shot(223t) - REPOST

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«Non saprei, credevo avrebbe almeno fatto gli auguri a mia madre» Monica fissava il soffitto. C'era un caldo soffocante, ma evitò di farlo notare. Era stesa sul lettino da alcune ore, e la cosa iniziava a renderla inquieta. Materasso e cuscino erano morbidi, per carità, ma dubitava che i veri psicologi ne facessero uso. Grattò l'incavo del gomito, distratta. Le maniche arrivavano poco sopra il gomito e la cucitura l'infastidiva. Era la prima volta che indossava quella maglia e l'aveva fatto - non provò vergogna ad ammetterlo - per la profondità della scollatura.

Sospirò. «Voglio dire, lo sapeva. Compie gli anni lo stesso giorno del suo ragazzo. Scherzava sempre su questa idiozia, non può averlo dimenticato.»

«Molto interessante» Fonte mordicchiava la gomma della matita, stravaccato sulla poltroncina rossa. Prestava poca attenzione alle sue parole, concentrato sul proprio block notes.

«Sono passati due mesi e ancora niente. Nisba. Di lui nessuna traccia, né online né offline» Si tolse la giacca, l'appallottolò e gliela lanciò contro. Fonte, impreparato, per poco non cadde dalla sedia.

La guardò con miseria, raddrizzando appena gli occhiali, che rimasero storti sul naso. «Come siete arrivati a questo?»

«Avevi gli occhiali anche le altre volte?»

L'uomo succhiò la matita. «No.»

«Hai perso vista?»

«No.»

Silenzio. Fonte sbuffò. «Mi rendono incredibilmente carismatico. E sono perfetti per fare il finto psicologo. Ora prosegui, non ho tutto il giorno.»

Monica arricciò il naso, ma obbedì. «È iniziato tutto mesi fa. Voleva che lo raggiungessi per giocare a bowling coi suoi amici, ma ho rifiutato. Odio sia il bowling che i suoi amici.»

La libreria a muro ricambiò lo sguardo perso di Fonte. L'intera parete era tappezzata di volumi, alcuni ancora incellofanati, altri abbandonati alla polvere. Una delle mensole, piegata dal peso, non avrebbe retto ancora a lungo.

Sapeva che avrebbe dovuto farle qualche domanda, ma Monica parlava a flusso continuo già da qualche minuto.

«Cioè, ti rendi conto? Crede di poter spiegare il femminismo a me e pretende pure di aver ragione? Le altre erano imbarazzate da morire, tutto il locale ci guardava e la barista per poco non c'ha buttato fuori.»

«Comprensibile» Fonte aveva rinunciato a cercare di seguire il filo del discorso. Monica continuò a parlare per altri dieci minuti, progressivamente più irritata e rossa in faccia via via che raccontava aneddoti infarciti di commenti acidi e male parole. Ritrovatasi senza fiato, esitò.

Fonte colse l'occasione per intromettersi. «Fin qui vedo perché tu sia arrabbiata con lui, ma non perché lui sia arrabbiato con te.»

La donna annuì. «Succede che sono stata piena di impegni e ho dimenticato di disdire una prenotazione. Con innocenza. Me ne sono ricordata una settimana dopo e mi sono scusata. Più di una volta.»

Fonte si raddrizzò sulla sedia, la matita tra le labbra. Temeva di sapere cosa stesse per dire Monica.

«Sì, ha dovuto pagare per intero il prezzo del biglietto, ma in fin dei conti non è stata colpa mia. Voglio dire, avrebbe potuto controllare di persona.»

Fonte l'interruppe: «Quindi è arrabbiato perché non vuoi ridargli i soldi?»

«E perché non sono voluta andare al bowling. Ah, e perché un venerdì, a sua detta, l'ho ignorato. Adesso, io lavoro fino alle sette; mi ha mandato tre messaggi che ho visualizzato senza pensare e a cui non ho risposto perché, be', mi sono dimenticata?»

Fonte posò il blocco sulle ginocchia, poggiò il gomito sul bracciolo e il mento sulle nocche. La situazione era delicata. L'invitò a proseguire.

«Ha anche detto che lui è stanco di fare tutti gli sforzi nell'amicizia, che io e gli altri non lo meritiamo, salvo poi correggersi e dire che sono la radice di tutti i mali o stronzate simili.»

Mezzo stordito dal fiume di informazioni non richieste, Fonte scosse la testa. «Credo dovrei sentire l'altra campana prima di formulare un verdetto, ma in veste di tuo psicologo... Sì, si è comportato male.»

