La consistenza della terra

Concorso "Summer Love" di Romance_IT

[2993 parole]

Il vento mi sferza il viso non appena metto piede fuori dalla porta di casa, aggrovigliandomi i capelli che avevo appena finito di pettinare con cura.

-Vento! Ancora vento! Ma non finisce mai? - urlo spazientita a mio cugino Piero cercando con le mani di appiattire i miei capelli scuri sulla testa.

Lui mi risponde senza nemmeno distogliere lo sguardo dalle reti da pesca che sta raccogliendo. -Durerà almeno altri due giorni.

-Oddio, altri due giorni! Come fai a saperlo?

-È maestrale- comincia a spiegare lui, come se stesse parlando con una bambina stupida -e il maestrale dura sempre o tre o sei o nove giorni e così via. Oggi è il quarto. Quindi ne dura almeno sei.

Lo guardo un po' scettica, non molto convinta da questa teoria poco scientifica. Mi siedo sui gradini davanti alla porta con un sospiro.

-Spero che finisca presto, con tutta quest'aria non posso nemmeno andare in spiaggia.

-Perché no? - biascica lui mentre taglia con i denti un filo da inserire nella cruna dell'ago che ha in mano.

-Odio la sabbia che vola e mi pizzica la pelle. Per non parlare di quella che finisce negli occhi.

-Stupida. È invece il momento migliore: tutti i turisti ragionano come te e le spiagge sono quasi deserte. E poi il mare arrabbiato è uno spettacolo meraviglioso.

-Non dire sciocchezze: il mare piatto e cristallino è uno spettacolo meraviglioso, quello che non cerca di affogarti ogni volta che metti piede in acqua.

Lui sghignazza sotto i baffi che stanno cominciando a crescergli e di cui va immensamente fiero nonostante siano solo due peletti in croce. Poi aggiunge: -Comunque anch'io spero finisca presto. Quando è così forte non si può uscire in barca e senza pesca non si guadagna nulla.

Restiamo un attimo in silenzio, lui che aggiusta i buchi delle reti e io che lo fisso, finché non si alza soddisfatto.

-Perfetto! Papà sarà molto contento. Vuoi venire con me al porto? - mi chiede mentre carica le reti sul suo motorino scrostato.

-Per carità, no! - esclamo mentre cerco di togliermi di bocca i capelli che il vento mi ha di nuovo brutalmente schiaffeggiato in faccia. -Ne ho avuto abbastanza i giorni scorsi della puzza di pesce e di vecchi uomini sudati.

-Come vuoi- si arrende salendo sul sellino di pelle sbiadito dal sole. -Se proprio dovessi annoiarti mentre non ci sono puoi fare un giro nelle vigne del nonno.

-Dubito. A camminare nella terra mi si rovineranno di sicuro i sandali.

-Che idiota- lo sento borbottare alle mie spalle mentre torno dentro casa a poggiare la borsa da spiaggia che avevo inutilmente preparato prima.

-Anna! - il suo urlo mi richiama sull'uscio.

-Che c'è?

-Attenta al sole, che oggi è veramente impietoso.

-Non sembra. Anzi, si sta abbastanza bene tutto sommato.

-È colpa del vento. Ma non farti ingannare. Se vai nella vigna ricorda la crema solare- mi avverte mettendo in moto il suo trabiccolo scassato e partendo in una nuvola di smog. Lo guardo allontanarsi, finché la sua testa nera priva di casco non scompare in fondo alla via.

Appena il rombo del motorino svanisce mi trovo avvolta nel silenzio. Resto per qualche minuto in piedi sulla porta a guardare le misere piante nel giardino e, appena oltre, la strada vuota. Poi all'improvviso una tortora comincia a cantare svegliandomi dal mio incantamento. Alzo gli occhi verso il cielo senza neanche una nuvola. In questo momento è così assolutamente azzurro da far quasi paura.

Riporto lo sguardo sul giardino. E ora cosa faccio?

Che questa vacanza sarebbe stato un fallimento lo sapevo fin dall'inizio, da quando, nel nostro appartamento in centro a Milano, mia madre mi aveva annunciato tutta eccitata che avremmo passato l'estate a casa di suo fratello in un paesino sconosciuto del sud della Sardegna. Il paesino in cui lei stessa era nata e cresciuta. Erano anni che non ci andava, più o meno da quando io avevo imparato a gattonare, e le mancava.

Ovviamente avevo provato a farla ragionare, a farle capire che nessuna ragazza di diciassette anni avrebbe mai voluto passare tre mesi in un paese dimenticato da Dio con una schiera di parenti che in pratica non aveva mai visto, ma era stato tutto inutile.

