Senza Dolore

Primo racconto che scrissi per il contest Tre Parole Una Storia. Parla di elaborazione del lutto, fondamentalmente, e deve utilizzare le tre parole in grassetto indicate nel racconto.

Questa la brevissima sinossi originale.
Di cosa voglio parlare? E' una storia di dolore e anche un po' di amore. E' la storia di una donna e di un vecchio e anche di persone che non ci sono più.

Cinzia era severa e impassibile mentre guardava la foto. Le mani intrecciate all'altezza del bacino reggevano una borsetta Prada mentre il tailleur Armani aderiva perfettamente al suo fisico alto e snello, merito anche delle scarpe nere Jimmy Choo, tacco otto, che la rendevano ancora più slanciata. Era una donna il cui fascino non passava certo inosservato. I capelli neri erano raccolti in una coda di cavallo assolutamente professionale e gli occhiali che indossava erano sì sobri, ma con una montatura non così pesante da renderla troppo seriosa. A prima vista tutto il suo essere compariva come l'incarnazione della praticità e della stabilità. Qualcuno un po' più attento, avrebbe invece notato che le unghie della mano sinistra tormentavano in maniera un po' troppo insistita le carni della mano destra.

Mentre Cinzia stessa si stava chiedendo il motivo di quella sua inquietudine, il vecchio apparve come in una sorta di deja vu all'inizio del corridoio con il suo sgabello e con il solito libro in mano, puntuale come il giorno dei morti. La donna alzò gli occhi al cielo e passò qualche secondo a decidere se lasciare o meno il tetro luogo che stava visitando. Nel frattempo il vecchio aveva poggiato a terra lo sgabello proprio davanti al loculo che recitava GERMANA CECCHI 1950 - 2015. Nel farlo aveva sorriso come sempre a Cinzia in una sorta di tacito saluto. E Cinzia come sempre aveva ricambiato a sua volta con una increspatura delle labbra appena accennata. Il vecchio portava una coda di cavallo lunga come la sua, ovviamente bianca, e vestiva in un modo molto "casual", per usare un eufemismo: camicia a fiori stile anni sessanta e jeans sgualciti. Ai piedi aveva addirittura delle Converse rosse quel giorno. Nessun segno di stile e di eleganza, nemmeno nell'inforcare gli occhiali da lettura.

<<Ciao, Germana. Dunque, dove eravamo rimasti? Ah sì. "Il capitano Aubrey prese il sestante per controllare la rotta. Dopo una lunga e silenziosa serie di manovre si rivolse al dottor Maturin con un tono...">>

<<Mi scusi, le spiacerebbe fare silenzio?>>

Ecco. Questa fu una notevole variante rispetto al solito rituale. Evidentemente l'inspiegabile tensione di Cinzia aveva trovato una via di sfogo.

<<Dice a me, signorina?>>

<<Sì. A chi altri? Mi scuso se sono così brusca oggi, ma vorrei riflettere e pregare in silenzio davanti alla tomba di mio padre. E il suo "raccontare" mi pare un po' inopportuno in questa sede. Non le pare?>>

Aveva esagerato. Se ne era accorta subito, ma ormai la frittata era fatta. Tornò a concentrarsi sulla foto, decisa a non lasciarsi travolgere dagli eventi esterni. Il vecchio, dal canto suo, la guardò un po' sorpreso. Chiuse il libro e rimase seduto sullo sgabello. Non stette zitto per molto.

<<A Germana piaceva molto leggere. Le avventure di Aubrey e Maturin erano i suoi romanzi preferiti. Leggerle qui mi fa credere che lei possa apprezzare il gesto e mi fa stare un po' meglio. Mi scuso con lei, signorina, se le ho dato fastidio. >>

Il vecchio raccolse lo sgabello e fece per andarsene. Cinzia si sentì immediatamente una merda e raccolse il coraggio necessario per accennare una sorta di scusa.

<<No, guardi, si immagini. Non voglio disturbare il suo rituale. Me ne vado io. Arrivederci.>>

Il vecchio guardò la ragazza sfilare via così bruscamente davanti a lui. Stava per decidere di non dire nulla, ma poi si ricordò che nella sua vita aveva sempre detto tutto.

<<Signorina! >>

Cinzia si voltò scocciata, ma tentò ugualmente di sorridere.

<<Mi dica... >>

<<Perdoni la mia sfacciataggine, ma la vita è bella perché è piena di emozioni, e lei non merita di viverla al di sotto di quanto potrebbe perché ha deciso di seppellire i suoi sentimenti. Sarò davvero franco con lei: è palpabile la sua difficoltà nell' esprimere il suo dolore e, se non mi sbaglio, anche il suo amore in questo momento.>>

Cinzia divenne paonazza in volto per l'ira e per la vergogna. Ma come si permetteva quello sconosciuto di giudicarla senza neanche conoscerla?

<<Addio!>> disse. E se ne andò.

