Quanto ti ho amato

Questa storia è stata scritta nell'arco di una notte e faceva parte di un contest chiamato ContesTime. Il tema era libero e l'unico vincolo era stupire. Ho pensato di farlo raccontando una storia che pare di un certo genere e invece... Buona Lettura

1953 Berlin (West)

L'uomo continuava a guardare la giovane donna al suo fianco. Bellissima. Poteva essere lei? No, si diceva l'uomo. Non poteva essere così bello e così possibile. Nemmeno nel migliore dei suoi sogni. Eppure l'eleganza, il viso ora perfetto, il rossetto appena accennato sembravano non riuscire a nascondere il viso che l'uomo aveva sognato per così tante notti.

Gerald Fuchs era in coda alla Deutsche Bundespost Berlin da circa tre quarti d'ora e cominciava ad essere stanco di aspettare il suo turno. Era novembre, faceva freddo, cinque centimetri di neve si erano posati la sera prima e, con il rigido gelo di quella giornata, il manto bianco si era trasformato in ghiaccio sul marciapiede. Per cui sarebbe dovuto tornare a casa facendo attenzione a non cadere, visto che il suo unico paio di scarpe aveva le suole talmente lisce che quasi avrebbe fatto prima a pattinare più che camminare. Per non parlare dei buchi sotto la suola sulla parte anteriore attraverso i quali sarebbe entrata la fanghiglia ghiacciata ai lati del marciapiede. Il giorno dopo avrebbe chiesto al capo cantiere un anticipo per comprare un paio di scarpe nuove, ma in quel momento si sarebbe dovuto arrangiare con quelle che aveva. In più erano le cinque di sera e l'oscurità aveva inghiottito la città. Le uniche luci funzionanti erano tutte nella vicina Potsdamer Platz visto che era proprio sul confine del territorio reclamato dai russi, dagli inglesi e dagli americani. Uscito dall'ufficio postale, Gerald avrebbe dovuto costeggiare le macerie delle case di Linkstrasse per dirigersi a casa, nel buio più pesto, facendo attenzione a non incappare nella solita banda di debosciati che arrivavano dall'Est con l'intento di rapinarlo. I moti operai dell'Est preoccupavano tutti ma non Gerald, che era convinto che tutto si sarebbe risolto con il solito intervento dei carri armati russi. Perso in quei pensieri Gerald non si era quasi accorto della donna entrata qualche minuto prima. Il cappellino elegante, il portamento. Gerald ovviamente cercò di osservarne le linee con estrema attenzione ma, non appena il suo sguardo ne intercettò il viso, rimase interdetto. Quegli occhi. Neri, profondi, magnetici.

La donna al banco dell'ufficio fece cenno a Gerald di avanzare. L'uomo allora colse la palla al balzo e si rivolse verso la donna alla sua destra.

"Prego" le disse.

"E' il suo turno." fece la donna quasi incurante del gesto di estrema cortesia.

"Si immagini, non ho fretta".

La donna decise di concludere il balletto e avanzare verso il banco. Passò davanti all'uomo e lo guardò dritto negli occhi. Un secondo di troppo. Non posso crederci, pensò l'uomo. Non può essere vero. L'ultimo barlume di incertezza si tramutò in gioia quando la donna nel porgere la propria busta all'impiegata scoprì il polso destro. 115662. Il tatuaggio non mentiva. Era lei.

I ricordi di otto anni prima rientrarono in circolo immediatamente. Birkenau forniva nuovi significati alla parola freddo. Gerald era l'addetto all'accompagnamento dei prigionieri, principalmente tra i settori BIIc e BIII. Per Gerald i prigionieri del campo erano mandrie di bestiame. Quando accompagnava i prigionieri da un settore all'altro oppure li radunava verso le camere a gas, semplicemente pensava di radunare del bestiame, punto e basta. Un lavoro semplice, veloce, pulito. Tutti in fila, fuoco contro chi si allontanava, consegna, fine. Le sue certezze vacillarono all'inizio del 1944 quando nel settore BIIc arrivò lei, Nina. Gerald ricordava esattamente quando la vide tra la moltitudine delle donne che doveva spostare da un settore all'altro. Gerald non guardava mai il bestiame negli occhi. Quel giorno si prese la briga di guardare. Prima una, poi l'altra. Sguardi vuoti, persi, già finiti. Questa andrà nella camera tra tre giorni, questa tra una settimana, questa forse domani. E poi lei. L'unica che lo guardò negli occhi. Non poteva esistere uno sguardo così in natura, di un nero così nero che si poteva vedere dentro l'anima. Il viso emaciato, sporco, i capelli rasati eppure tutto così perfetto nell'assoluta semplicità della bellezza. Nina, la chiamò, perché era un nome che gli piaceva. Passandole accanto vide il numero del tatuaggio sul polso. Ne prese nota mentalmente e se lo scrisse la sera stessa al lume della candela in camerata. 115662.

