CAPITOLO 3

Il piccolo Enrico si chiuse in cantina, triste ed affranto. Per lui fu come se all'improvviso il mondo avesse iniziato a sgretolarsi, e tutte le sue sicurezze fossero svanite nel nulla.
Se Babbo Natale non esisteva come aveva detto la mamma, allora non esistevano neanche le renne, neanche la magia, e forse.... Forse neanche la gioia?
Si sdariò nel letto e si comprì con il piumone caldo, tirandolo su fino a metà viso. Si sentiva stupido, adesso, ad aver pensato che Babbo Natale avrebbe risolto i suoi problemi, e che avrebbe messo pace tra i suoi amati genitori; quella lettera che aveva appeso all'albero, era solo una lettera. Allo stesso modo, non c'era nulla di magico e speciale nelle decorazioni che mamma aveva appeso, né nel cenone del ventiquattro, né in tutta quella falsa bellezza del natale. Tutto quanto non era che una mera bugia, un inganno tramite il quale si spinge i bambini a credere in una cosa che non esiste e che mai esisterà.
Enrico si sentiva quasi tradito dai suoi genitori, adesso che aveva realizzato che per tutto quel tempo gli avevano mentito. Era vero che credere nella magia del natale era stato bellissimo, ma che senso ha illudere un bambino in quel modo?
Il piccolo chiuse gli occhi e sprofondò la testa nel cuscino, lasciandosi cullare dal tempore del suo letto. In breve tempo, si addormentò. Le braccia intrecciate tra loro, la gamba destra leggermente più piegata della sinistra, ed il petto che si muoveva in modo lento e regolare.
Difficile dire per quanto tempo dormì; forse qualche minuto, forse qualche ora. Fatto sta che quando si svegliò, un ombra proveniente dalla finestra veniva proiettata sul pavimento dalla luce della luna. L'ombra era imponente e rotondeggiante, e si muoveva come se stesse cercando di aprire la finestra.
Il primo pensiero che nacque, veloce come un fulmine a ciel sereno, nella mente di Enrico fu uno ed uno soltanto: è Babbo Natale!
In quel momento di pura ed intensa gioia, il bambino dimenticò ciò che aveva pensato fino a quel momento e si convinse ancora una volta dell'esistenza del suo eroe.
Saltò giù dal letto con un balzo, ed accese la luce cercando l'interruttore a tastoni sul muro; non appena la lampadina si accese inondando la stanza di lucea, fu visibile anche la figura che nella notte scura si stava affacciando alla sua finestra. Ed era.... Era proprio Babbo Natale!
Enrico iniziò a saltellare come un pazzo, e spinse una piccola scrivania sotto al finestrone così da arrivare ad afferrare la maniglia.
-Oh oh oh!- disse Obba -Ciao, piccolo Enrico! Mi fai entrare?-.
Il bambino annuì energicamente, nonostante fosse piuttosto scosso nel realizzare quanto fosse roca ed inquietante la voce di Babbo Natale. -Vieni! Attento a non cadere!-. Aprì il finestrone con una certa fatica, e scese giù dalla scrivania in modo da fare spazio all'omone panzuto; il suo cuore batteva all'impazzata nel petto, e la gioia che in quel momento stava provando era davvero indescrivibile.
Obba saltò giù con una certa fatica, ed atterrò in modo impacciato. -Caspita, piccoletto!- esclamò -Ma dove dormi?-.
-Questa è la cantina!- rispose il bambino -Ma ci sto bene, qui!-.
Adesso che era dinnanzi a lui, Enrico poteva vedere bene l'aspetto del suo eroe; e mentirei se dicessi che non gli fece un pò di ribrezzo. La corporatura era quella classica che si descrive nelle storie: grasso, con la pancia rotonda. I capelli bianchi erano seminascosti dal cappello rosso; la lunga barba dello stesso colore scendeva lungo il petto, ed il cinturone stretto sul panciotto sembrava riuscire a malapena a tener su i pantaloni. Un grosso sacco di juta, stranamente vuoto, era caricato sulla sua sa schiena, ed i suoi piedi erano infilati in un paio di scarpe bucate.
I caratteri fisici, effettivamente, corrispondevano; tuttavia, ci fu un dettaglio piuttosto strano che lasciò Enrico perplesso: la pelle. Lo si notava specialmente dal viso, che la pelle di Babbo Natale era strana; prendeva pieghe innaturali, ed in più punti sembrava addirittura essere stata cucita.
-Che guardi, piccoletto?- chiese Obba con la sua strana voce, notando lo sguardo preoccupato del bambino.
-N..Niente- rispose lui scuotendo la testa -Solo... La tua pelle è strana!-.
L'omone si lasciò scappare una lieve risata. -Vedi, piccoletto. Questo è perché è bruciata!- improvvisò -Mi sono scottato entrando in un camino acceso, l'anno scorso!-.
-Oh!- esclamò Enrico -E ti ha fatto male?-.
-Sì, ma ora non più- rispose l'altro ridacchiando.
-Ed il sacco? Perché... Perché è vuoto?- domandò ancora una volta Enrico.
Obba allargò uno strano sorriso sulla sua bocca. -Beh... Perché ho già finito il giro! Tu sei l'ultimo bambino!-.
Enrico spalancò le palpebre e lasciò cadere la mandibola inferiore. -Davvero?- chiese stupito -E quindi hai finito tutti i regali?-.
-Dipende- rispose Obba -Qual'era il tuo desiderio?-.
Il bambino abbassò lo sguardo, lievemente in imbarazzo. -Io... Vorrei....-. Si zittì per qualche secondo, poi disse tutto in un colpo: -Vorrei che mamma e papà non litighino mai più!-.
L'omone annuì soddisfatto. -Bene bene bene- disse -Un desiderio davvero singolare, il tuo... Non vorresti anzi un giocattolo?-.
Enrico scosse la testa. -No. È questo che voglio....-.
-E va bene, piccoletto.... Esaudirò il tuo desiderio.... Ma prima....-.
-Prima?- chiese lui, che non stava più nella pelle.
-Prima dovrai condurmi da loro-.

