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«Riportami a casa» Monica indietreggiò, incapace di staccare gli occhi dal loculo. Troppe cose stavano accadendo tutte insieme. Credeva di essere pronta, ma si sbagliava e controllare il panico diventava ogni istante più difficile. Altri universi, alieni: erano tutte cose che poteva tollerare. Ma che lui fosse vivo, no, che fosse tornato a cercarla, la faceva uscire di testa. «Riportami a casa subito.»

Fonte la osservava senza una parola, l'impermeabile umido mosso appena da un vento che prima non c'era. Monica si concentrò sul proprio respiro, tentando di escludere ogni altro pensiero. Lui era vivo. Forse era proprio lì. Sobbalzò, quasi aspettandosi che le fattezze di Fonte si mutassero in quelle del defunto marito, ma non accadde nulla. L'uomo orribile taceva, gli occhi freddi tornati umani. Impassibile, la scrutava come se potesse leggerle dentro. Lui sapeva, pensò Monica, ma subito scacciò l'idea. Non c'era ragione di credere che un essere del genere si interessasse a vicende terrene. Si adombrò. Strinse le dita a pugno, per darsi forza. «Perché ora?»

«È il mio lavoro.»

Monica scosse la testa. «Hai detto che sono l'ultima. Com'è possibile che un singolo uomo...» La realizzazione la colpì con la forza di un pugno, costringendola a interrompersi, senza fiato. Alzò lo sguardo su Fonte e il coraggio svanì. Il volto dell'uomo fu attraversato da un lampo, ma fu un istante e l'espressione tornò quella di sempre. «Cosa?»

Annuì, i pensieri che schizzavano nella testa a mille chilometri l'ora, inafferrabili. Fonte non aveva capito, o forse fingeva. In entrambi i casi, gli doveva una risposta. «Perché vuole uccidermi?» Le parole le bruciarono in gola e dovette lottare per pronunciarle. «Eravamo sposati. Ci amavamo»

Finalmente, Fonte distolse lo sguardo. «C'è forse ragione dietro l'alternanza delle stagioni?»

«Sì» replicò Monica, allargando le braccia. «L'asse terrestre e la rivoluzione attorno al sole.»

Fonte scoppiò a ridere e per un attimo le sembrò una persona come tante altre, uno sconosciuto con cui scambiare due chiacchiere al bar, per poi dimenticare per sempre alla fine della serata. Poi Fonte tornò a guardarla e anche se sorrideva i suoi occhi erano di nuovo gialli e grandi, troppo per una faccia, e la pelle iniziò a raggrinzire sulle guance, lasciando intravvedere qualcosa di diverso, che la sua mente non poteva concepire. Monica sbatté le palpebre, e dimenticò.

«La fisica è lo studio dei fenomeni» concesse Fonte. «Come avvengono e perché. È vero, gli oggetti cadono secondo gravità, ma perché questa si dispieghi come fa è un altro paio di maniche. Ai tuoi occhi, forse, sembrerà che esistano leggi che non possono essere infrante» Ora le era così vicino che vedeva il suo pomo d'Adamo muoversi. Le toccò una spalla e una scarica di elettricità si riversò come fuoco in ogni capillare. La vista si sfocò, esplodendo in scintille di colori che non seppe descrivere. Si sentì svenire; le sue ultime parole le solleticarono le narici, esplodendo nell'aria come bolle di sapone. «Ma non esiste altra legge che la propria percezione.»

Monica sentì la propria voce gridare e, quando riacquistò il controllo di sé, era in ginocchio, senza fiato. Il cuore rimbombava nelle orecchie e una forza invisibile la premeva a terra, ricordandole ogni secondo la sua fragilità. Conficcò le unghie nel suolo umido di pioggia, notando appena i nastri che vietavano l'ingresso, ricomparsi alle sue spalle. Se avesse alzato lo sguardo, lo sapeva, il loculo di suo marito sarebbe stato di nuovo al suo posto. Era a casa, ma non meno in trappola. La rabbia la pervase, crescendo dal petto. «Cosa vuoi che faccia?»

Fonte rilassò le spalle. «Torna a casa. Mangia, dormi. Non parlare con nessuno di quanto hai visto, oppure fallo, fa' come più ti piace. Lui verrà, non so quando.»

«Lo fermerai?»

Il sorriso di Fonte si allargò. Svanì, e fu come non fosse mai esistito.

La pressione sui suoi arti diminuì e Monica si sentì leggera e di nuovo in grado di respirare. Deglutì a forza e si rialzò traballante sui tacchi. I vestiti erano sporchi di polvere e fango, ma non se ne curò. Poco lontano, abbandonata contro un vaso di fiori secchi, trovò la sua borsa. Era tutto in ordine, chiavi comprese. Muovendosi come un automa, raggiunse l'auto, la convocazione del comune e le infiltrazioni della tomba all'ultimo posto nei suoi pensieri.