"Gerald, vorrai mica sposarti quella ostjuden?" gli disse il suo commilitone a destra. Mentre parlava alzò la canna del fucile verso la testa della donna. Lei non abbassò lo sguardo da Gerald. "Bang" fece il soldato.

"Smettila, Franz" disse Gerald.

"Oh, ma sentilo" rispose Franz. "Ehi ragazzi. Gerald è innamorato di questa qui. Vieni avanti ostjuden."

La donna non si mosse ma continuava a guardare Gerald. Lo sguardo era deciso, forte, volitivo. Un felino.

"Ostjuden, ti ho detto di..."

"Basta, cosa state facendo". La voce arrivava da dietro le spalle di Gerald.

"Herr Kommandant. Stiamo portando le prigioniere al settore BIIc".

"Sbrigatevi, ho bisogno di voi per portare un gruppo numeroso alle camere. Svelti. Lasciatele qui. Ci penseranno i Kapò."

"Subito". Mentre Franz se ne stava andando sollevò un'altra volta il fucile e lo puntò verso Nina mimando "Bang" con la bocca.

Gerald si voltò più volte a guardare la donna. Lei continuava a fissarlo.

Nei giorni successivi i transiti verso le camere a gas si moltiplicarono. Girava voce che si volesse smantellare il campo, ma nessuno ci credeva veramente. Dopotutto la "soluzione finale alla questione ebraica" si stava rivelando un clamoroso successo. Quando Gerald trovava un po' di tempo, tornava con qualunque scusa verso il settore BIIc. Cercava la donna e la trovava intenta ai lavori di manutenzione del campo. E tutte le volte lei lo fissava, ricambiando il suo sguardo. Gerald non aveva mai conosciuto le donne, aveva diciotto anni e aveva passato la sua vita nei campi o nell'esercito. Però la sensazione provata in quei giorni stranamente si avvicinava a ciò che nel suo immaginario poteva essere l'amore. Era dunque questo? Il respiro che viene mozzato dall'idea di sfiorare un paio di labbra? La voglia di affondare il viso sul collo di una ragazza? È questo l'amore? Subito Gerald si scuoteva. Queste sono bestie, pensava, smettila Gerald.

Per i mesi successivi tutti i giorni seguirono lo stesso rituale, mentre la Germania stava perdendo la guerra e le voci sul destino del campo stavano diventando certezze. Dopo lo sbarco in Normandia e le vicende successive l'esercito nazista era sempre più allo sbando. Nel dicembre 1944 la situazione era fuori controllo. Gli ordini dal comando centrale erano sempre più frammentari e le diserzioni dei soldati addetti al campo stavano diventando decine. Gerald non voleva andarsene. Non da solo per lo meno. Da giorni stava pensando ad un piano per portare con sè Nina fuori dal campo. Doveva solo aspettare il momento giusto. Ora ne era certo. L'amava. L'amava come non avrebbe amato mai nessun'altra donna.

