Science-fiction Story [Completa]
[ATTENZIONE: PRESENZA DI OC]
L'aria era tranquilla, lì, nella stratosfera:
nessun aereo in vista od altri mezzi di trasporto. La lieve brezza della sera soffiava leggera, appena falciata dalla linea gialla lasciata dai propulsori situati sotto alla suola dei suoi stivali, sfumata delle tonalità calde dei fulmini che emettevano. Lui odiava l'aria, soprattutto quella sporca: raramente scendeva a volare sulla troposfera, troppo inquinata per i suoi gusti. Decisamente inquinata per i suoi gusti. Il vento che gli schiaffava la faccia non era una sensazione così piacevole, anzi, sentì addirittura un taglio aprirsi sulla sua guancia lattea.
"Maledizione!", pensò, stringendo pugni e denti nel tentativo di sopportare il dolore della ferita che, man mano gli arrivava l'aria in volto, da taglietto divenne squarcio.
La sua pelle non poteva tollerare ancora per molto la lesione, che ormai gli aveva spellato quasi mezza faccia.
Digrignando i denti, fece raggiungere alle proprie mani le rotelle sugli stivali, azionandole in modo tale che si fermassero. Svolazzò ancora per poco, fino ad atterrare sopra ad un promontorio. La prima cosa che notò fu il grandissimo faro situato sul suo bordo. -Interessante...-,
Annuì, scocciato e con aria fintamente interessata, tirando fuori il suo taccuino ed appuntandoselo. Il professore voleva assolutamente conoscere ogni farodi quell'isola, in modo tale da poter ultimare il suo ultimo progetto. Thunder non aveva ancora capito di cosa si trattasse questa nuova invenzione, ma non lo chiese: voleva evitare il più possibile dei richiami. Diede delle occhiate sbrigativo attorno a sé; non c'era nessuno che potesse interromperlo od osservarlo. Velocemente, sgattaiolò nel faro, chiudendo la porta a chiave.
Sfregò il più rapidamente possibile i piedi sul terreno, per far perdere potenza ai propulsori e far sì che non succedessero disastri. Chiuse gli occhi, anzi, l'unico occhio che non era coperto dal ciuffo di capelli, e dopo poco lo riaprì: luce completa. I suoi occhi avevano questa particolarità, ovvero diventavano totalmente bianchi e potevano illuminare gli ambienti come dei piccoli Soli in miniatura. Il gesto gli costò un forte dolore al braccio. Sapeva che non doveva sprecare così i suoi poteri, ma poco gli importava... . Strinse i denti più forte e salì le scale con veemenza, sbattendo la porta in legno antico che portava alla sala dei comandi con un calcio furente. Irato dal dolore, corse verso i pannelli e li disattivò: in quello stesso istante, il dolore smise, ed il gesso che gli ricopriva interamente il braccio destro si ruppe del tutto, rivelandone il braccio. A differenza degli umani, i quali mettevano dei gessi per cause mediche, lui lo faceva per nascondere il braccio, il quale rendeva intuibile l'origine del ragazzo: un alieno. Alieno non era il termine giusto, però: lui era un guardiano, Il Guardiano. Lui era il possessore dell'elemento del tuono, tutto in lui riportava ad esso. Avendo perso una battaglia, la quale coinvolse un universo parallelo, uno alleato e tre nemici, aveva riportato lesioni sul corpo, sulla pancia non erano ancora scomparse, e cadde svenuto sulla Terra. Thunder si spostava tramite le nuvole, nell'indifferenza altrui, per aiutare il suo salvatore: il professor Genesi. Lui lo aveva accolto come un ragazzo normale, senza considerare il suo aspetto,no, se lo ricordava proprio bene: lo stava guardando nell'occhio non coperto. Quel ricordo lo rincuorò: adesso non si sentiva un mutante, ma un umano. Si svegliò dal suo assopimento e, disabilitando i pannelli, sfondò il vetro del faro con uno schiocco di dita e volò verso la base.
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Atterrò pesantemente sull'asfalto, lasciando un segno a dir poco molto evidente. Si alzò frettolosamente e corse nell'osservatorio. Sorpassò la porta scorrevole automatica e, dopo qualche giro per i corridoi, arrivò al passaggio segreto. Toccò una crepa del vaso di fiori appoggiato al tappeto, steso a terra, e si aprì una porta. Trovò Cells, l'apparecchio di riconoscimento più completo mai creato dal professor Genesi o da un qualunque altro umano. Inserì la password, lasciò che Cells gli scannerizzasse l'impronta digitale del pollice e si fece passare ai raggi X l'occhio "in bella vista" e tutto il corpo. Ci vollero in tutto due minuti. Varcò la porta di vetro, e fu nello studio. Il professore si girò, sollevandosi la maschera per guardarlo.
-Ah, ben tornato, Thunder!-,
Gli disse pieno di brio.
-Mh. Senta, professore, le ho portato le informazioni sul faro, ed inoltre l'ho pure disattivato-,
Non traspariva una certa nota stonata nel suo tono, sembrava annoiato.
Il professore lo ringraziò:
-Oh, che bravo che sei stato, Thunder! Appoggialo sul pannello, almeno dopo lo guardo. Intanto vai pure in paese-.
Thunder lasciò il block notes sul pannello da lavoro, si tramutò da studente universitario (alto com'era non poteva apparire come un quattordicenne) e si diresse in centro.
