Liberia - prova 3: La madre


Cammino di fretta nei corridoi del mio palazzo, un caleidoscopio di stucchi, specchi e marmi policromi che mi fa girare la testa. Per la prima volta tutta questa ostentazione di ricchezza mi dà fastidio, mi ferisce gli occhi e vorrei solo vederla sparire.

Ho paura, quell'ombra intravista nei cespugli mi ha spaventata. In testa continuano a girare, come una giostra impazzita, tutte le volte che la gente mi ha ricordato quanto somigliassi a mia madre.

Giunta davanti alla porta che conduce alle sue stanze mi fermo, accarezzando nervosa l'elsa della mia spada di diamante, che porto legata in vita. Non mi serve per difendermi, è solo un promemoria per ricordarmi che, se sono stata capace di ideare e portare a compimento con logica e metodo un oggetto così bello e letale, non posso essere pazza.

— Bekka, figlia adorata! — esclama mia madre non appena la guardia che presiede la porta mi fa passare, permettendomi di entrare nel grande salotto bianco. I suoi occhi enormi sono fissi su di me, ma pare quasi che non mi veda e che stia invece scrutando qualcosa di insondabile al di là del mio corpo.

— Una, due... due figlie. Due uccellini in nidi diversi — comincia a canticchiare, facendomi rabbrividire.

— Che dici, madre? Tu hai una figlia sola — sussurro, cercando di farla ragionare, anche se so che non serve a nulla.

— Lo so, tesoro. Hai ricevuto la lettera? Pare abbia attraversato il mare.

Lettera? Di cosa sta parlando? Mi avvicino circospetta alla poltrona sulla quale è compostamente seduta. Il suono dei miei passi è completamente attutito dal folto tappeto che riveste il pavimento e mi pare di camminare in un sogno. O forse in un incubo.

Lei si sistema una ciocca di capelli sfuggita dall'ordinata acconciatura e mi fa cenno di sedermi al suo fianco.

— È tanto che non venivi a trovarmi, mi farebbe estremamente piacere se passassi un po' più spesso. Sai, mi annoio terribilmente qui.

Ci sono momenti in cui appare normale, come in questo istante, ed è la cosa che mi terrorizza di più, questo avvicendarsi rapido e impredicibile di logica e follia, che mi mostra come sia semplice e veloce cadere nell'abisso.

Non ho parole per giustificare la mia lunga assenza, così sto zitta.

— Te la ricordi, quando è arrivata? Povera rana. Mi dicono che il figlio sia il suo ritratto — continua lei, perdendosi di nuovo nella sua mente. — A proposito, come sta? Viziato viandante, capriccioso e indomabile. Sarà contento di ritrovare la sua famiglia... oppure no. In ogni caso il tempo è ormai giunto, è ora di levare l'ancora.

Fa domande, ma non cerca risposte; parla con me, ma è come se non ci fossi. Mi sembra di avere un grande peso sul petto che mi impedisce di respirare.

— Sgorgherà sangue dalle vene della terra. Le vedi, le impronte, Bekka? Sono segni di zanne. Rane con le zanne.

Mi copro le mani con le orecchie ed esco dalla stanza quasi correndo. Basta, non voglio sentire altro.

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