CAPITOLO 5

Enrico deglutì, ed indietreggiò di un passo. Con gli occhi ormai pieni di lacrime riusciva a malapena a vedere ciò che aveva intorno, e forse questa era una fortuna: a pochi metri di distanza da lui, i copri dei suoi genitori giacevano a terra in condizioni pietose. Sangue, tagli ed organi sparsi sul pavimento.
Come avrebbe mai potuto avere la forza di sopportare tutto ciò?
Era come se il peggiore dei suoi incubi si fosse avverato; troppo brutto per essere quantificato, troppo orribile e crudele per appartenere a quella realtà che Enrico credeva di conoscere. Credeva che il male che si annida nel mondo fosse paragonabile alle liti dei suo amati genitori, credeva che fosse soltanto questo; ma si sbagliava, e solo adesso se ne rendeva conto. Il male era qualcosa di molto più scuro e potete, qualcosa di troppo orrendo per essere compreso dalla mente di una persona buona; ed Obba, era l'incarnazione del concetto di male. L'esatto contrario del bene. Tutto ciò che poteva esserci di sbagliato, brutto ed oscuro pullulava dal suo essere.
Obba ridacchiò, piegando il volto in un ghigno profondamente malefico. Si voltò verso il bambino, e disse con aria soddisfatta: -E così questo era il tuo sogno, eh?... Incontrare Babbo Natale...-.
Il bambino tentò di gridare, ma la voce morì nella sua gola; d'un tratto, non fu più possibile per lui sopportare tutto quell'orrore. La sua testa iniziò a girare vertiginosamente e la sua vista si sfocò gradualmente; sentì la forza abbandonare il suo corpo, mentre riusciva a malapena a distinguere la figura del finto Babbo Natale avvicinarsi a passo lento. Poi, di colpo, perse l'equilibro e cadde a terra, sbattendo la testa sulle mattonelle fredde del pavimento.
Dopo di questo, tutto nero. Nella sua incoscienza riuscì solo a percepire qualcosa di caldo afferrare saldamente le sue caviglie, per poi trascinarlo via.

..............

Sveglia, sveglia, bel bambino,
Son già le tre del mattino!
Oggi è Natale, non lo sai?
Chissà che bel regalo avrai!

Enrico dischiuse lentamente le palpebre. I muscoli intorpiditi non ne volevano sapere di muoversi, ed il soffitto della cantina che ora si trovava proprio sopra di lui sembrava girare su sé stesso. Insirò aria e sbatté più volte le palpebre, fino a recuperare la coscienza; che ci faceva nuovamente nella cantina?
Sollevò a fatica la schiena, che per qualche motivo era dolente, e notificò la presenza di Obba a pochi passi da lui.

Ben svegliato, ben svegliato!
Presto vedrai che bel regalo ti ho portato!

Il bambino si guardò intorno confuso e spaesato; era disteso sul pavimento, a torso nudo. La porta che conduceva al piano superiore era chiusa, così come i finestroni.
Avvolse le braccia attorno al petto, mentre un brivido di freddo saliva lungo la sua schiena.

Ma che sbadato! Che sbadato!
Sei forse infreddolito?
Predi la maglia, è vicino!
Usala per coprire il tuo corpicino!