Si risvegliò nel suo letto, senza sapere come c'era arrivata. Erano le otto del mattino e una chiamata persa di Carla la rimproverava dallo schermo del cellulare. Si alzò a sedere, scostando con malagrazia i peluche che l'aiutavano a prendere sonno. Cercò le pantofole e, non trovandole, si rassegnò a restare a piedi nudi. Il freddo del pavimento le diede lucidità e la furia tornò a montarle dentro. Stava per essere uccisa da un uomo morto, e, ne ebbe chiara consapevolezza, nessuno sarebbe arrivato a salvarla. Strinse i pugni sulle coperte e per qualche minuto non si mosse, gravata dal solo compito di respirare.

Cos'era Fonte? Cosa voleva da lei? La mente si affollò di domande senza risposta. Le scacciò con un battito di palpebre. Se solo fosse stato meno criptico. Storse il labbro: anche questo doveva essere parte del suo gioco. Be', Monica non aveva intenzione di giocare. E non sarebbe morta, nossignore. Ancora non aveva un piano, ma non avrebbe più permesso ad altri uomini di prendere le redini della sua vita.

Carla rispose quando il cucchiaio raschiava il fondo della terza ciotola di cereali. A giudicare dalla voce impastata, doveva essersi appena svegliata. Monica non vi badò. «Credo abbiano risolto.»

«Perché non hai risposto?»

«È stata una giornata stancante, scusa» Lo disse in tono risentito, perché Carla si sentisse in colpa. Monica afferrò il sacchetto dei cereali e vi affondò il cucchiaio, senza preoccuparsi che la sentisse masticare. «Però non c'è da preoccuparsi. Sono stati gentili, hanno detto che sistemeranno tutto loro.»

«C'è da pagare?»

«No» O almeno sperava. «Anzi, a ben pensarci hanno detto che mi manderanno una ricevuta o qualcosa del genere a lavori conclusi. Ti farò sapere se ci sono spese aggiuntive.»

Carla restò in silenzio. «Non voglio che paghi ancora per lui.»

Monica posò i cereali e spinse indietro la sedia, posando i piedi sul tavolo, tra le tazze e i resti dell'ultima lavastoviglie. Aveva le unghie di nuovo lunghe e un disperato bisogno di un'estetista. «Non lo farei» Deglutì rumorosamente. «Davvero, Carla. Non preoccuparti.»

Ebbe l'impressione che, all'altro capo della cornetta, la donna avesse annuito. «Riguardati.»

Si trattenne dal riderle in faccia e riattaccò dopo saluti e la promessa di vedersi presto a cui nessuna credeva. Monica sospirò. Carla l'avrebbe lasciata in pace per qualche settimana, prima che i rimorsi della coscienza la facessero tornare alla carica. Avrebbe voluto spiegarle che non era necessario mantenessero i rapporti, ma sapeva che non l'avrebbe capita. Per lei la famiglia era sempre stata importante. No, rifletté Monica, non la famiglia: le apparenze.

Forse era per questo che andavano così d'accordo.

Si grattò il collo. Se quello che aveva detto Fonte era vero - e non aveva motivo di dubitarne - non l'avrebbe rivisto tanto in fretta. Sbarrare la casa o installare trappole era altrettanto inutile: se lui era riuscito a ucciderla in così tanti universi, di certo non si sarebbe fatto fermare da una sedia sotto la porta o una spruzzata di spray al peperoncino.

Uscire non era meno pericoloso che chiudersi in casa: al contrario, avrebbe avuto più possibilità rimanendo in luoghi affollati. Ebbe difficoltà a rinunciare al senso di tranquillità che le mura dell'appartamento offrivano, ma sapeva di doverlo fare. Prese il suo tempo per truccarsi, ma il rossetto le sfuggì di mano.

Dallo specchio, una smorfia che non le apparteneva la giudicava: correttore e fondotinta avevano cancellato le occhiaie, dato una linea più decisa ai suoi zigomi e reso il naso più sottile. Era bella, sembrava bella. E giovane. Il trucco aveva spogliato il viso di ogni imperfezione, lasciando l'illusione di pelle levigata. Non aveva nei, né lentiggini. Le cicatrici della varicella e l'alone lasciato dall'acne erano svaniti. Sorrise e la ragazzina oltre il vetro ricambiò il suo saluto e il suo disgusto.

Strinse i bordi in ceramica del lavandino, evitando il proprio riflesso finché il respiro non si fu calmato. Poi, come nulla fosse accaduto, applicò una generosa quantità color pesca alle labbra, si pettinò con le dita e s'interrogò su quale profumo fosse più adatto all'occasione. Niente di troppo forte, né di banale. Ricordò una fialetta ricevuta come campioncino omaggio facendo acquisti online e usò quella, badando a non svuotarsela addosso.

Scelse i vestiti con cura e ammiccò alla sua figura nella parete di vetro dell'ascensore. Vivendo in un appartamento al secondo piano non aveva davvero bisogno di prenderlo, ma quel giorno l'idea di fare le scale la metteva a disagio.

Optò per il centro commerciale, sapendo quanto potesse essere invivibile a quell'ora del sabato. Aveva inviato un messaggio alle amiche chiedendo loro di incontrarsi, ma non si prese la briga di attenderle nel luogo pattuito. Invece prese a girovagare, seguendo il fiume di persone fino a ritrovarsi in libreria.

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