In questo momento non posso fare a meno di pensare con invidia alla mia amica Cristina e alla sua vacanza a Corfù con le sue cugine. Dai messaggi che mi manda non posso fare a meno di dedurre che si sta divertendo un mondo tra bagni al mare (piatto e trasparente), partite di Beach Volley e serate in discoteca. Pare che Corfù sia popolata solo da giovani e aitanti ragazzi, mentre qui l'età media è 65 anni. Ammesso che si riesca a trovare un abitante dal momento che le strade sono quasi sempre desolatamente vuote. Il massimo della vita a cui si può ambire è scovare qualche vecchietto che chiacchiera seduto nella veranda di casa sua o all'unico bar del paese.

Adesso in giro non c'è proprio nessuno.

Mia madre è andata a fare non ricordo più quale commissione nella città più vicina con il nonno mentre mio zio è al porto con tutta la sua famiglia, così sono rimasta a casa da sola. In ogni caso, a parte Piero che a volte è quasi simpatico, non sono riuscita a legare con nessuno.

Un sospiro sfugge involontario dalle mie labbra mentre mi lego in una coda i lunghi capelli castano scuro che, come ci ha tenuto a farmi sapere il nonno appena mi ha vista, sembrano quelli di mia mamma da giovane. In realtà è un colore che hanno praticamente tutti in questo paese, così come gli occhi scuri e la pelle cotta dal sole. Per la prima volta in vita mia sono quasi tentata di non abbronzarmi, così da mantenere con la mia pelle candida una certa originalità.

Alzo nuovamente gli occhi al cielo squarciato dal sole, poi prendo il mio cappello di paglia dall'attaccapanni ed esco dalla minuscola casetta di mio zio. Non ho nessuna voglia di andare nella vigna, ma a quanto pare non c'è nient'altro da fare per passare il tempo.

So dove sono le vigne anche se non ci ho mai messo piede perché il nonno ci ha fatto fare un giro della zona il giorno che siamo arrivate.

Mi infilo a caso in un filare guardando con scarso interesse le piante che corrono ai miei lati. Non che ci sia molto da vedere dato che le viti si susseguono una uguale all'altra per chilometri, o così mi pare.

Come avevo previsto ben presto la terra secca si deposita in polvere sui miei sandali, sbiancando i laccetti scuri che li tengono legati ai miei piedi. Mi chino per pulirli con le mani, ma ottengo solo di lasciare delle ditate più scure dove ho tolto la polvere così che i sandali sembrano zebrati. Mi rialzo schifata. Non c'è niente di interessante nelle vigne, solo una serie infinita di piante identiche. Inoltre comincio a sentire un certo bruciore sulla pelle scoperta delle braccia.

Per questo sono già decisa a tornarmene a casa quando sento un improvviso rumore. Mi sollevo sulle punte per vedere oltre le viti e, un paio di filari più in là, scorgo una testa di capelli neri e un profilo giovanile.

Incuriosita cerco di raggiungere quel ragazzo tentando di aprirmi un passaggio tra le piante, ma riesco solo a graffiarmi braccia e gambe. Evidentemente i miei tentativi hanno fatto un sacco di rumore perché a un certo punto sento una voce maschile esclamare: -Ehi, tutto bene? Che stai facendo?

Mi alzo di nuovo in punta di piedi per riuscire a vederlo. Ora si è voltato dalla mia parte e mi sta fissando con i suoi occhi scurissimi incastonati in un volto asciutto e allungato.

-Si, sto benissimo, grazie- rispondo mentre afferro il capello che il vento minaccia di portarmi via.

Lui continua a guardarmi in silenzio con espressione indecifrabile.

-Mi stavo solo chiedendo- continuo un po' imbarazzata -come faccio a raggiungere il tuo filare?

Le sue labbra si allargano in un sorriso divertito. -Se cammini per un'altra decina di metri raggiungi un corridoio che collega tutti i filari.

-Ah, uhm, grazie – ribatto sentendomi un po' stupida. Seguo le sue indicazioni ed effettivamente raggiungo una stradina terrosa che taglia perpendicolarmente i filari. Prima di infilarmi in quello che mi porterà da lui mi chino nuovamente a pulirmi un po' i sandali.

-È inutile- lo sento dire d'un tratto facendomi saltare per aria. -Si riforma subito quando la terra è così asciutta- mi informa indicando i suoi vestiti polverosi e rovinati.

Come tutte le persone che ho incontrato anche lui mette un sacco di doppie dove non dovrebbero esserci mentre le toglie dove invece dovrebbero stare.

Mi rimetto in piedi. Sento le guance bollenti ma non so se è per colpa del sole o dell'imbarazzo.

-Non sei di qui, vero?

-No, sono in vacanza con mia madre.

-Ah, sei la nipote del vecchio Carlo. Mi aveva detto che sua figlia era finalmente tornata da Milano.