Tralasciando il braccio destro interamente ingessato per coprire quello originale, ovvero costituito da materia plasmatica, sembrava un ragazzo normale. Camminò fino alla Chiesa, dove entrò. Era una vecchia cattedrale gotica, un po' tetra ma calda al suo interno. Spostò il portone di legno antico in modo da poterlo superare, e si incamminò davanti all'altare. Si guardò attorno: edifici come quelli non esistevano nel suo pianeta. C'erano templi in pietra, dedicati alle divinità come lui, ad esempio, ma nulla del genere. Si chiese il perchè la gente si inginacchiasse e mormorasse frasi davanti a quella croce in legno, con un uomo di cera affisso. Voleva evitare di dar nell'occhio, quindi si inginocchiò pure lui come gli altri, ed unì le mani come i suoi vicini seduti sulla panca in legno. La luce che filtrata dai vetri colorati si stagliava sulle facce rugose degli anziani in quella Chiesa. Dopo cinque minuti si alzò e tornò all'entrata. Si voltò per guardare nuovamente la navata. Un fruscio di vento spense una candela: Wind era lì.
Corrucciò la fronte e tornò all'osservatorio indisturbato.
Il professore, stranamente all'ingresso, lì chiamò:
-Ehi, Ian!-
-Mi dica professore-
-Vieni, devo farti vedere una cosa!-
E così dicendo corsero nel laboratorio, spegnendo Cells per evitare che suonasse.
Il professore era eccitatissimo, tolse un grande telo bianco dal fondo della stanza per rivelarne cosa si nascondeva sotto: un droide perfetto, sembrava pure un umano!
-È la mia ultima invenzione!-, gli disse trepidante, -non trovi che sia perfetto, Ian?-
Ian, nel frattempo, era sbalordito.
-Sì, professore, davvero magnifico-.
-Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Si chiama A54. Bene, non resta altro che accenderlo e, entro qualche giorno, gli ordinerò di aiutarmi a ultimare i preparativi per farti tornare a casa tua!-
A Ian sfuggì un sorriso: il professore non era mai stato così felice.
-Ok-, e tornò nell'ingresso, imboccando un corridoio differente. Lasciò che la porta si aprisse ad entrò in camera sua. Nella sua camera temporanea.
Sospirò. Chiuse gli occhi, e si assopì.
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Dannazione! Non aveva calcolato che poteva dormire per molto tempo, dato che l'orario terrestre era più ristretto rispetto a quello del suo pianeta!
Svelto, si stiracchiò ed aprì gli occhi: buio. Controllò la sveglia sul comodino: le 07:34 del 22. Aveva dormito 8 giorni. Questo voleva dire che poteva partire subito!
Rapidamente, scattò in piedi e corse verso il laboratorio, continuandosi a chiedere perché ci fosse buio alle sette di un giorno di primavera. Arrivò davanti a Cells. Cells era a terra, in frantumi. C'erano parecchi cavi scoperti da cui sprizzava qualche scintilla elettrica. Si spaventò subito. Varcò immediatamente la porta e vide del laboratorio un cumulo di macerie. Tutto era distrutto: ampolle a terra, attrezzi fusi, vetri scalfiti ed un qualcosa che si muoveva debolmente sotto ad un pezzo di muro.
Capì subito. Corse a sollevare il muro franato e vi trovò il professore, troppo tardi. Morto. Gli salirono alcune lacrime, che caddero sul suolo. Si girò a guardare il lato dove stava il vetro. Poteva vedere fuori. E vide ciò che non voleva vedere: A54 che, volando sopra la città, demoliva tutto quello che gli si parava davanti agli occhi. Un fruscio di vento. Wind.
-Che ci fai qui, Thunder? Non dovresti essere morto?-
-Bell'incoraggiamento a vivere, Wind!-,
Gli rispose Ian, sarcastico.
-Comunque, quell'affare va fermato. Ma come?-,
Si chiese Wind.
-Genesi non mi ha mai detto le sue funzioni, tanto meno i metodi di accensione e spegnimento-,
Lo informò Ian, iniziando a far crepare il gesso attorno al braccio restando fermo, immobile, impassibile.
In un attimo si trasformò nel padrone del proprio elemento, aguzzando gli occhi e puntando verso la città:
-Perchè va a fuoco?-
-E me li chiedi?! C'è un droide indemoniato che la sta riducendo a ferro e fuoco e chiedi il perchè?!-
Ribattè Wind.
-Io non mi riferivo a quel fuoco, guarda-,
Accennò Thunder.
Wind osservò, controvoglia, meglio e rimase a bocca aperta: c'era un'entità di fuoco che si stava alzando davanti ad A54.
Si lanciarono uno sguardo d'intesa: con anche Flame ce l'avrebbero fatta di sicuro.
Planarono fino al droide, e schivarono il raggio lucente che aveva sparato su di loro. Wind, rapido, lo circondò velocemente, creando una corrente d'aria molto potente e facendolo cadere al suolo. In un attimo, A54 si rimise in piedi. Li fissava e, con un moto di rabbia, li colpì. E ce l'avrebbe pure fatta se Flame non avesse assorbito il colpo e se non l'avesse fatto diventare polvere. I tre si gettarono in picchiata sopra al droide. Ma quello, lesto, lanciò una granata quando erano a poco più di un metro da lui. Si schiantarono al suolo, ed A54 continuò così un infinità di volte, stremandoli. Era finita: il robot aveva vinto. E mentre tutto andava a fuoco, gli occhi del mostro di ingranaggi erano furiosi. Al loro interno, una sfumatura di morte ed un richiamo di dolore.
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