______________________
Molti, molti anni prima.
In una casa di montagna, sperduta chissà dove, nascevano due gemelli

-Oh, tesoro... Vuoi.... Vuoi tenerli entrambi?-.
-Ma certo che sì!-.
-Ma quello... Sembra molto debole... Potrebbe non farcela e poi...-.
-Li terremo entrambi- lo interruppe la moglie -Sento che.... Sento che c'è qualcosa di magico in questi due bambini-.

Nacquero due gemelli, partoriti in una casa di legno che sorgeva su di un'alta montagna. Era il venticinque dicembre, quando vennero alla luce, ed il paesaggio era ricoperto di una fitta coltre di neve bianchissima.
I due gemelli erano molto diversi tra loro; il primo nato, era grassottello e molto bello, con un visino splendido ed un paio d'occhi meravigliosi; il secondo, invece, era magro, brutto, e storto. Il medico che andò a visitare la donna quel giorno stesso, disse che il figlio più bello aveva probabilmente privato il gemello della maggior parte delle sostanze nutritive, durante lo sviluppo nel feto; questa era la spiegazione per cui l'altro era così mal costituito.
Nonostante le loro diversità evidenti, entrambi i gemelli crebbero nell'amore incondizionato da parte della loro madre, che si convinceva del fatto che entrambi i suoi figli fossero bellissimi. Nel luogo in cui vivevano, la neve cadeva quasi tutto l'anno, e così i due bambini erano abituati a vivere in ambienti freddi; nonostante questo, il gemello brutto non poteva giocare all'aria aperta assieme al fratello. Il suo corpo, aveva detto il dottore, era fisicamente molto poco resistente e la sua salute molto cagionevole; per questo motivo, non poteva uscire a giocare nella neve. Fu questo il primo motivo che spinse Obba a diventare ostile; vedere suo fratello giocare all'aria aperta, mentre lui era costretto a stare in casa, era straziante. Il secondo motivo, invece, furono le continue derisioni dei compagni di scuola, quanto i due gemelli furono portati alla scuola elementare.
L'odio cresceva nella mente di Obba come un ramoscello che pian piano si rafforza fino a diventare un grande e possente albero. La rabbia verso gli altri e verso le ingiustizie del mondo, la delusione nei confronti di sé stesso ed il desiderio di vendetta, trasformarono Obba in un mostro.
Ci si rese conto che le parole pronunciate dalla loro madre avevano senso, doversi anni dopo. "Sento che c'è qualcosa di magico in questi bambini" aveva detto.
Di fatti, il giorno stesso in cui il gemello buono comprendeva la sua volontà di fare del bene agli altri, quello cattivo nutriva il desiderio più sfrenato di seminare orrore e paura. I gemelli si separarono; quello buono restò nella casa dei loro genitori, dove iniziò a fabbricare giocattoli per tutti i bambini, mentre l'altro se ne andò, ignorando le suppliche del fratello, scomparendo tra le vette innevate delle montagne. "Tornerò" disse "Perché devo ancora vendicarmi di te".
Fu il giorno del venticinque dicembre di molti anni dopo, che la magia si compì; il giorno in cui entrambi i gemelli compivano sessant'anni. Il gemello buono, che adesso viveva solo i quella casa immezzo alla neve, ricevette un dono che tanto aveva desiderato in quegli anni: la magia. Una magia che gli avrebbe consentito di distribuire i suoi doni a tutti i bambini del mondo. E mentre lui diventava Babbo Natale, il gemello cattivo prendeva il nome di Obbab Elatan. Quest'ultimo non aveva scopi precisi, se non seminare tutto il dolore che poteva; si impegnava nel compiere l'esatto contrario di ciò che faceva il fratello e così, se l'altro distribuiva doni, lui passava nelle stesse case e li rubava. A differenza del fratello buono, tuttavia, Obba non disponeva della magia necessaria a passare in tutte le case del mondo in una sola notte, come faceva lui; per questo, il suo lavoro si riduceva ad un paio di case all'anno. E questo non poteva che aumentare il suo desiderio di vendetta nei confronti di quel fratello che, secondo lui, lo aveva privato di tutto.
Fu proprio l'anno in ci Enrico espesse quel desiderio, che Obba decise di cambiate strategia; decise che non sarebbe più stato solo un semplice ladro di giocattoli, ma che avrebbe rubato ben altro. E questo perché l'esistenza di Enrico celava un lato oscuro, di cui il bambino stesso non era a conoscenza.

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