L'agghiacciante voce di quel mostro aveva un suono ancor più spaventoso, rimbalzando sulle pareti della cantina. Enrico si fece coraggio e si voltò, notando che la sua maglietta era davvero lì accanto, poggiata sul pavimento. La infilò velocemente, e rivolse ancora lo sguardo al finto Babbo Natale.
Gli orribili ricordi di ciò che era accaduto poco prima riaffiorarono nella sua mente con una violenza inaudita, ad ancora una volta gli occhi del bambino si riempirono di lacrime; ma non pianse, doveva essere forte.
-Tu... Tu non sei Babbo Natale- farfugliò. Ormai l'aveva capito; quella persona, mostro, o qualunque altra cosa fosse non poteva essere Babbo Natale.
Obba allargò un sorrisetto compiaciuto. -Che bambino perspicace-.
-Ma allora...- continuò il piccolo Enrico -Allora chi sei?-.
Il mostro era seduto a pochi metri di distanza; le gambe grassoccie intrecciate tra loro, la lunga barba che quasi toccava il pavimento ed il sacco vuoto posato al suo fianco.
-Era ora che lo chiedessi, stupido poppante- rispose. Il suo volto sembrò assumere un ghigno, e la sua strana pelle assunse strane pieghe mentre un sorriso ancor più ampio si faceva strada sulle sue labbra storte. -Come tu sai Babbo Natale offre doni ai bambini. Io, invece, li rubo. Sono il suo antagonista da sempre-.
Il piccolo Enrico aggrottò la fronte e trattenne il respiro; non riusciva a capacitarsi di tutto questo. Stando a ciò che diceva, quello che aveva davanti era... Un ladro? Un ladro di giocattoli?
Se era soltanto un ladro, allora perché aveva ucciso i suoi genitori?
-Da sempre rubo i giocattoli che Babbo Natale, nonché mio fratello gemello, distribuisce ai bambini. Questa volta, però, la mia missione è molto diversa-. Obba si passò i pollici dentro al cinturone, allargandolo lievemente.
-Qu-qual'è la tua missione, stavolta?- balbettò il bambino, timoroso di venire a conoscenza della risposta.
Obbab Elatan sorrise malignamente -Ruberò qualcosa di molto, molto diverso di un semplice giocattolo; e lo metterò quì, dentro al mio sacco-. Dicendo quelle parole, l'uomo deforme indicò il sacco vuoto che teneva adagiato a terra accanto a lui.
Enrico non capì che cosa quel mostro volesse dire, ma non fece alcun tipo di domanda; era troppo spaventato per parlare ancora. Lo sguardo strano e disturbante di Obbab era puntato su di lui; riusciva a sentirne il peso.
Aveva paura, tanta paura. Rinchiuso in una cantina con un mostro dalle sembianze umane, senza possibilità di fuga.
A chi avrebbe potuto chiedere aiuto? Mamma e papà erano distesi sul pavimento al piano di sopra e da lì non si sarebbero mai più mossi; e quella, seppur inaccettabile, era la realtà.
Enrico chiuse gli occhi per una manciata di secondi, cercando di recuperare il controllo; era consapevole del fatto che doveva innanzitutto calmarsi, per trovare una soluzione. Fu così che si concentrò sul nero in cui, con le palpebre calate, i suoi occhi erano immersi; e come un fulmine al ciel sereno nacque un'idea nella sua mente.
La pistola ad acqua.
Si disse che forse l'unica cosa che avrebbe potuto fare sarebbe stato cercare di spaventare quel mostro. Si ricordò che suo padre, due anni prima, gli aveva regalato una pistola ad acqua. Era un semplice giocattolo di plastica in grado di sparare un piccolo getto d'acqua; tuttavia, all'esterno, era esattamente identica ad una pistola vera. Di colore scuro, con tanto di canna in finto ferro, grilletto, caricatore e sicura.
"Forse pensando che sia vera si spaventerà" pensò il bambino cercando di ricordare dove l'avesse messa. Solitamente la teneva sotto al letto, ma dal quell'angolazione non riusciva a vederla.
-Cosa cerchi, poppante?- chiese subito Obba, notando il modo in cui muoveva la testa nel tentativo di cercare l'oggetto senza dare nell'occhio.
Enrico si impietrì immediatamente, ed abbassò lo sguardo. Forse tentare di afferrarla sarebbe stata una pessima idea, dato che quel mostro aveva già dato prova delle sue abilità.
-Non ti conviene tentare di scappare- continuò Obba ridacchiando compiaciuto -Non vorrai certo fare la stessa fine dei tuoi cari genitori, non è vero?-.
Il bambino scosse la testa, trattenendo a stento le lacrime che nuovamente stavano bagnando i suoi occhi. Ogni volta che nella sua mente riappariva l'immagine di quei corpi squartati, la disperazione lo assaliva con una violenza inaudita.
Deglutì e strinse i piccoli pugni. -Cosa...- balbettò -Cosa vuoi da me?-.
Il mostro scrocchiò le dita, piegando le dita indietro in modo del tutto innaturale. -Ottima domanda, moccioso-. Con la mano destra accarezzò la sua lunga barba bianca, e disse: -Diciamo che tu, caro piccolo Enrico, hai qualcosa che gli altri bambini non hanno.... Qualcosa che mi ha fatto venir voglia di mettere in atto la mia vendetta-.
-Puoi prenderti la casa!- gridò allora il bambino, stressato fino all'inverosimile -Prendi la casa e tutto quello che c'è dentro, ma lasciami andare ti prego!-.
-Ma io non voglio nulla del genere- rispose Obba con al sua agghiacciante voce roca e profonda -Voglio rubarti ben altro, e per farlo ho bisogno di tempo-.
Tempo? Rubare ben altro? Di che stava parlando quel mostro? Che cos'altro poteva desiderare, se non prendersi la casa e tutto ciò che conteneva?
Enrico era confuso e spaventato, e non sapeva quanto ancora i suoi nervi avrebbero retto la tensione. Avrebbe voluto fare un balzo indietro ed afferrare quella pistola giocattolo, ma il dubbio che Obba non si sarebbe lasciato imbrogliare lo bloccava; inoltre, se la pistola non fosse sotto al letto? O non fosse riuscito a raggiungerla in tempo?
Troppi dubbi lo fecero esitare; e così restò lì, seduto a terra, davanti a quel mostro immane.
Il finto Babbo Natale sorrise ancora una volta, mettendo in mostra una fila di denti gialli. -Credo ci vorranno almeno dieci ore, affinché il processo raggiunga il suo termine-.
Dicendo questo, il mostro indicò il sacco vuoto posto accanto a sé con uno dei suoi orrendi artigli ricurvi. Dapprima il piccolo Enrico lo osservò senza capire; che aveva a che fare il sacco con tutto ciò? Non riusciva a capire che cosa significasse quella frase.
Obba ridacchiò. Solo un paio di secondi dopo, a fornire una l'arte di risposta alle domande del bambino, accadde una cosa talmente strana ed agghiacciante che Enrico mai avrebbe potuto dimenticare:
Il sacco vuoto si mosse.

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