Monica si alzò a sedere. «Male? Si è comportato di merda. Hai idea di quanto ci sia rimasta male mia madre? Quella povera donna stava per piangere.»

L'esagerazione nel tono lasciava suggerire che la povera donna avesse avuto ben pochi problemi ad accettare quanto accaduto. «Sei nervosa, forse preferisci cambiare argomento?»

Monica sistemò la scollatura. Fonte aveva ragione, arrabbiarsi in quel modo non l'avrebbe fatta sentire meglio. Credeva di essersi già ben sfogata con le amiche, ma più ripensava alla questione e più ricordava piccoli dettagli che la facevano infuriare. Prese una boccata d'aria, cercando di calmarsi. «Che hai scritto sul blocco?»

Fonte si premurò di girarlo sulle gambe dal lato della copertina. «Niente di importante.»

Gli si avvicinò, piccata. Monica aveva fatto la messa in piega e lui non l'aveva ancora notato. Finse di chinarsi per recuperare la giacca, ma con una finta si impadronì del block notes. Come lo guardò arrossì e glielo lanciò addosso. «Perché disegni peni mentre siamo in seduta?»

Fonte si massaggiò il naso. Il colpo gli aveva fatto quasi volare via gli occhiali. «Ho letto da qualche parte che bisogna visualizzare quello che si desidera per riuscire a ottenerlo.»

«E tu quello desideri?»

Fonte si alzò e l'attirò a sé. Premette l'indice sulle sue labbra. I loro volti erano così vicini che lo sentiva respirare. «Perché, ne hai uno?»

«No, deficiente.»

«Come previsto» La lasciò andare con un singhiozzo. «Ora ho anche la tua diagnosi.»

Provò l'impulso di morderlo. «È quello che penso?»

«Invidia del pene.»

Monica gemette. Quell'uomo non cambiava mai.

«Osi contraddire il tuo psicologo?» Fonte stiracchiò la schiena. Sbatté le palpebre, colorando gli occhi dell'usuale giallo.

Monica attese le ali, ma non arrivarono. Invece, Fonte la spinse di nuovo contro il lettino.

«Non lo so, Monica» Si sedette a sua volta e portò le gambe al petto. Aveva cambiato stivali. Ora aveva il tacco rialzato, una fila di corti spuntoni e una serie di finte cinture avvolte fin sotto le ginocchia. Monica decise che preferiva quelli vecchi, decisamente più sobri.

«A volte mi chiedo cosa stiamo facendo» Fonte le pizzicò la guancia, per poi affondarvi l'indice. «Ti sei truccata?»

«No.»

Fonte le rivolse uno sguardo accusatorio, cui ricambiò con una maschera di studiata innocenza. Fonte roteò gli occhi. Si dondolò un po', poi scattò in piedi. Non era molto alto - Monica sospettava che senza tacchi sarebbe stato il più basso tra i due - e non riusciva a incombere, non quanto Lebin, ma la sua espressione la mise a disagio.

Le accarezzò il viso, curvandosi su di lei. «Perché non mi dai una risposta e la facciamo finita?»

Monica sospirò, seccata. «Ho già detto di no.»

Fonte nascose il malumore con un mezzo sorriso. Indugiò con l'indice sulla scollatura, e lei lo lasciò fare. Gli tolse gli occhiali e li gettò alle sue spalle.

«Non è brutto come lo fai sembrare» Fonte spinse le mani sotto la maglia, incontrando la pelle nuda. Monica si sentì bruciare, ma resistette. Inarcò la schiena, sentendolo cercare i ferretti del reggiseno.

«L'eternità come sorellina minore di Lebin? Come può non esserlo?»

Le baciò il collo. «Sì, su questo hai ragione. Ma lo terrei lontano.»

Monica lo aiutò a slacciare i ganci. «Non ti viene mai voglia di strappargli quelle piumette arcobaleno?»

«Ogni giorno.»

«Dovremmo prenderne una per colore. Farci una collana o decorarci un posacenere.»

Fonte lasciò cadere il reggiseno sul pavimento. «Dovremmo davvero farlo.»

Monica lo attirò a sé. Le sue labbra erano calde e morbide. Fonte ricambiò il bacio, stringendola. Si abbandonò a lui, lasciando che la toccasse. Sentì le sue dita contro i seni.