Annuisco, non sapendo bene cosa dire. In genere non ho problemi a parlare, ma questo ragazzo è così diverso da quelli con cui ho a che fare di solito che mi trovo impreparata.

-Io devo finire di lavorare- mi informa mentre ritorna nel punto in cui l'avevo visto da lontano.

Io lo seguo, sentendomi un po' come un cagnolino. È più alto di me di dieci centimetri, ma è molto magro, tanto che deve continuamente tirarsi su i pantaloni per evitare che cadano. Quando arriva a destinazione si china in terra e comincia ad armeggiare alla base di una pianta. Io mi fermo poco dietro di lui e resto in piedi ad aspettare che dica qualcosa. Ma siccome lui lavora in silenzio sono io la prima a parlare.

-Lavori per mio nonno?

-Si, ma solo d'estate quando si avvicina il periodo della vendemmia. Dice che da quando l'aiuto io il vino ha tutto un altro sapore. Simpatico quel vecchio- risponde sorridendo.

-Così ho sentito dire.

-Lo conosci molto poco, tuo nonno- più che una domanda la sua sembra un'affermazione. -E tu invece che ci fai nella vigna?

-Mi stavo annoiando. In paese non c'è nulla da fare e al mare non ci posso andare.

-Perché no?

-C'è il vento.

Vedo che la sua schiena cominciare a sussultare, ma prima che possa preoccuparmi capisco che sta ridendo. È una risata che non fa rumore ma in qualche modo riesce comunque a essere contagiosa, tanto che presto comincio a ridacchiare anch'io.

-Cosa c'è da ridere? - gli chiedo.

-Niente, ma sei la prima persona che sento che ha paura di un po' di vento. Escluso chi deve uscire in barca, ovviamente, ma loro sono scusati- risponde asciugandosi le lacrime con le mani sporche di terra e lasciandosi due righe più scure sulle guance. Si volta a fissarmi. -Puoi anche sederti, sai?

Abbasso lo sguardo sul terreno con aria vagamente schifata.

-Non dirmi che hai paura anche della terra.

-Non ho paura- ribatto piccata -ma è così sporca...

-È terra, non è sporca. Vieni, siediti. Toccala.

Mi chino lentamente cercando di toccare il suolo con la minor superficie possibile. Il suo volto si allarga nuovamente in un sorriso. Mi prende le mani e le fa scorrere sulla terra secca e crepata dal sole.

-Sentila. Da sempre l'uomo si occupa della terra, vive grazie alla terra. Ne segue i ritmi e le stagioni, è lei che decide se viviamo o moriamo. A volte ci nutre e ci abbraccia come una madre premurosa, a volte ci mette alla prova per tirare fuori il meglio di noi. Devi comprenderla, non averne paura. Ascolta il suo respiro.

Chiudo gli occhi cullata dalla sua voce e lascio che guidi le mie mani alla scoperta della terra. La sento prima ruvida e asciutta sotto i polpastrelli, poi umida e fresca quando mi avvicino alla base della vite. Ne sento tutte le impurità, le crepe che si allargano come ferite sulla sua superficie riarsa dal sole. Ne avverto la sete e la forza. Mi rilasso e d'improvviso non mi importa più se il mio prendisole si copre di polvere.

Riapro gli occhi e mi trovo davanti i suoi che mi guardano. Sorrido.

-Grazie. È stato bello.

-Non c'è di che.

Mi lascia le mani e riprende a lavorare. Io rimango ferma a guardarlo in silenzio.

-Ho quasi finito- dice dopo un po'.

-Non preoccuparti, si sta bene qui.

E lo penso davvero. Era tanto tempo che non mi sentivo così in pace. Tanto che quasi mi dispiace quando infine lui si alza e raccoglie i suoi attrezzi.

-Su, andiamo.

Mi tiro subito in piedi, pronta a seguirlo. Mentre percorriamo il filare fino al paese mi parla delle vigne, dell'uva e di quanto gli piaccia lavorare così. Mi dice che se potesse resterebbe qui per sempre e che non capisce i suoi amici che non vedono l'ora di finire la scuola per potersene andare al nord.

Io lo ascolto senza interromperlo e vorrei che la strada non finisse mai. Invece a un certo punto si ferma davanti a un cancello e smette di parlare.

-Sono arrivato- dice e mi pare di avvertire una punta di dispiacere nella sua voce. -Vuoi entrare a prendere un'aranciata? Ci sono anche delle formaggelle che ha preparato mia mamma. Sono davvero molto buone, fidati.

-Non vedo perché no- gli rispondo sorridendo.

Le formaggelle di sua mamma sono davvero le più buone che io abbia mai assaggiato e ne mangio così tante che quando ore dopo torno a casa mia ho ancora la bocca piena del sapore di quel meraviglioso dolce e lo stomaco totalmente riempito. Non mi sono mai sentita meglio.

