-Crimini... 3-



PATTO D'INTESA

Molly balzò sul muretto del terrazzo e, letteralmente, sgattaiolò via chissà dove.

Quella mocciosa codarda! Avrebbe potuto aggredire Nathan e quindi essere d'aiuto, invece mi trovavo immobilizzata.

Il "punk" mi teneva stretta, spingendomi velocemente verso lo stanzino e tutto mentre con la mano continuava a tapparmi la bocca perché potesse smorzare la mia voce.

-Zitta dai... non urlare! -sentii sibilare nel mio orecchio. Quella fu l'unica cosa che riuscii a capire mentre tentavo di dimenarmi con tutte le mie forze.

La porta di ferro arrugginita si aprì e con uno strattone neanche troppo forte, mi spinse dentro.

E lì, solo la luce fioca di una lampada.


-Allora... buon appetito! -mia madre fissò i nostri occhi persi nel niente. Non capiva perché nonostante avessimo il piatto fumante davanti a noi e la forchetta in mano, nessuno le aveva risposto e nessuno dei due mandava giù un boccone.

-Quindi? -sbottò seccata. -Perché non parlate? E tu Nat, perché hai quell'occhio nero?

Nathan distolse il suo sguardo vuoto e si decise ad aprir bocca.

-Ho battuto mentre sistemavo casa. -mentì spudoratamente. Ovviamente era meno umiliante che raccontare ciò che realmente era successo.

-Ascolta... io ho capito che provi ribrezzo a metterci su una fettina di carne ma... se non la mettiamo domani sarà peggio. Ho sentito che la carne cruda fa miracoli. Quindi vado a prenderla!

Nathan non rispose. Si mise a fissarmi prepotentemente con lo sguardo imbronciato.

-Te la sei cercata! -gli dissi con rabbia cercando di tenere bassa la voce, benché volessi esplodere.

-Sei una stupida! -rispose sullo stesso tono.

-Anche?! Mi hai rapita! Capisci che quello che hai fatto è sequestro di persona?!

-Ma come ti è saltato in mente?! Per chi mi hai preso! Non ti ho rapita!

-Giusto! E come lo chiami prendere una persona contro la sua volontà, spingerla in uno stanzino quasi buio e tenerle chiusa la bocca... così come tu hai osato fare?!

-Ti ho spiegato perché ho dovuto zittirti! -mi prese la mano posata sul tavolo stringendola lievemente, per farsi ascoltare.

Tentai di levarla ma non me lo permise.

-Vedi?! -indicai la stretta. -Lo stai facendo di nuovo!

-Ok! -me la lasciò. -Ma ti ho spiegato perché mi sono comportato così. Tu urlavi e...

-Sì certo! E questo ti da il diritto di mettermi le mani addosso?!

-Guarda che le mani addosso sei stata tu a metterle a me! -urlò mostrandomi il suo occhio ammaccato.

-Mi sono solo difesa! Avrei dovuto fare peggio! -mi alzai tirandomi dietro involontariamente la tovaglia. I bicchieri caddero sul tavolo, le bottiglie barcollarono. -Tu sei un pazzo!

Dette quelle parole, andai via furiosamente. Mia madre mi passò di fianco guardandomi sbigottita. Entrò nella sala da pranzo e rivolgendosi a Nathan imbarazzata e inconsapevole di quello che stesse succedendo gli mostrò quello che aveva in mano: un pesce congelato.

-Ho scoperto di non avere la carne... può andare questo? -disse timidamente.

Nathan si alzò.

-Grazie lo stesso signora Grace... mi spiace tantissimo ma non posso restare. -disse mortificato poi se ne andò.

Mia madre venne a bussare alla porta della mia camera.

-Si può sapere che hai combinato? -mi rimproverò severamente.

-Mamma! Tu non sai cos'è successo perciò per favore, non prendere le difese di quello lì.

-So solo che di là c'era un ragazzo con un occhio nero e che non ha toccato cibo... ed ora è pure andato via! -continuò scuotendo il pesce da una parte all'altra cose se ciò fosse normale.

Quell'odore nauseante invase la mia stanza. Lì mia madre si rese conto di quanto fosse ridicola con quella trota in mano. Mi guardò un'altra volta vergognandosi poi andò via ma non prima di ordinarmi di andare a far pace con quello!

Tornando, mi mise letteralmente fuori dalla porta. Non sarei potuta rientrare se non dopo aver chiesto scusa al punk! Ma stava scherzando?!

Lei non sapeva nemmeno cos'era successo e mi ordinava di sottomettermi a quella specie di mostriciattolo strano ed inquietante?!

Senza prendere l'ascensore, scesi dal terzo al primo piano, dove abitava lui, non per fargli le mie scuse ma casomai per dirgliene quattro!

Mi domandavo come mai sentissi la voce di Regina dall'appartamento di Nathan, piuttosto che dal sesto piano, dove abitava.

