura oggi, vero?
- ‘rcoddue, non sono mai stato così male, Kurt. Ce l’hai una busta?
- Naaa, non ho un cazzo. Sto aspettando il Conte.
- Merda…
- Che è… non ce la fai? – bofonchia mentre si arrotola una siga.
Biascica le cose lentamente, Kurt. Si dice che arrivi dall’Austria, ma se glielo chiedi, risponde che non si ricorda neanche dove minchia si trovi Vienna. Negli ultimi tempi sembra più lucido; forse è il bumbo o forse riesce a pungersi un po’ meno. O forse entrambe le cose.
- Dovresti andare all’ASL. Ti danno il bumbo.
Perci cerca di guardarlo in volto per provare a capire se sta scherzando. Kurt ha la sigaretta in mano e osserva un punto davanti a sé. Lo sa solo lui cosa vuole vedere e sembra proprio che non abbia nessuna intenzione di ridere. Ok, confermato: Kurt è sotto metadone, ma non disdegna la lenta quando capita. D’un tratto l’uomo si alza e si colloca in piedi di fianco a Perci. Si ficca la sigaretta rollata poco prima in tasca, si guarda intorno, da una parte e dall’altra. A Perci va bene perché in questo modo lo ripara dalla luce che lo sta facendo impazzire e riesce così ad aprire gli occhi. Giusto in tempo per vedere Kurt che torna con lo sguardo su di lui e gli sorride, prima di far partire una mazzata che lo colpisce in pieno volto.
- Ma che cazzo fai, pezzo di merda…
Senza neanche rispondere Kurt gli sferra un altro cazzotto. Perci ora ha il labbro che sanguina e il naso che gli fa un male da morire. Si gira sulla panchina per ripararsi, mentre Kurt fruga nel bomber lercio che Perci indossa quasi tutto l'anno.
- Ah… Eccoli qua – esclama con un tono di soddisfazione mentre estrae venti euro dalle tasche di Perci.
- Sei un bastardo! ‘rcoddue, che male…
Kurt manco gli risponde. Intasca i soldi e s’incammina verso la stradina da dove di solito arriva il Conte. Gli sta andando incontro, il figlio di puttana. Nel farlo, si accende la cicca preparata poco prima.
- Fatti un riposino, Perci.
- Vaffanculo!
Perci riesce a sollevarsi per mettersi seduto sulla panca. Il naso gronda sangue, così inclina la testa all’indietro nella speranza di bloccare l’emorragia. Non ha le forze per fare altro. Allarga le braccia sullo schienale e, con il sangue che cola sulle guance per appiccicarsi sui capelli, pensa alla vita che può anche scappare via, per quello che è stata finora.
Dopo un tempo che si approssima all’infinito, Perci riapre gli occhi e riconosce la sagoma della Proffia davanti a lui. Lei lo scruta da dietro gli occhiali da talpa e fa una faccia strana, con gli angoli della bocca girati all’ingiù, come quella dei cartoni giapponesi quando era piccolo.
- Pensavo che fossi morto.
Perci tira su col naso e si ricorda che forse è rotto. Il male lo costringe a chinarsi in avanti e a sputare il sangue che si ritrova in bocca.
- Fai schifo – gli dice la Proffia disgustata.
- Grazie. Sei un tesoro come sempre.
- Chi è stato?
- Kurt!
- Che stronzo!
La Proffia si accomoda vicino a lui, facendo ben attenzione a non sfiorarlo. Indossa dei jeans, le Converse tutte rovinate e un maglione di due taglie più grande per coprirle le mani, tutte bucherellate. Le scarpe non sono all’ultima moda: sono proprio ridotte male e le suole hanno dei buchi grandi come monete da due euro. Inoltre il suo Proffia non è per nulla un soprannome. Lei era proprio una professoressa. Poi ha sbiellato, il marito l’ha mollata, lei si è depressa, cose così. E poi ha iniziato a farsi. O forse il contrario, prima si è fatta, poi l’ha mollata il marito. Poco importa: il Toxic Park è democratico e gli frega un cazzo dello status sociale o degli influencer.
Il Conte sta arrivando con il passeggino. Dentro c’è suo figlio di un anno, nella sacca appesa dietro c’è la ciccia.
- Ciao, ragazzi.
- Conte, fammi credito – biascica Perci.
- Manco per il cazzo.
- Ai ragazzini gliela dai gratis.
- I ragazzini devono farsi e pagheranno, almeno all’inizio. Tu sei fradicio e tra poco non pagherai più un cazzo. Cosa ti dò, Proffia?
La Proffia tentenna e guarda una coppia ben vestita e pulita, che passeggia poco lontano. Sono stranieri e arrivano dal Novotel. Spariscono dietro un albero, mentre ridono e si godono la giornata così tiepida e clemente. Fanno parte di quelli che non si sono resi conto di dove si trovino e fra poco saranno rapinati dagli africani. Magari se gli va proprio di lusso non saranno neanche pestati.
- Non prendo niente, Conte.
Il Conte la guarda sorpreso.
- Da te non me l’aspettavo, Proffia. Guarda che è un po’ troppo tardi per smettere.
Anche Perci guarda la Proffia. In effetti, non ha gli occhi spenti come al solito e, ora che ci pensa, è almeno un paio di mesi che non la vede lì.
- Sto frequentando un centro di recupero. Oggi è la mia prova del fuoco. Ora però devo andare. Non posso tentare la fortuna in modo così sfacciato.
Si alza e il Conte la schernisce con il suo sorriso storto.
- Ma pensi davvero di cavartela?
Sì è fermata, la Proffia, e trova il tempo di pronunciare una frase.
- Il dolore e l'odio e l'amore e la gioia e la guerra esistono perché siamo noi a volerli. E vogliamo che tutto sia così drammatico per prepararci alla prova finale che ci aspetta: affrontare la morte.
Il Conte rimane lì a bocca aperta mentre la Proffia fa una smorfia che può anche essere un saluto e si allontana. Perci ridacchia mentre lascia andare di nuovo la testa all’indietro a braccia aperte sulla panchina.
- Ma che cazzo voleva dire? – chiede il Conte.
- È Chuck, idiota…
Il Conte lo guarda con la bocca ancora più larga.
- E dove cazzo spaccia?
Ora Perci ride.
- Vattene fuori dai coglioni, Conte. Che ho un male cane al naso, ‘rcoddue…
Il Conte non è un combattente e non è orgoglioso. Non ci sono soldi per lui in quel momento e ci sono troppi affari da concludere al Toxic Park. Sputa per terra e se ne va con suo figlio che non si rende conto di nulla e dorme beatamente.
Perci rimane con la testa girata all’indietro sulla panchina, mentre il sole scalda sempre meno. Che se gli va bene lui sì che si sta preparando.
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