A gennaio la situazione precipitò. Il 18 venne dato l'ordine di evacuazione del campo. Gerald ne avrebbe approfittato per scappare di notte con Nina. Il piano era folle, non aveva nessun senso logico ed era privo di un qualunque fondamento logistico. E difatti non venne mai messo in atto. Perchè Nina non partì dal campo. Gerald non ci voleva credere. Lui doveva scortare la mandria fuori da Bierkenau e da Auschwitz, mentre colei che era diventata la sua unica ragione di vita sarebbe rimasta a morire nel campo. Ben presto Gerald si rese conto che gli ordini erano perentori per ben tre motivi: gli ordini non si discutevano, gli altri soldati lo avrebbero ammazzato come un cane e l'Armata Russa era alle porte. Con la morte nel cuore Gerald partì il giorno stesso. Mentre stava camminando fuori Birkenau a fianco della mandria, si voltò verso il campo. Al di là del filo spinato vide Nina, che lo guardava con quello sguardo felino e magnetico. Dopo qualche giorno di camminata nella neve tra morti ammazzati, fame, scoramento e paura, Gerald si decise a buttare la divisa tra i cespugli, ma non tornò a Birkenau. Si diresse invece avventurosamente a Berlino, non prima della fine dei bombardamenti e dopo un periodo di opportuno asilo presso una casa disabitata in Polonia, alla macchia e con il terrore reale di essere scoperto. A Berlino gli uomini erano pochi e nel giro di un anno Gerald trovò lavoro come muratore per la ricostruzione della città. Pensava a Nina ogni giorno.

Ed ora Nina era lì, davanti a lui. Attese che finisse le sue operazioni e che uscisse dall'ufficio. Sarebbe uscito anche lui, non gli importava più nulla di ciò che doveva fare all'ufficio postale. Mentre Nina si rassettava il cappotto alzò lo sguardo verso Gerald. Lo sguardo di una pantera, magnetico ineguagliabile. E gli fece un sorriso di una dolcezza senza eguali. E poi uscì. Gerald uscì anch'egli di fretta e seguì Nina. Come poteva fare? Come poteva fermarla senza apparire inopportuno? Lei si voltò di nuovo e gli sorrise. Incoraggiato da quell'insperato gesto, Gerald seguì Nina fino alla stradina buia alla sua destra, un vicolo che Gerald si ricordava essere cieco. Appena imboccato il vicolo la scorse ferma vicino ai bidoni della spazzatura. "Nina" disse infine. E proprio in quel momento Gerald sentì il freddo inconfondibile della canna di una Luger P08 contro la nuca.

La donna nel vicolo si avvicinò a lui.

"Tu ti chiami Gerald Fuchs. Giusto?".

Gerald non capiva.

"Tu sei Gerald Fuchs? Rispondi!"

"Sì" disse lui. "Tu, tu sei...".

"Edith. Edith Katz. Non sai quanto ti ho cercato Gerald, ma alla fine ce l'ho fatta. L'uomo dietro di te che ti sta puntando una pistola alla nuca è Jorge. Tu mi hai chiamato Nina. Mi hai riconosciuto Gerald?"

"Sei la ragazza del campo."

"Ero la ragazza del campo. Il campo dove tu, Gerald, hai accompagnato alla morte mio padre, mia madre e dove tu, Gerald, hai ammazzato mio fratello mentre tentava di scappare. Te lo ricordi Gerald?".

"Io, io non..."

"Ovviamente no. Come potresti? Ne hai fatti fuori talmente tanti... Non sai quante volte ti ho fissato in quel campo covando la vendetta, Gerald, e ora il momento è arrivato. E non sono neanche così emozionata o soddisfatta. Ma lo farò lo stesso, Gerald. Ti ammazzerò."

"No. No. No. No, che fai? No, non tu."

"No, non io. Jorge lo farà. L'ho conosciuto al campo dopo che siete scappati come i topi putridi che siete. Feccia dell'umanità, scarti inutili e quindi sacrificabili come solo voi nazisti potete essere." L'emozione le aveva fatto tremare la voce, sembrava stesse per urlare. Poi riprese la calma e con la massima tranquillità disse: "Ma basta con le chiacchiere. Jorge, fuoco al mio tre. Uno."

"Non lo fare, io sono cambiato..."

"Per l'amor di Dio, Gerald, non dire stupidaggini. Due."

"No, ti prego. Io ti amo. Ti ho sempre amato. Quanto ti ho amato, Nina. Io ti amo. Ti amo. Ti amo..."

"Ah, l'amore..." attese un attimo e poi sorrise. "Tre!"

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top