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Incurante di chi mi potesse ascoltare, avevo appena riletto ad alta voce quello che avevo scritto, quando qualcuno tossì. Sembrava molto vicino. Mi fece venire la pelle d'oca. Un nuovo colpo di tosse e un altro ancora. Non riuscivo a capire da quale direzione provenissero.

Passai una mano tra i miei lunghi boccoli neri, pieni di nodi, prima di battere forte il pugno sul tavolaccio di legno marcio. «Non ti temo. Vuoi uccidermi? Credi che abbia paura? Sono destinata al rogo. Sei un demone o un uomo?» borbottai nervosamente, senza pretendere una risposta.

«Dov'è finito quel librone?» domandò con voce cupa e autoritaria, qualcuno nascosto nel buio. «Sono un amico» si affrettò ad aggiungere, con tono poco convinto e concludendo con una serie di colpi di tosse.

Fui sollevata di sapere che quei rumori non fossero frutto della mia fantasia o, peggio, della pazzia. «Con le ombre non ci parlo» puntualizzai, strofinandomi gli occhi. «Rivelati, chiunque o qualunque cosa tu sia.»

«Scusa la mia maleducazione, mi sarei dovuto qualificare.» Così dicendo si palesò a miei occhi un ometto curvo e calvo, dal viso ossuto e scavato, con la pelle bianca come quella di un cadavere e lo sguardo furtivo. «Sono il notaio Lucantonio da Spoleto. Mi riconosci?»

«Certo, ti ho visto verbalizzare, in silenzio, mentre mi calunniavano o, peggio, mi tormentavano nella sala delle torture. Perché ti sei scomodato personalmente a venire qui?» Sputai per terra, in maniera plateale, per mostrare tutto il disprezzo che provavo nei suoi confronti.

«È solo la curiosità che mi ha condotto in questo luogo... fetido. Sei una persona colta e hai un cognome nobile, non dovresti essere qui.»

«È grazie alle persone come te, che sono rinchiusa qui a marcire.» Sputai mirando in direzione del mio interlocutore, anche se era troppo lontano per essere colpito.

«Sei anche di bell'aspetto» mi disse, ignorando il mio gesto. «Ti saresti potuta maritare con un uomo ricco, che avrebbe soddisfatto ogni tua necessità... anche economica.» Rise e con uno squallido ghigno sul volto aggiunse: «Sei straordinariamente giovane.» Socchiuse i piccoli occhi neri, per poi spalancarli, facendo un'espressione che mi ricordava una iena affamata.

Senza rendermene conto mi alzai in piedi e feci un passo indietro. «Torna alle tue scartoffie!»

Lui Iniziò ad avvicinarsi. «Dovremmo avere all'incirca la stessa età, ma mentre io ho indelebili segni della vecchiaia, tu sembri immune allo scorrere del tempo. Ti potrebbero scambiare per una ragazzina, una ragazzina molto attraente.»

«Vattene via!» Per un attimo maledissi le mie forme sensuali, i grandi occhi color smeraldo che illuminavano il mio viso dai lineamenti delicati, le ciglia lunghe e le labbra sensuali.

«Hai una pelle candida. Scommetto che, al tatto, è liscia e morbida.»

«Cosa vuoi da me?»

«Com'è possibile? Ti protegge un sortilegio?» chiese con tono accusatorio e facendo un impacciato e poco rassicurante occhiolino.

«La natura è stata generosa con me e matrigna con te» urlai, esasperata. «Essere attraente è un motivo sufficiente per essere perseguitata?» aggiunsi, con calma. Non era l'aspetto, però, ciò che mi rendeva davvero diversa dalle altre donne: l'intelligenza e la cultura erano la mia vera maledizione. «No, non è la bellezza che non mi perdoni. So leggere, scrivere, ragionare e perfino protestare. Non mi accontento di cercar marito e accudire figli. Pratico la scienza, studio il mondo, curo le persone.»

«Non sono qui per ascoltare le tue lamentele» ribatté senza perdere la calma, quell'ometto inquietante, avvicinarsi di un altro passo. «Mi affascini.»

Indirizzai contro di lui la penna, impugnandola come se fosse un'arma. «Fermati!»

«Mi affascini al punto tale che ho deciso di portare il tuo caso a Roma, per permettere a tutti di studiarlo. Per farlo, dovrò copiare tutti gli atti del processo, una volta che si sarà concluso. Non ti salverò, in effetti, ma ti farò rimanere nella storia.»