Prima che potesse impedirlo, la presa gentile divenne una stretta violenta e le unghie si conficcarono nella carne. Sentì il sangue colare e una mano tirarle i capelli, tanto forte da strapparglieli dal cranio.

Un acre odore di sudore e vestiti non lavati le invase le narici. Cercò di respirare, ma la cosa le ficcò la lingua in gola, accompagnata da un fiotto di saliva. Il contatto si interruppe e le mani della creatura corsero al suo collo, serrandovisi attorno in una morsa. Era di nuovo in preda al panico, senza forze per reagire. La presa si allentò e un nuovo bacio, rapido, le ferì le labbra. La cosa scese oltre i fianchi, impegnato in un borbottio quasi incomprensibile sul suo capo che gli aveva rifiutato l'aumento.

Monica contemplava il suo corpo da una prospettiva impossibile, osservandolo reagire appena a spinte e scossoni, inerte come una bambola di pezza. Sentiva il suo fetore sulla pelle, posarsi su di lei e penetrare in profondità, attaccandosi a lei e contaminandola oltre gli strati di pelle e muscolo. Non provò altro che un forte dolore, che pure non era fisico. Non riuscì a ricacciare indietro un conato, ma la cosa non se ne accorse o, se lo fece, non vi badò. Le sue dita erano ovunque, toccavano ovunque, e dove la raggiungevano Monica cambiava, risplasmata in una forma che non era sua, e che la terrorizzava.

Si sentì sporca, incapace di tornare com'era. La creatura affondò gli artigli nei suoi seni, penetrandoli come burro, strappandoli via. Monica gridò e tutto finì.

Ansimò, le braccia strette al petto. Lo saggiò con le dita, esistante, trovandolo intatto. Anche il puzzo e il dolore alla nuca erano scomparsi. Le parve di svegliarsi da un sogno, ma la realtà era diversa: aveva vissuto un ricordo. L'orrore, però, era vivido adesso come allora. Trattenne le lacrime mordendosi la lingua, ma finì per crollare in singhiozzi.

Fonte, sconcertato, indietreggiò, senza realizzare quanto fosse successo. Quando comprese, un lampo gli oscurò il viso. «Alti cancelli.»

«Scusami.»

«Non è colpa tua» Fonte esitò. «Lasciami sistemare le cose.»

La sagoma di due ali diafane si aprì sulla schiena e la sua intera figura iniziò a vibrare. I fianchi si allargarono, i capelli si scurirono e i tratti si fecero più dolci. Il riflesso argenteo delle piume rimase impresso sulla retina di Monica ancora per qualche istante, mentre il corpo rimodellato si assestava nella nuova forma. Fonte la abbracciò.

«È finito» Non si sarebbe mai abituata alla sua voce femminile. Era cadenzata e manteneva la vena di autorità del corrispettivo maschile, ma c'era qualcosa di diverso, che pure non avrebbe saputo definire; una nota che non mancava mai di scuoterla. Si lasciò cullare, dapprima tremante, poi con sempre maggior disperazione si aggrappò a lui.

Fonte era una creatura multidimensionale. Non aveva un'immagine, poteva scegliere come apparirle. Però Monica sapeva che quell'aspetto lo metteva di malumore, per quanto fosse bravo a dissimularlo.

Soffocò il senso di colpa, avvinghiandosi con forza alle sue braccia. Era grata. Si morse il labbro, in preda a un nervosismo che le parve del tutto fuori luogo. Fonte aveva sempre avuto dita sottili, ma adesso le sue mani erano piccole, più delle sue. Lasciò che le carezzasse la nuca. Non riusciva a guardarlo.

«Scusami» ripeté Monica, irrigidendosi. Avrebbe voluto essere più forte. Per un attimo, aveva sperato di averlo superato. Speranza vana, come al solito. Piantò le unghie nella sua schiena.

«Riconsidera la tua scelta» Fonte sembrava triste. Si detestò per quella tristezza e detestò lui per essere com'era. «Basta una tua parola e lo ucciderò. In ogni tempo e in ogni spazio. Sarà come non fosse mai esistito.»

Con quel corpo, Monica non avrebbe avuto incubi. Non avrebbe sentito fuoco, né disgusto. Lo strinse, sollevata suo malgrado. «Io, però, io continuerei a esistere.»

Monica rifiutava di guardarlo negli occhi. Fonte cedette. La baciò di nuovo, all'angolo della guancia. Svanì in un fruscio, e con lui il suo calore.

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