La settimana successiva Cinzia era nuovamente davanti al loculo di suo padre. La foto era semplice e bella a suo modo. Ritraeva suo padre con il sorriso spontaneo e stupendo che lo caratterizzava. Non aveva mai conosciuto un altro uomo che fosse così istintivo e aperto come lui. Il solo pensare che non avrebbe mai più rivisto quel sorriso la faceva precipitare in un abisso talmente profondo da pensare di non farne più ritorno, per cui non ci pensava e basta. Guardava la foto e non pensava a nulla. Zero emozioni e zero sentimenti. Nessun problema al lavoro e con gli amici. Non si ama e non si soffre. Non si soffre neanche a piantarsi le unghie nella mano, neanche quando un collega e amico ti invita fuori a prendere un caffè, neanche quando tu sei costretta a rifiutare perché è un tuo subalterno, e non si soffre quando le persone care vanno via in un modo così inutile. Non si deve soffrire mai. Persa in questi pensieri, non si accorse neanche dell'arrivo dello scocciatore. 

Il vecchio aveva già posato a terra lo sgabello nel solito punto e si era accomodato tenendo però un romanzo in grembo. Non parlava, ma semplicemente fissava la foto della signora Germana Cecchi. Cinzia, che si era accorta della sua presenza, cercò di guardarlo con la coda dell'occhio. Il vecchio non proferiva parola.

<<Buongiorno>> disse lei alla fine.

<<Buongiorno, signorina.>>

<<Non legge nulla quest'oggi?>>

<<No, signorina. A dire il vero l'ho vista così assorta e non volevo importunarla come le ultime volte.>>

<<Non importa. Tanto adesso vado via.>>

<<Va bene. Allora inizio a leggere.>>

Inforcò gli occhiali e aprì il libro che aveva portato con se'.

<<Ciao Germana. Allora. Ecco iniziamo da qui. "Era inverno a Belleville e c'erano cinque personaggi. Sei, contando la lastra di ghiaccio...">>

<<Questo non è quello dell'altra volta.>>

Il vecchio si voltò sorpreso verso Cinzia. La ragazza stava guardando il vecchio, probabilmente sorpresa anche lei dalla propria uscita.

<<No, signorina. Questo è Pennac. Daniel Pennac. La fata carabina. Lo conosce?>>

<<Credo... Credo di sì. Forse l'ho letto da ragazzina.>>

Il vecchio si tolse gli occhiali.

<<E le piacque?>>

Cinzia rifletté per qualche secondo. 

<<Sì, credo di sì. E' passato molto tempo, ma mi pare di ricordare di sì. Anzi, sì. Mi era piaciuto molto. Devo andare ora.>>

Passò velocemente davanti al vecchio con la sua camminata pratica e veloce. "Quanta inutile fretta" pensò il vecchio. E poi tornò allo scopo della sua visita.

<<Dunque, Germana, dove eravamo rimasti? Ah sì. "Sette, anzi, con il cane che aveva accompagnato il Piccolo dal panettiere. Un cane epilettico con la lingua che gli penzolava da un lato." Ah ah ah. Immagine buffa...>>

Dopo qualche giorno, Cinzia tornò al cimitero. Non riusciva a capire il motivo della necessità di tornare in quel luogo che detestava, ma l'incontro con il vecchio l'aveva evidentemente turbata. Qualcosa nei suoi modi e nel suo essere non stava funzionando e soprattutto non la stava aiutando a superare la morte di suo padre. Arrivata davanti al loculo trovò poggiata in basso una copia della Fata carabina incellofanata e un biglietto attaccato. 

"Buongiorno, signorina. Le lascio una copia protetta dalle intemperie di questo piccolo capolavoro. Perché una volta le era piaciuto e magari in futuro le potrebbe piacere di nuovo. Firmato: Io"

A Cinzia stavolta scappò un sorriso. Guardò la foto di suo padre e le venne in mente di quanto la faceva ridere quando era piccina. Mentre rimaneva fissa a guardare la foto si scoprì il volto bagnato da qualche lacrima. Cercò un fazzoletto nella borsetta di Prada. Borsetta costosa e inutile, visto che non stava trovando nulla. L'aprì completamente e svuotò il contenuto per terra. Rossetto, specchio, assorbenti. Tutto. Nessuna traccia di fazzoletti. Prese a calci la roba per terra con le scarpe Jimmy Choo e una volò per aria andando a finire qualche metro più in là. Si portò le mani sul volto scossa dal pianto e andò a sedersi sul marmo poggiando la schiena contro il loculo di uno sconosciuto.

Lasciò passare una settimana. Tornò al cimitero un martedì mattino, prima di andare al lavoro. Aveva deciso di entrare più tardi: l'azienda non avrebbe sicuramente chiuso per un suo ritardo. Vide che davanti alla tomba della signora Cecchi c'era una donna sui trentacinque o quarant'anni che stava cambiando i fiori e pulendo il marmo.

<<Buongiorno, signora.>>

<<Buongiorno a lei.>>

<<Non c'è il marito della signora? Lei è la figlia?>>

La donna la guardò sorpresa.