Quella donna era strana da quando il signor Donson, che abitava sul suo stesso pianerottolo, era stato ucciso. Era già stata interrogata più volte, lei, come pure tutti gli altri condomini, anche perché molti avevano riferito che spesso aveva litigato, anche in maniera violenta con il banchiere. Certo lui non sprizzava simpatia, era un antipatico di natura, in particolare da quando era rimasto vedovo, circa tre anni prima. Con Regina però c'era un odio reciproco che andava al di là dei limiti.

Ad un tratto la porta si aprì.

-...E questa è la prima e l'ultima volta che te lo dico! -concluse le sue ultime parole Regina. Mi vide e strinse gli occhi minacciosamente quasi c'entrassi qualcosa nella lite. Se ne andò furiosa chiudendosi nell'ascensore.

Mi girai verso Nathan. Anche lui scambiò l'occhiataccia che gli feci e con un'espressione che diceva: "fatti gli affari tuoi!" chiuse la porta con un gran tonfo.

Sbuffai avvicinandomi all'entrata di casa sua e battendo un pugno sullo stipite.

-Esci che ti faccio nero anche l'altro occhio! -esclamai rabbiosa. Dopo quello che mi aveva fatto, ero decisa più che mai a fargliela pagare.

La porta, con mia sorpresa si socchiuse. Gli occhi di Nathan, velati da un'improvvisa tristezza, erano bassi a cercare il pavimento. La sua bocca, in quella fessura verticale si mosse per dire una sola parola.

-Scusa...

Spiazzata per l'inaspettata reazione presi fiato per parlare ma non mi uscì nulla. Solo un sospiro.

-Che voleva quella...? -dissi dopo un po' per fargli capire che anch'io non la sopportavo e che lui aveva tutto il mio appoggio e la mia comprensione.

-Ha detto che ho guardato in maniera troppo insistente sua figlia... -rispose lui aprendo ancora un po' la fessura.

-Ed è vero? -storsi il naso pensando a Mariana che, a mio parere, non era un granché come tipo.

-Assolutamente! -si scandalizzò facendo un'espressione disgustata.

-Quella è tutta matta! -mi sfuggì un sorriso. Lui ricambiò. -Senti... facciamo finta che quella cosa accaduta in terrazzo non sia... accaduta! Ok?

-Ok. -alzò la mano stretta a pugno. La chiusi anch'io dandogli un colpetto. Pugno contro pugno. Avevamo fatto pace.

-Ti va di salire su? -chiesi, seppellendo definitivamente l'ascia di guerra.

-Certo... aspetta. Prendo qualcosa da mangiare per Nirvana.

-Ah... è così che si chiama la tua iguana?

-Sì... non mi hai nemmeno permesso di presentartela...

-Non c'è stato tempo... -sussurrai imbarazzata. -...appena mi hai lasciata ti ho sferrato il pugno... mi dispiace.

-Anche a me. Soprattutto per il mio occhio. Non pensavo ti spaventassi... Volevo solo che non facessi troppo chiasso... io poi continuavo a dirti che ti avrei lasciata se fossi stata zitta ma tu non mi ascoltavi...

-Lo so... Non capivo più niente... ero terrorizzata.

-Vedi... Nirvana è un po' traumatizzata... mia madre la maltrattava... le urlava contro e scatenava tutta la rabbia che provava verso mio padre su quel povero animale. Io le parlo sottovoce...

-Ok... ho capito... ma la prossima volta sarebbe meglio che tu mi avvisassi prima di portarmi con la forza da qualche parte.

-Va bene...

-Sai che dovrai stare molto attento vero? In questo condominio, oltre ai gatti, ai cani e ai canarini, è proibito tenere animali. Se Regina ti scoprisse...

-Tu non glielo dirai, vero? -parve supplicarmi con occhi grandi, come quelli di un bambino.

-No. Certo che no. Ricordati: io sono dalla tua parte.

Quel giorno fu come se avessimo stabilito un patto. Un patto che ci unì, che creò una particolare intesa tra di noi.

Lasciammo il bel rettile a crogiolarsi sotto la sua lampada, nel suo terrario. Non riuscivo a capire come avesse fatto a far passare inosservato, in particolar modo a Regina che aveva occhi ovunque, tutto quell'ambaradan di accessori, compreso il terrario stesso.

Il mio stomaco rilasciò un profondo vagito, brontolando per il pranzo saltato. Nathan rise.

-Anch'io ho fame... -aggiunse.

Non avremmo mangiato ancora per un po' perché improvvisamente un urlo spaventoso ci fece sobbalzare. Ci guardammo capendo immediatamente a chi appartenesse quella voce che in quel momento era diventata tremendamente agghiacciante. Scendemmo per le scale di un piano e la scena che si presentò davanti ai nostri occhi parve un incubo!

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