L'oro degli eroi

Era buio.

A Moon Jail era sempre buio, ma nessuno sapeva il perché. Tutto era perennemente immerso nell'ombra, senza che nessuno sprazzo luminoso illuminasse le strade. La luce non era mai entrata in quella città.
Hazel era abituata al buio. Ogni abitante lo era. Avevano sviluppato il proprio senso della vista per poter continuare a vedere anche al buio, come un gatto. Anche se con le leggi di segregazione serviva a ben poco. Nessuno poteva uscire, se non per funzioni vitali, come rifornire la cantina oppure la scatola del pronto soccorso. Qualunque altra necessità vi fosse, veniva scartata. Nessuno poteva uscire senza un'arma, nessuno poteva uscire senza avere almeno sedici anni. Dicevano sempre che il mondo là fuori fosse pericoloso, con creature che si aggiravano nell'ombra, pronte a distruggere i passanti con i denti.
Hazel aveva passato più di quindici anni della sia vita chiusa in casa. Non aveva mai visto come fosse una strada se non attraverso un vetro, non aveva mai incrociato lo sguardo di qualcuno che non fosse sua madre o suo padre. Ma le giornate erano così uguali che non ci si rendeva neanche conto dello scorrere del tempo.
Gli anni scivolavano, inesorabili, come l'acqua di una sorgente che scende a valle. E la cascata poteva durare in eterno, oppure avere vita molto breve. Dipendeva solo se rispettavi la legge.

Hazel chiuse il libro, con gli occhi stanchi, e gettò un'occhiata all'orologio. Erano di nuovo le tre, e lei era ancora in piedi. Sua madre diceva sempre che per avere una vita normale dovesse avere dei ritmi fissi, facendo le cose ad una determinata ora. Eppure, lei continuava a rimanere sveglia più del dovuto, a saltare alcuni orari, a finire qualcosa prima di quanto avesse dovuto fare. Hazel voleva rendersi conto di quando qualcosa nella sua vita cambiava, e tenersela stretta, perché significava possedere un altro tassello alla propria identità. Lei era Hazel, non era una mina vagante.
Ma in quel momento era una ritardataria, per l'ennesima volta.

Si alzò dalla poltrona morbida, e mise la mano sulla maniglia della porta, socchiudendola. Vide solo il gatto, che dormiva nella cuccia. Evidentemente quel giorno sua madre non aveva voglia di farle la predica. Richiuse la porta e si buttò sul letto. Un ciuffo castano le ricadde sulla pelle color cioccolato del viso, e lei lo scacciò con un soffio nervoso. Volse lo sguardo verso la finestra. Riusciva ad intravedere le nuvole cariche d'acqua che si avvicinavano, e vide anche i rami secchi dell'albero accanto alla casa. Poi, quasi senza accorgersene, chiuse gli occhi.
In pochissimo tempo, si ritrovò dentro ad un sogno.

Era così simile alla realtà che per un po' Hazel credette di star facendo davvero tutto ciò. Era ancora in camera sua, stesa sul letto, ma non stava dormendo. Era più sveglia che mai. Ad un tratto, mise i piedi giù dal letto e si alzò, dirigendosi verso la finestra. Tese una mano, come se volesse toccare il vetro freddo. Ma non ci riuscì. Non appena i polpastrelli sfiorarono la lastra, la attraversarono, come se fosse stata fatta d'acqua. La Hazel del sogno ritrasse la mano, sorpresa, e si guardò le dita. Non aveva la minima idea di come avesse fatto.

"È un sogno" si disse "tutto è possibile"

Scosse la testa, come se stesse pensando a qualcosa di pessimo. Poi scrollò le spalle ed infilò la mano nel vetro.
Il mondo si capovolse, e la Hazel del sogno fu risucchiata dalla finestra. Non vedeva nulla, se non macchie colorate molto confuse. Poi, quando riuscì di nuovo a vedere, si rese conto di non essere più nella sua stanza, bensì in mezzo alla foresta.
Quello era il luogo che più di tutti era proibito, poiché era ritenuta la dimora delle bestie.
Eppure, Hazel era lì, senza mai averla vista prima, con un'immagine vivida negli occhi. La Hazel del sogno iniziò a muovere qualche passo. Non aveva idea di cosa avrebbe potuto incontrare. Aveva sentito dire che le bestie erano spiriti maligni che covavano rancore per la razza umana, e che potevano distruggerti da un momento all'altro se lo desideravano.