Per tutti i ventosi giorni seguenti mi sveglio presto la mattina e mi faccio trovare sotto casa sua per accompagnarlo in vigna. La prima volta mi guarda stupito, ma subito la sua espressione perplessa cede il posto a un sorriso.

-Vedo che ti sei innamorata della terra.

-Così pare.

-Salvatore- mi dice poi, come avendo un ripensamento. È solo in questo momento che mi accorgo che non ci siamo ancora presentati.

-Anna- rispondo stringendo la sua mano secca e asciutta come la terra.

-Avevo proprio bisogno di un'aiutante, Anna.

Il secondo giorno lascio perdere sandali e prendisole e opto per qualcosa di più comodo. Il terzo mi arrischio addirittura a lasciare a casa il mio ingombrante cappello.

Poi un giorno il maestrale finisce. Esattamente dopo nove giorni, come Piero aveva annunciato. Andare in vigna diventa come entrare in un forno, col sole che picchia sulla testa e non lascia scampo. Ma Salvatore non demorde e quindi neanche io.

Una di queste sere cocenti, quando ormai agosto sta giungendo al termine e con esso anche le mie vacanze, me lo ritrovo nel soggiorno di casa, inaspettato, con uno zaino in spalla. È vestito quasi bene, ossia meglio del solito, con abiti puliti e i capelli in ordine.

-Mi chiedevo se avessi voglia di un pic nic-serale sulla spiaggia. Non preoccuparti- aggiunge poi -non c'è vento.

Gli do una pacca sulla spalla, come a volerlo sgridare, ma in realtà sto ridendo anch'io.

Metto il mio abitino bianco delle serate speciali e quando salgo dietro a Salvatore sul suo motorino scassato (pare che tutti in paese ne abbiano uno) non posso fare a meno di notare che ormai le nostre braccia hanno quasi lo stesso colore. E mi ritrovo ad ammettere che mi piace sembrare anch'io una di qua.

-Bello il vestito- sussurra Salvatore quando arriviamo sulla spiaggia, ma lo dice con imbarazzo, come se non fosse abituato a fare complimenti.

-Grazie- rispondo chinandomi a togliere le infradito per non far vedere che sono arrossita.

Camminiamo sul bagnasciuga finché lui non indica un posto tra due piccole dune che dice essere perfetto. Stende una salvietta e ci accomodiamo fianco a fianco, poi lui tira fuori dallo zaino un piatto enorme di formaggelle.

-Questo sarebbe il nostro pic-nic? – chiedo divertita.

Lui scoppia a ridere: -Mia madre temeva che non ne avessimo abbastanza.

Dopo aver vuotato il piatto non posso che darle ragione. Ormai il sole è tramontato e cominciano a vedersi le prime stelle. Mi sdraio sulla coperta e chiudo gli occhi.

Sento Salvatore che si sdraia accanto a me e le sue dita ruvide intrecciarsi alle mie. Stringo la sua mano e mi giro su un fianco per guardarlo. Lui fa lo stesso. Restiamo a fissarci senza dire niente, poi d'un tratto con la mano libera mi accarezza il viso.

È una carezza impacciata, insicura. Sento ogni callo e ogni imperfezione della sua pelle sulla mia guancia ed è come se con la sua mano vissuta e vera stesse rendendo vero anche il mio volto. Come se con la sua mano che sa di terra e di fatica alla terra mi stesse avvicinando e questa carezza mi sembra quasi un battesimo.

Sento la sabbia che si muove impercettibilmente sotto di noi e le stelle che vegliano dall'alto. Mi sento parte del tutto che ci circonda. Mai come ora mi sono mai sentita tanto viva.

Poggio a mia volta la mano sul suo viso e mi avvicino finché le nostre labbra non si incontrano.

È un bacio dolce, dapprima incerto, poi più sicuro e forte.

Sento che ho bisogno di lui come dell'ossigeno che respiro e del sangue che mi scorre impetuoso nelle vene. Il mio cuore batte così forte che temo possa spaventare le stelle.

Mi stacco dalle sue labbra e poggio l'orecchio sul suo petto per sentire se anche il suo cuore sembra impazzito. Lui mi accarezza i capelli con una delicatezza di cui non lo credevo capace.

-L'estate è quasi finita- sussurra ad un certo punto con la voce rotta.

-Sai cosa stavo pensando invece io?

-A cosa?

-Che non vedo l'ora di ammirare il mare d'inverno. Dicono che nel periodo delle vacanze di Natale sia stupendo.

-Lo è davvero- risponde lui mentre il suo sorriso diventa così luminoso da oscurare persino la luna.

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