«Sai quanto mi interessa?» Abbassai la penna. «Nel tuo sguardo non leggo alcuna pietà, nemmeno un brandello di compassione per la mia sorte. Non c'è notte che non sogni delle fiamme enormi divampare tutt'intorno a me, circondarmi e assumere la forma di una spaventosa piovra, che mi afferra, lentamente mi divora fino a inghiottire anche la mia testa, per poi vomitarmi fuori in piccoli brandelli di carne dilaniata e fumante.» Lo guardai dritto negli occhi. «Sei convinto che io sia una maledetta strega. Ammettilo!»

«Poco importa cosa penso. Non è mio compito giudicare. Io mi limito a documentare ciò che avviene durante il processo, in maniera quanto più possibile oggettiva.»

«Non c'è niente di oggettivo in questo processo! Il giudice è giovane e altezzoso, nemmeno mi ascolta, eppure sono una Orsini. Come si può credere alle assurde illazioni di villani ignoranti e invidiosi. Su questo, solo su questo, si basano le accuse da cui mi dovrei difendere.»

«Sono prove testimoniali» affermò, rivolgendo lo sguardo verso l'alto, con atteggiamento di sufficienza.

«Non bastano, però, per condannarmi, altrimenti non avreste bisogno della mia confessione. Ho subito i tormenti della corda, sollevata da terra e strattonata per costringermi a urlare dalla disperazione e svenire per il dolore.»

«È la procedura. Sono state applicate tutte le garanzie di legge a favore dell'imputato. Il giudice ti ha prima ufficialmente ammonito a dire la verità, senza sortire alcun risultato. Ti ha fatto portare nella stanza delle torture, dove il carnefice ha mostrato e spiegato cosa avresti subito nel persistere nel tuo atteggiamento reticente. Nonostante eri pienamente consapevole di ciò che ti attendeva, hai deciso di non collaborare e ne hai semplicemente subito le conseguenze. Il giudice è stato costretto a emanare una sentenza, che è stata eseguita con tutte le tutele del caso: al supplizio era presente un medico pronto a intervenire; il giudice stesso, che ne sorvegliava l'esatta esecuzione; io, per verbalizzare con esattezza le dichiarazioni.»

«Avrei confessato qualsiasi cosa. Che senso ha?» strillai irritata e al limite dell'esasperazione.

«Nessun valore è attribuito alle parole dette sotto tortura. L'inquisito deve ripetere la confessione in Tribunale, solo in questo caso la confessione è valida» ribatté, quasi irritato e storcendo il naso.

«Se dico di aver parlato soltanto per sottrarmi al dolore? Vengo assolta?»

«No, il giudice è costretto a ordinare nuovamente la tortura.»

«È un sistema assurdo» conclusi sconcertata. Non c'era nemmeno l'ombra di un sentimento o un granello di umanità nelle sue parole. Era inutile continuare a discutere con un burocrate ottuso.

«È solo un mezzo come un altro per arrivare alla verità processuale» insistette il notaio. «Anche nell'antica Grecia, esempio altissimo di civiltà, era ampiamente utilizzata.»

Nel corso del processo mi ero difesa con foga e passione, ma si era rivelato un inutile spreco di energie. In una maniera o nell'altra ci si doveva dichiarare colpevoli, non esistevano altre alternative. L'unica speranza era riposta in un atto di clemenza da parte di un uomo con il mio stesso cognome: Ludovico Orsini, signore di Fiano Romano.

Abbassai lo sguardo sul mio manoscritto, ignorando il notaio. Avrei voluto scrivere delle maledizioni e minacciare sciagure, fidando nella superstizione: la paura che sembra aver contagiato il mondo intero. Guardai quel che restava della candela, allarmata, anzi terrorizzata. Il tempo che mi era stato concesso per scrivere corrispondeva alla durata della candela, perché non ne avrei avuta un'altra. Dovevo concludere, in una maniera o nell'altra dovevo finire, prima che il buio fagocitasse tutto.

Che volete che dica più? Non mi fate morir disperata.

Se mi lasciate viva dentro un monastero non ve ne pentirete, pregherò per la vostra salute, per quella dei vostri figli e per quella di tutta la vostra famiglia e così non vi verrà mai male da me, ma solo cose buone.

Un dolore lancinante al collo, mi sorprese.

«Non potevo permettere che una strega tornasse libera, solo perché è una Orsini» sussurrò con voce tremante, quell'ometto insignificante.

Notai che, nella mano sinistra, impugnava un coltello insanguinato.

«Domani verrò a constatare la tua morte per dissanguamento. Attesterò che ti sei suicidata con un grosso chiodo arrugginito.»

Soffiò sulla candela e mi lasciò al buio.



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