Improvvisamente, si alzò un vento gelido, ed Hazel iniziò a passarsi le mani sulle braccia, nel tentativo di riscaldarsi. Alzò lo sguardo verso il fitto della foresta, e rabbrividì. V'era una nebbia, chiara, compatta, che faceva contrasto col buio perenne che la circondava. Avanzava, ad una seppur minima velocità, verso di lei.

"E' solo nebbia" si disse "non è nulla di reale"

Ma quei pensieri vacillarono un attimo dopo. La sua vista da notturna le fece distinguere una sagoma dentro la nebbia. Distinse un contorno, seppur fumoso, ma soprattutto distinse due occhi. La stavano fissando, minacciosi, da dentro la nebbia.
Hazel non ebbe neanche il tempo di formulare un pensiero lucido che quella figura si avventò su di lei.

Non era qualcosa di solido, ma neppure incorporeo. Era come se fosse fumo solidificato. Qualsiasi cosa fosse, le si stava iniziando ad attorcigliare intorno. Hazel iniziò a dimenarsi, nel tentativo di salvarsi, scappare, o nel peggiore dei casi tirarsi uno schiaffo per destarsi. Ma era bloccata, poteva rimanere a guardare solo la sua morte. Sentiva le spire di quella bestia avvolgerla, come un serpente, stringersi intorno a lei, nel tentativo di soffocarla. Sentì, a poco a poco, che il suo respiro la stava abbandonando. Ad un tratto, senza preavviso, il mondo divenne nero, e la vera Hazel si svegliò, nel proprio letto, con i ricci scuri bagnati di sudore.

Per i giorni successivi, quell'incubo tormentò Hazel. Ogni notte, la finestra della propria camera la risucchiava, la portava nel bosco, dove poi moriva. Arrivò a tentare di non dormire, solo per non farlo arrivare, ma il sonno incombeva su di lei come un avvoltoio ogni maledetta volta.
Si domandò se non fosse reale, come un avvertimento, che le ripeteva, ogni notte, di non uscire. Ma, paradossalmente, più quel sogno si presentava, più Hazel aveva voglia di sapere se fosse reale.

In casa non ne aveva parlato con nessuno, neppure con la madre. Doveva già badare alla sua sorellina, Bianca, che per Hazel era paragonabile alla peste, e non voleva dare altre preoccupazioni alla madre. Da quando sua sorella era nata, Hazel era passata in secondo piano. Era diventata...

-Un'ombra - disse Hazel, ad alta voce.

-Cosa hai detto? - chiese la madre, chiudendo il libro che stava leggendo.

-Nulla mamma, torna a leggere - replicò Hazel, pacata, alzandosi.

-Dove vai? - domandò invece l'altra.

-Da nessuna parte, mamma -.

La ragazza si alzò e si diresse verso le scale. Invece di salire in alto, verso camera sua, imboccò le scale che puntavano in basso. Non era mai scesa al piano di sotto da quando avesse memoria, le era sempre stato detto che quel piano era proibito, pericoloso. Sua sorella non era stata diligente come lei, e nei dodici, brevi ma eterni anni della sua vita, era già scesa tre volte al piano di sotto. Dopo tutte le volte che era ritornata su con le braccia ricoperte di taglia, Hazel aveva capito che Bianca avesse trovato delle armi, che però non era stata in grado di maneggiare.
E le armi erano proprio ciò che le servivano.

Non appena mise piedi sul pavimento dell'armeria, il freddo la assalì. Sentì il gelo partirle dai piedi, e poi salire, fino ad arrivarle al cervello. Scosse la testa, dicendosi che il freddo a Moon Jail fosse la cosa più normale di tutte. Non v'era sole, luce, qualsiasi fonte di riscaldamento. Perciò si viveva nell'inverno perenne.
Hazel si mosse, andando verso la porta di legno scheggiato. Sfiorò il pomello d'ottone con le dita, passando su tutte le rigature, i punti arrugginiti, la vernice stesa male. Poi lo prese e spinse la porta.

Si ritrovò in una piccola sala circolare, con un soffitto alto, a cupola. Le pareti erano rivestite da rastrelliere ricolme di qualsiasi arma che si potesse immaginare. C'erano spade, lance, pugnali, ma anche archi, balestre, e perfino pistole. In un angolo erano ammassate faretre ricolme di frecce, mentre in un altro scatolone pieno di munizioni. C'erano anche delle armature, appese al soffitto, rivestite da corazze di qualsiasi materiale e foggia. Il tutto sembrava non muoversi da anni, eppure Hazel sapeva che la madre le usava. Dovevano procurarsi di che vivere in qualche modo.

