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Odiava tutto di lui: dai capelli unticci al sorriso di denti storti. Detestava l'azzurro acquoso dei suoi occhi, la sclera ingiallita dal fumo e la pelle butterata dalle cicatrici dell'acne.

Sempre col collo torto su qualche progetto, la faccia stupida di un bambino che cerca la madre al centro commerciale.

Era sempre stato così, rifletté Monica, sin dai primi tempi. Un'onestà che non poteva rimproverargli.

Strinse le braccia al corpo, cercando di riscaldarsi con le dita. Il cielo era azzurro e terso quando era uscita, ma ora era chiaro che di lì a poco avrebbe iniziato a piovere a dirotto. Ricordò che lui aveva un modo suo di prevedere gli acquazzoni. Qualcosa sull'umidità che doveva avergli detto sua madre. Gran donna, quella: sveglia, atletica e con un acuto senso dell'igiene. Tutte caratteristiche che in lui mancavano.

C'erano state buone ragioni per rimanere sposati tanto a lungo: lei aveva un lavoretto part-time, lui un contratto a tempo indeterminato. I suoi genitori si erano stancati di vederla per i corridoi, lui aveva una casa di proprietà. Era stata giovane e stupida abbastanza da scambiare una lieve infatuazione per qualcosa di più duraturo.

All'inizio era bello. Lui le sembrava bello. Desiderabile, persino. In verità non era mai stato né l'una né l'altra cosa: a distanza di anni, le erano chiari i motivi che l'avevano spinta in quel baratro. Aveva passato i venticinque. Tutte le sue amiche avevano già qualcuno. Ancora non avevano il coraggio di deriderla a viso aperto, ma presto le punzecchiature si sarebbero fatte più sfacciate.

Quando era arrivato lui, l'aveva accolto come un'ancora di salvezza. Era stata la prima persona a manifestare interesse nei suoi confronti. Anche questo, meditava attraversando la strada, doveva aver contribuito.

Sbuffò, insofferente, e affrettò il passo. Aveva poca voglia di andare, ma non poteva evitarlo.

Liquame. Che genere di liquame? Non erano stati precisi. Liquame dalla tomba.

La sua morte era stata una liberazione. Alzandosi al mattino non doveva più sopportare il suo fetore, coricandosi la sera non temeva più il suo tocco viscido.

Monica era stata la più felice delle vedove. L'unica difficoltà era stata non sorridere accompagnando la cassa. La stessa che ora la tormentava.

Quasi inciampò. Maledisse il porfido di quella zona. Controllò in fretta i tacchi, pronta al peggio. Il sollievo le riscaldò il petto quando vide che erano intatti; aveva dovuto buttare già due paia di scarpe, le sarebbe spiaciuto aggiungerne un terzo.

Iniziò a piovere. Poche gocce, quasi impercettibili. Se ne accorse quando una le finì sul naso. Non si preoccupò di correre: mancava poco all'ingresso.
La chiesa emerse di colpo dai tetti quando la pioggia iniziava a farsi più forte. Si affrettò sui gradini, attenta a non scivolare, e si riparò nella nicchia oltre il portale. Faceva sempre più freddo e il tailleur leggero non la riparava. Decise di entrare.

L'avevano chiamata quella mattina, chiedendole di recarsi al cimitero. Che fosse tornato? Un terribile pensiero, subito fugato. Ma lì, tra le navate rischiarate appena dalle fiamme rossastre delle candele, la mente tornava a indugiare su quella follia.

Liquame dalla tomba. Monica non era un'esperta di sepoltura, ma suonava brutto anche alle sue orecchie. Si sedette sull'ultimo banco, le gambe incrociate. Lo immaginò svegliarsi nel buio della cassa di rovere, scavare con le dita sul coperchio sigillato. Gridava, consumando il poco ossigeno che gli rimaneva. Non era troppo sveglio neppure nella fantasia.

Che stupidaggini. L'impiegato al telefono non era stato molto chiaro, ma un'idea Monica se l'era fatta: la bara aveva ceduto e i resti al suo interno avevano iniziato a trapelare. Se non ricordava male, il suo loculo era tra quelli più alti. Il liquame doveva essere filtrato in quelli sottostanti.

Quell'uomo era una piaga anche dopo morto.

Sentiva il rumore della pioggia farsi più intenso. Uscire era inutile, a meno che non cercasse un raffreddore. Controllò il display del cellulare: mancavano ancora venti minuti all'orario pattuito.

Alla fine era riuscita a trovarsi un lavoro. Non molto importante, ma la paga era buona e il suo capo la trattava bene. Nei primi tempi dopo la sua morte, erano stati i suoceri ad aiutarla. Viveva ancora nella casa che aveva condiviso con lui. In verità i rapporti che aveva con loro erano molto più forti di qualsiasi cosa avesse stretto con il figlio.

Finito lì avrebbe dovuto avvertirli. Sbloccò il cellulare. Forse avrebbe potuto telefonare subito. Carla, la suocera, era in pensione: avrebbe risposto.