<<Mi scusi?>>

<<Chiedevo se non c'era il marito della signora.>>

<<Guardi, io sono la figlia della signora. Ma mio padre purtroppo è morto quando io ero molto piccola. A chi si riferisce mi scusi?>>

Imbarazzata, Cinzia accennò delle scuse e se ne andò.

Tornò alla solita ora, durante la pausa pranzo. Il cimitero era molto vicino ai suoi uffici. Incontrò il vecchio, seduto sullo sgabello come sempre.

<<Buongiorno.>>

<<Buongiorno, signorina. Come sta?>>

<<Io bene. Volevo ringraziarla per il libro.>>

<<Ma si figuri.>>

Silenzio.

<<Ho incontrato la figlia della signora Cecchi, stamattina. Il marito della signora è mancato molto tempo fa. Lei non è il marito.>>

Silenzio.

<<No. Mai detto di esserlo.>>

Silenzio.

<<Eravate...>>

<<No. Non esattamente. Io l'amavo. Molto. Avrei fatto di tutto per non lasciarla andare via. Quando si è ammalata ho fatto gli esami per il trapianto del midollo. Niente da fare. Troppo avanti con gli anni. Nessun trapianto. E così se ne è dovuta andare.>>

Silenzio.

<<Ma lei viene qui a leggere per una persona che non ricambiava i suoi sentimenti?>>

<<Ma no. Lei mi amava, a suo modo. Mi ha donato la sua amicizia. Si è confidata con me. Non mi ha mai fatto mancare nulla, a livello affettivo. Io l'amavo e l'amore è rispetto per le scelte dell'altro. L'ho conosciuta qualche anno fa e ho vissuto per qualche anno nell'ombra. Andava bene così. I suoi figli non sanno nulla di me e non c'è nulla da sapere. Eravamo ottimi amici. Ottimi. E ci rispettavamo profondamente. Essere corrisposti pienamente alla mia età diventa secondario.>>

Silenzio.

<<I suoi sentimenti sono molto profondi. Lei è una bella persona.>>

Silenzio.

<<Anche lei, signorina. Devo andare adesso. La saluto.>>

Si alzò e recuperò lo sgabello. Lentamente si incamminò verso l'uscita. Cinzia rimase a guardarlo e poi si rivolse alla foto di suo padre.

<<Ciao. Ho incontrato una persona davvero particolare, papà.>>

E con la mano accarezzò la foto di suo padre.

Al rientro in ufficio trovò Giuliano Costa che aveva appena finito la pausa e stava tornando alla scrivania. Giuliano era un ragazzo molto discreto, quasi timido. Era carino e aveva dei bei modi di fare. Riusciva anche a essere simpatico, molto, quando superava la sua timidezza.

<<Giuliano, puoi venire un secondo nel mio ufficio?>>

Mentre si alzava per andare da lei il collega vicino a lui passò la mano all'altezza della carotide e mimò un "sei finito" con le labbra. Cinzia era dura e inflessibile sul lavoro. Giuliano si era pentito di averle chiesto di andare a prendere un caffè insieme cinque secondi dopo averglielo domandato. La risposta non era stata scortese, ma era davvero inflessibile. E adesso sicuramente lo attendeva un cazziatone epocale per chissà quale motivo.

<<Dimmi, Cinzia.>> disse Giuliano chiudendo la porta dietro di sè.

<<Giuliano. Io ti volevo chiedere scusa se sono stata un po' brusca l'altro giorno. Sto passando un brutto periodo.>>

<<Figurati Cinzia. Magari la mia domanda è stata un po' azzardata. E poi con tuo papà che è mancato e tutto il resto. Sono stato inopportuno.>>

<<No. Non è vero. E' che... Mi manca tanto, Giuliano. Mi manca mio padre.>>

Giuliano rimase sorpreso dalla franchezza di quella affermazione.

<<Non sai quanto mi spiace, Cinzia. Io mi sono accorto della tua sofferenza e non so cosa fare per aiutarti. Qualunque cosa. Chiedimi qualunque cosa.>>

<<Posso venire a prendere un caffè o un aperitivo con te questa sera o una di queste sere? Mi farebbe piacere, davvero.>>

Giuliano era senza parole. Ma le ritrovò subito.

<<Questa sera andrebbe benissimo.  Piacerebbe moltissimo anche a me.>>

<<Ok. Farò un po' tardi. Ti spiace aspettarmi?>>

<<No assolutamente no. Ti aspetto e quando vuoi andiamo.>>

<<Grazie.>>

<<Grazie a te.>>

Quando Giuliano uscì dall'ufficio, Cinzia si sedette alla sua scrivania. Fece per accendere il PC ma poi vide che aveva ancora qualche minuto. Allora prese in mano La fata carabina che teneva nella borsetta di Prada e l'aprì alla prima pagina. 

"La lastra di ghiaccio somigliava a una cartina dell'Africa..." 

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