Affascinata, rimase a fissare le lame e le corde per qualche minuto, come se fosse andata in trance. Poi si riscosse, ed iniziò a passare le mani sul legno levigato degli archi, sulle punte affilate delle frecce, sulle lame taglienti delle spade. Le piacevano quelle armi. Non aveva paura di usarle. Sfilò un arco da una rastrelliera sulla sinistra, ed iniziò a far vibrare la corda, come se la stesse suonando. Se lo mise a tracolla, come per sentirsi più forte, più...

-Potente - sussurrò.

Aveva sentito quella sensazione sin da quando aveva aperto la porta, come se quelle armi le infondessero una particolare sicurezza, come se le sussurrassero che con loro avrebbe potuto fare grandi cose. Raccolse una faretra da terra, e se la mise in spalla. Si disse che così però non sarebbe andata molto lontano. Sua madre non le aveva ancora insegnato a maneggiare le armi, e non poteva permettersi di contare sulla fortuna che spedisca la freccia nel punto giusto prima di riuscire ad imparare da sola.

"Prenderò una spada" si disse "almeno con quella posso andare ad intuito un minimo"

Passò la mano su tutte le impugnature delle lame affilate, cercando quella che avesse potuto fare per lei. Alla fine, ne sfilò una dorata, con l'impugnatura da scherma. Le piaceva. Cercò un fodero dove potesse riporla, ma non ne trovò.

"Oh beh, la terrò in mano" pensò.

Si voltò verso la porta. Le parve di vedere una sagoma guizzare via, ma non ci fece troppo caso. Lentamente, iniziò a salire le scale, per arrivare in camera sua. Era quasi arrivata alla meta, quando poggiò il piede sul gradino sbagliato.

SCREACK!

"Maledizione!" imprecò Hazel, nella sua mente.

-Hazel! Non eri in camera? - chiese la madre dal piano di sotto, con tono sospettoso.

"Non risponderle" si disse la ragazza "non rispondere e basta"

-Hazel? Tutto bene? -

La ragazza continuò a salire, senza rispondere.

-Allora? - domandò la donna, con una punta di durezza nella voce

-Addio mamma- rispose lei -Forse non ci rivedremo più -

-Come? Cosa stai facendo? Dove vai? Non puoi uscire! -

-Da adesso non sono più nessuno. Addio-

Hazel era ormai arrivata in camera sua, ma sentiva i passi della madre vicini. Stava andando verso di lei. Si avvicinò alla finestra, e tese la mano. La madre entrò in camera in quel momento, e sgranò gli occhi. Hazel si voltò a guardarla un'ultima volta, poi infilò la mano nel vetro.

Come nel sogno, il mondo si rivoltò. Hazel vedeva macchie confuse, senza distinguere forme concrete. Poi, improvvisamente, sentì l'erba gelida a contatto col suo corpo, che le solleticava la pelle. Sbatté le palpebre, più volte, nel tentativo di vederci di nuovo. Si alzò in piedi, lentamente. Intorno a sé non vedeva nulla di diverso da alberi. La nebbia maligna non c'era. Eppure, se il passaggio aveva funzionato, perché quella parte del sogno non avrebbe dovuto essere reale?

Un pensiero frullava per la testa di Hazel. Sentiva che le mancasse qualcosa, qualcosa di importante. Poi la terribile verità le arrivò alla mente. La corazza! Aveva dimenticato di prendere la corazza! Aveva sentito dire che gli spiriti non erano tutti uguali, e attaccavano in modo diverso. Aveva bisogno di essere pronta a tutto. Ed era già stata inetta una volta. Un altro pensiero fastidioso le arrivò alla testa. Perché non allenarsi prima di partire? Ma scacciò subito l'idea. Sua madre l'avrebbe scoperta, e tutto sarebbe stato vano. Allora perché non aspettare l'addestramento regolare?
Hazel si maledisse. Era stata troppo impaziente, e ora ne avrebbe pagato le conseguenze.