Cercò il nominativo nella rubrica.
Monica era cresciuta immersa nella cultura cattolica, ma l'aveva sempre trovata stretta. Non le piaceva l'idea di dover rendere i conti delle proprie azioni a un dio; in verità, non credeva ce ne fosse uno. Non ricordava l'ultima volta che aveva partecipato a una funzione; forse era stato proprio il giorno del funerale.

«Monica?»

«Ciao» rispose, sollevata. «Hai un minuto?»

La sentì esitare. «Tra poco ho la lezione di yoga.»

«Posso richiamare.»

«No» disse Carla. «Non c'è problema. Di solito sei al lavoro a quest'ora, è successo qualcosa?»

«Posso richiamare davvero.»
«Andiamo, dimmi tutto.»

Monica sorrise. «Ieri mi ha chiamato il comune. Sembra sia... successo qualcosa alla tomba.»

«Alla tomba?»

Si sentì impacciata. Come poteva spiegarlo? «Un'infiltrazione, o qualcosa del genere. Non ho capito molto, ma credo si sia rotta.»

«Trinità.»

«Mi hanno detto di presentarmi al cimitero, più o meno», controllò il display, «tra dieci minuti.»

«Sei già lì?»

«Sì.»

Silenzio. Monica prese a tormentarsi il labbro, incerta. «Credo non sia niente di grave.»

«Non è questo che mi preoccupa. Perché non mi hai telefonato ieri?»
Già, perché? La chiamata l'aveva messa in agitazione e si era immersa nel lavoro. Aveva cercato di dimenticarlo. Una mossa stupida, degna di lui.

«Non lo so» rispose. «Mi è passato di testa.»

«Ora devo andare» la voce di Carla le parve un muto rimprovero. «Richiamami appena torni a casa.»

Chiuse la telefonata con un saluto affrettato, e Monica fu sola.

Sollevò lo sguardo verso l'altare. Ricordò la faccia livida del suo catechista e le innumerevoli volte in cui l'aveva spinta sul leggio. La chiesa del suo paese era disadorna, per nulla elaborata come quella in cui si trovava, ma l'aria le sembrò altrettanto soffocante.

Lui era cattolico. Avevano parlato della cosa un paio di volte, quando ancora stringerlo non le dava la nausea. Lui aveva sempre trovato stupide le ragioni dietro al suo ateismo. Non era mai riuscito a capirla.

Si alzò. Non sentiva più il rumore della pioggia.

L'entrata del cimitero altro non era che una ringhiera alta due metri incastonata tra mura di un grigio spento. La struttura era più grande di quel che ricordava; non sapeva dove andare, così cercò di ritrovare il loculo del marito. Il suolo sassoso era umido per la pioggia. Il marmo delle tombe a terra era lucido di pioggia, così come i fiori. Vasi vuoti di un bronzo scintillante si erano riempiti per almeno due dita. La tempesta non era durata molto, ma era stata intensa.

Pensò al suo loculo. Non si era mai preoccupata di portargli fiori. In tre anni, l'aveva visitato forse una o due volte insieme a Carla.

Girovagò per qualche minuto, più interessata alle statue di angeli e madonne che all'appuntamento. Poi li vide.

Nastri gialli delimitavano l'area e un capannello di persone si avvicendava. Riconobbe l'area, nuova abbastanza perché ci fossero spazi vuoti. Lui era lì.

«Si fermi, signora.»

A parlare era stato un uomo dagli zigomi affilati. Lo guardò, confusa, prima di capire che si stava rivolgendo a lei.

«Mi scusi?»

«È zona vietata. Non vede i nastri?»

Li aveva visti. Ma li aveva anche ignorati. L'uomo strinse gli occhi; il suo soprabito ocra era fradicio e dei sassolini si erano incollati alle scarpe nere. Anche i capelli, castani e più corti ai lati, erano umidi: tutto suggeriva che non avesse cercato riparo dalla pioggia.

«Mi dispiace» Monica distolse lo sguardo. «Cosa sta succedendo?»

«Nulla di importante» tagliò corto quello.

«Sembra ben informato.»

L'uomo fece un passo in avanti. «Mi perdoni se le sembrerò brusco, ma qui non può stare. Anch'io me ne sto andando: faremo la strada insieme fino al cancello, le va?»

Monica si irrigidì. «Sono stata convocata qui dal comune, non me ne andrò prima di aver parlato con i responsabili.»

Uno strano scintillio gli si accese negli occhi. «Potrebbe ripetermi il suo nome?»

Trattene l'imprecazione. «Monica Campieri. Lei è del comune, vero?»

«Sono un ispettore di polizia. Mi chiamo Giorgio Fonte.»

«Come, prego?»

«Quello che ho detto. E se non stava raccontando balle, be', mi dispiace, ma dovrà seguirmi in centrale.»

Costernata, Monica fece un passo indietro, stringendo a sé la borsa. «Ma io...»

«È stata fortunata a incontrarmi.»

«Che intende dire?»

«Che c'è stato un omicidio, signora Campieri. E il colpevole è suo marito.»

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