Il dipinto
"Girati, gira la testa a destra... Ancora un po'... Perfetto!"
Dafne amava dipingere, anche se aveva solo 13 anni sapeva cosa voleva. Dipingeva spesso fiori e piante, talvolta persone: diventare pittrice era il suo grande sogno nel cassetto.
"Figlia mia, vieni qui" la chiamò Ahmed, padre della ragazzina, grande lavoratore dalla pelle abbronzata.
Attraversò il corridoio e si diresse in cucina, dov'era anche la madre Zahira, con gli occhi uguali alla figlia, ma gonfi e rossi per il pianto.
"Dobbiamo dirti una cosa... Sai la nostra cultura ci impone di fare varie cose no?" disse appoggiando le braccia sul tavolo e guardando la ragazza, seria in volto; annuì alla domanda.
"Lo sai che la nostra cultura obbliga a combinare matrimoni no? Te lo abbiamo detto da sempre" disse Zahira provando a non piangere.
"Avete combinato un matrimonio?! Ma noi abitiamo lontano da loro, quella cultura non ci appartiene più! Non può essere! E chi dovrebbe essere?"
Ahmed abbassò lo sguardo.
"Omar Hazazi..."
"State scherzando spero" Dafne pronunciò, stringendo forte le sue mani ancora piccole, "Ha 35 anni, perché? Perché mi vendete così praticamente?"
"È la nostra cultura, ce lo impone... Scusa" disse Zahira mortificata.
"Dafne, è il tuo destino, non potrai scappare!" disse Ahmed serio.
Dafne corse via in camera, pronta a sfogarsi su quelle tele leggere e bianche: per lei era come tradirla, non se lo aspettava... Come potrebbe mai sposare Omar, ricco commerciante senza scrupoli? Lei sognava un matrimonio con l'uomo che voleva, vestita di bianco con un lungo strascico e un futuro da pittrice importante, invece il destino era crudele con lei.
Passarono i giorni, Dafne mangiava a malapena e piangeva tutto il giorno, i singhiozzi risuonavano in tutta la casa.
Zahira bussò alla porta della figlia, sbirciò nella camera e vide la figlia raggomitolata nel letto mentre stringeva un pupazzo di stoffa.
"Figlia mia, perché non mangi? Ti ho preparato la torta di carote, la tua preferita"
"Non voglio... Mi avete lasciato in sposa a Hazazi. Perché?!"
Zahira si sedette ai piedi del letto, accarezzò la schiena della figlia e sospirò. "Avevamo un debito con Omar, decisamente grande, era difficile pagarlo sempre regolarmente. Ci ha chiesto la tua mano in cambio all'estinzione del debito, se no... Avrebbe ucciso tutti noi. Abbiamo avuto paura e tu non meriti la morte figlia mia. Sei troppo giovane" Dafne pianse, la mamma la strinse a sé, piangendo anche lei.
Altri giorni, passarono mesi e il matrimonio era questione di ore. Il vestito era stato disegnato da un sarto che lavorava per Omar e aveva ricami degni di una principessa. L'indomani era il grande giorno, quella notte Dafne non dormiva per l'ansia e per la forte tempesta in atto. Si alzò dalla sua sedia e aprì la sua finestra molto grande, uscì sul balcone per sentire la pioggia su di sé. "Non mi avrà mai Omar Hazazi, lurido cretino. Non sarò la sua schiava, non lo diventerò mai" diceva sottovoce mentre spirava forte il Bora.
Tuoni e fulmini riempivano il silenzio con la pioggia, preferiva morire al doverlo sposare.
Era sul parapetto, guardava avanti.
"Ora o mai più" disse.
Salì sul parapetto, chiuse gli occhi e contò.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
E fece il suo ultimo passo verso il vuoto.
La madre vide l'ultimo passo e urlò il nome della figlia, diventata vento.
Ispirata a "Dafne Sa Contare" di Murubutu.
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