La ragazza iniziò a vagare per gli alberi, la spada in mano. Ripensandoci, non era stata una grande idea. Perché l'aveva fatto? Voleva morire? Su questo non era sicura. Ma si ricordò di quella vocina, che le sussurrava in testa, dicendole di lasciare tutto e andare. Cosa fosse, non lo sapeva. Frustrata, iniziò a menare colpi all'aria. Erano stoccate veloci, all'inizio un po' goffe, ma pian piano furono sempre più precisi. La sua testa le fece vedere un avversario immaginario, che tentava di metterla in difficoltà. Lei iniziò a colpire la sagoma più e più volte, mentre la sua insicurezza se ne andava a poco a poco. Ma una vocina nella sua testa le disse che così sarebbe stata solo in grado di vincere a tavolino. Avrebbe visto solo un'immagine debole, infima, incapace. Perché ogni essere umano è programmato per voler vincere le proprie battaglie.
Hazel si fermò. Aveva sentito un fruscio. Non sapeva dire con esattezza da dove venisse. Le sembrava che risuonasse attorno a sé. Alzò la spada, preparandosi per difendersi. Poi le urla esplosero nel bosco che la circondava.

Era una mezza dozzina di ragazzi, dell'età di Hazel, tutti armati di spada e scudo. Appena li vide, Hazel seppe di non avere speranza contro di loro. Erano tutti preparati, e si vedeva. Lei era solo una novellina che combatteva contro avversari immaginari. Spiccò una corsa. Correva come una forsennata, cercando di raggiungere un albero che avesse i rami bassi per potervisi arrampicare. Ma i tronchi erano tutti dritti e scivolosi ed Hazel era stremata. Non era abituata a correre. Anzi, non era proprio abituata a muoversi. Distrutta, si accasciò a terra, di schiena. Percepì l'arco e la faretra ancora lì, ma quasi non ci fece caso. Sentì dei passi risuonare dietro di sé: i ragazzi dovevano averla seguita. Ad un tratto, si vide una lama argentata puntata alla gola ed un ragazzo carino che la guardava da sopra. Le appoggiò la punta della spada su una guancia, facendolo un taglio. Il ragazzo ghignò.

-Forse non sei come tutti gli altri eh? - chiese, retorico -Abbassate le armi, è umana- aggiunse, rivolto agli altri ragazzi.

Hazel ritrovò la voce: -Abbassala anche tu allora-

Il ragazzo sorrise, poi rinfoderò la spada. -Hai fegato- disse -Alzati, su- e le tese la mano.

Hazel la prese, e si tirò in piedi, riacquistando la forza nelle gambe. Si risistemò l'arco in spalla, mentre i ragazzi la fissavano. Si portò i capelli dietro le spalle, togliendo i fili d'erba che erano rimasti intrecciati.

-Chi sei? - chiese il ragazzo che le aveva puntato la spada alla gola.

-Mi chiamo Hazel- rispose lei, semplicemente -E voi? -

-Noi siamo i Cercatori - disse il ragazzo, drizzando la schiena -Siamo ribelli alle leggi di segregazione, siamo scappati nei boschi per essere liberi. Io sono Martin-

-Beh, piacere Martin. Cosa cercate di preciso? - chiese Hazel.

-La luce perduta - rispose il ragazzo, con voce solenne.

Hazel aggrottò la fronte, confusa. Lei sapeva che un tempo ci fosse la luce, ma pensava fosse sparita dal mondo per sempre.

-Non conosci la leggenda? - domandò Martin, sorpreso.

Hazel scosse la testa: -No, racconta -

-Si dice che un giorno giungerà un eroe con il potere di trovare la luce. Esso troverà la prigione dov'è nascosta e la distruggerà, con il potere della sua spada d'oro. Ma pagherà l'eroismo con la vita. Qui sia Nico sia Jason posseggono una spada d'oro. Pensiamo che c'è una probabilità che sia uno di loro, perciò li aiutiamo nella ricerca. Ma sono passati due anni, e non abbiamo trovato nulla ancora- aggiunse Martin, mesto

-Aspetta...spada d'oro...come questa qui? - chiese Hazel, alzando la lama.

Martin annuì: -Sì, l'ho notata sin quando siamo saltati fuori dal cespuglio. Ma non farti strane idee. Non sono rare. Però... -

-Però? -

-Sento del potenziale in te, Hazel - disse Martin -Vuoi unirti ai Cercatori? -

Hazel si morse il labbro. Certo, sarebbe stato più semplice sopravvivere con loro. Ma avrebbe potuto fidarsi? Beh, non aveva molte alternative.

-Va bene - annuì Hazel.

-Benvenuta tra noi allora - replicò Martin.

Da quel momento, Hazel iniziò ad allenarsi seriamente. Imparò a combattere con la spada per bene, riuscì a scoccare le frecce in una traiettoria dritta e a combattere corpo a corpo. Era diventata forte, non era più una ragazza mingherlina che si trascinava per le stanze della casa in attesa dei suoi sedici anni. Era diventata una guerriera.
Un giorno, non sapeva bene che ora fosse, ma era certa che gli altri dormissero, sentì un rumore particolare. Alzò lo sguardo, e vide ciò che temeva da molto, molto tempo.
La nebbia.
Avanzava, lemme lemme, ma senza fermarsi. Hazel sbarrò gli occhi, poi si diresse verso Martin, che russava sotto un albero, ed iniziò a schiaffeggiarlo. Quello si svegliò, confuso.

-Cosa...cosa succede? - chiese lui, ancora frastornato.

Hazel per tutta risposta indicò la nebbia. Anche Martin sgranò gli occhi.

-Quella...quella nebbia...nasconde il difensore della luce. È uno spirito assetato di sangue. Come facevi a sapere che sia così pericoloso? - chiese.

Hazel gli spiegò brevemente il suo sogno.

Martin annuì, serio: -Ne discuteremo più tardi. Ora scappiamo -

-Ma come! Se è il difensore della luce significa che siamo vicini alla prigione! Non possiamo mollare adesso! Combattiamo! - replicò Hazel.

-Hazel, ma è un suicidio! Ti ucciderà! - disse Martin, guardandola come se fosse matta

-Qualcuno dovrà pure morire, o no? - replicò lei.

Poi si alzò e si tuffò nella nebbia. Martin sbuffò, ma la seguì.
Hazel girava lo sguardo, alla ricerca dello spirito, mentre si trascinava la spada dietro. Sapeva che molto probabilmente quello sarebbe stato il suo ultimo combattimento, ma non le importava. Sapeva che quella battaglia andava vinta.
Frustrata nel vagare a vuoto, Hazel alzò la spada e chiamò:

-Spirito! Fatti vedere se ne hai il coraggio! -

-Hazel, non farlo! - urlò Martin, ma lei non lo ascoltò.

Un contorno fumoso emerse dalla nebbia. Hazel sapeva che fosse arrivato il momento, e preparò la spada. Poi sentì una voce invaderle la testa:

"Sei stata coraggiosa ad arrivare qui, Hazel Nightmare" disse lo spirito.

Hazel rabbrividì, sentendo usare il suo nome completo, ma continuò a guardare avanti. Iniziò ad intravedere gli occhi serpentini dello spirito, così strinse la presa sulla spada.

"So che sai che morirai. E sarò io ad ucciderti. Ma puoi scegliere di morire subito, velocemente, oppure di morire dolorosamente in battaglia. Avanti, decidi".

Per tutta risposta Hazel si avventò contro di lui.
La battaglia non fu lunga, ma fu aspra. Dopo non molto, Hazel si ritrovò a terra, con lo spirito che le roteava attorno e la canzonava.

"Non puoi uccidermi. Io posso morire soltanto dopo aver ucciso un eroe. E quando io morirò, la luce rimarrà intrappolata per sempre se non liberata prima. Se vuoi liberare la luce, devi sconfiggermi. Non puoi liberare la luce. È inutile".

Hazel girò gli occhi, tentando una via di fuga. E poi lo vide: un piccolo cubo di roccia, con le sbarre attorno, che sembrava del bianco più puro. La ragazza scattò, e si lanciò verso il cubo di roccia, la spada alzata.
Arrivata lì davanti, tirò un colpo, che scheggiò la pietra. Una crepa iniziò ad allargarsi, mentre si intravedeva sempre più bianco dentro. Ma all'improvviso, Hazel sentì un colpo alla schiena. Abbassò lo sguardo e vide lo spirito uscire dal proprio petto. Lo spirito la stava uccidendo, ma ormai la luce era libera. Hazel riuscì a vedere il tetto del cubo di pietra crollare e liberare un grande fascio bianco, che iniziò ad illuminare il bosco e ad allargarsi verso Moon Jail, e lo spirito, in mezzo al fascio luminoso, che si dissolveva. E poi Hazel cadde, morente. Guardò la luce rinascere finché non vide più nulla.

----Allora. This is più lunga di quella di prima. Storia fantasy sempre per scuola. Lo so, è abbastanza banale e poco articolato, ma insomma, non avevo il tempo di studiarmela bene.

Ciaonebus

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