Notte di fuoco

L’insegna al neon MUSE, con le lettere rossa, arancio, verde e azzurra brillava in quella serata limpida, illuminando l’aria circostante dei colori dell’arcobaleno. Eric tentennò prima di entrare, poteva sentire la musica attutita dall’esterno e osservava titubante i gruppi di ragazzi che entravano e uscivano dal locale, alcuni già belli alticci, altri carichi per una serata che si prospettava eccitante, una promessa di novità, con gli amici che ridevano e si prendevano in giro, le ragazze con i loro tacchi a spillo e gli abiti dei colori delle bandiere più varie, ghirlande di fiori arcobaleno attorno al collo, e i ragazzi con gli ombretti e smalti, i capelli tinti di colori sgargianti e giovani, più giovani di lui, che voleva solo svagarsi un po’.

Tutti in gruppo, felici, insieme agli amici di sempre, mentre lui era solo.

Si era trasferito a Castelcaro quel giorno, il suo paese natale, dove aveva vissuto sino agli undici anni. In quel momento ne aveva venticinque, aveva appena finito la laurea magistrale in comunicazione giornalistica e il corso da editor e, dopo aver trovato un lavoro che gli avrebbe consentito di lavorare da casa, in qualunque parte del mondo essa fosse, era tornato di corsa nella casa della sua infanzia, per separarsi dai suoi e ritagliarsi il suo piccolo posto nel mondo.

Quel giorno era tornato a Castelcaro per la prima volta dopo quattordici anni, aveva preso possesso della sua vecchia casa e aveva deciso senza ulteriore indugio di presentarsi al MUSE, locale gay della città che aveva aperto i battenti qualche anno prima, che quando lui era giovane non c’era  stato.

Sentì il binder schiacciargli il petto, quello che stava indossando quel giorno era più stretto del solito. Sapeva che era sconsigliato nel modo più assoluto, che era una pratica dannosa, che il binder doveva essere comodo e su misura, confortevole, però non gli andava di andare fuori a bere qualcosa e lasciare che le persone notassero che c’era  qualcosa di diverso in lui, qualcosa che non andava.

Non si era fatto la barba nell’ultima  settimana, da un anno a quella parte aveva iniziato a crescergli bella e folta, la curava e la spuntava per darle una forma ben definita e più di un ragazzo gliel’aveva complimentata, lo faceva sentire più sicuro. Portava una camicia azzurra semplice, la sua preferita, e dei jeans grigi, abbigliamento solito per lui quando usciva alla sera, quando andava alle serate universitarie o alle feste organizzate dai suoi colleghi fuorisede. 

Vide un gruppo di ragazze e drag che entravano nel locale e decise di accordarsi, scivolando dietro di loro e facendo il suo ingresso nel bar. Le luci stroboscopiche arcobaleno gli ferirono gli occhi per un attimo, e quando si aggiustarono osservarono l’ambiente, incuriositi.

Il MUSE era più grande all’interno di quanto non fosse sembrato all’esterno. C’era una sala da ballo piuttosto spaziosa dove si agitavano gli avventori al ritmo assordante di Chandelier, due cubi su cui una ragazza e un ragazzo mezzi nudi davano bella mostra di sé, il piano rialzato dove una DJ remixava le canzoni con davanti tre bicchieri da cocktail vuoti e in fondo a sinistra, assaltato da assetati e bisognosi di staccare, il bancone del bar.

Fu lì che si avvicinò, sgomitando per passare e riuscire a sorseggiare il suo tanto agognato drink, che aveva desiderato da quella mattina. Riuscì ad arrivare al bancone incolume, e persino a trovare uno sgabello alto libero, su cui si sedette proprio vicino alla cassa. 

“Cosa vuoi, tesoro?” si rivolse a lui la barista, dopo aver servito una ragazza proprio là accanto. 

“Un disaronno sour, grazie.”

Lei gli rivolse un sorriso freddo e professionale. “Sono sei euro.”

Eric annuì e cacciò la mano in tasca, tirando fuori il portafoglio. Ricordava tempi lontani in cui le tasche dei suoi pantaloni non erano abbastanza grandi da contenere alcunché ed era costretto a portare la borsetta ovunque. Tempi che per fortuna appartenevano al passato, tempi che non sarebbero più tornati. 

Le porse una banconota da dieci e lei gli diede il resto, poi iniziò a preparare il suo cocktail. Fu allora che lui arrivò.

“Un Long Island, un Moscow Mule senza cannuccia e un Gin Tonic con una fetta di cetriolo, grazie.”

“Aspetta, tesoro, prima devo finire il drink per il ragazzo, qui,” lo liquidò la barista e lui trattenne uno sbuffo. 

Eric voltò la testa per vedere in faccia quel seccatore, quando fu lui a restare seccato sul posto. Francesco Cavalli, sua cotta storica nonché compagno di classe delle elementari, lo guardava come se si stesse accorgendo solo in quel momento della sua presenza, e come se non l’avesse riconosciuto affatto.

Del resto, Eric era cambiato molto dalle elementari. Aveva cambiato casa, corpo, volto, persino il nome. 

Quando Francesco posò gli occhi su di lui, però, la sua espressione scocciata cambiò e gli sorrise. “Ciao.”

“Ciao,” rispose, dopo essersi schiarito la voce.

“Bella barba.”

“Grazie. Bella camicia.”

“Grazie!” gli disse, guardando verso il basso e ammirando i suoi vestiti. “È la mia preferita!”

La camicia che portava era una camicia hawaiana blu con le palme viola, con metà dei bottoni aperti che mostravano il petto glabro. Eric invidiò la sua sicurezza nel mostrarsi a petto scoperto, lui non avrebbe mai potuto farlo, erano anni che non andava al mare per questo. Aveva gli stessi occhi nocciola di quando era bambino, i capelli castani sbarazzini, e lo stesso sguardo furbetto. Era più alto, superava Eric di parecchi centimetri, ma non c’era da stupirsi. Eric non era mai stato alto per essere un ragazzo, e questo l’aveva spesso fatto soffrire in mezzo agli altri.

La barista gli porse il suo drink e lui infilò la cannuccia tra le labbra, prendendo un sorso. Il sapore dolciastro e un po’ acidulo della bevanda gli esplose in bocca, e lui sospirò dal sollievo. 

La voce di Francesco ordinò di nuovo i cocktail degli amici e poi si rivolse ancora verso di lui. “Aspetti qualcuno?”

“No, sono solo. Sono nuovo di qui, sono venuto a fare amicizia.”

“Se vuoi puoi unirti a noi! Siamo simpatici, sai? Cioè, i miei amici lo sono, io non saprei!”

Eric fece per aggiustarsi i capelli dietro le orecchie, riflesso condizionato da anni e anni che aveva portato i capelli lunghi. “Non so, io…”

“E dai, così mi aiuti a portare i bicchieri a quei pigri!”

“Ah ecco, è per questo che me l’hai chiesto, allora!”

“No, te l’ho chiesto perché sei carino e voglio fare bella figura, così penseranno che ho già abbordato qualcuno!”

Eric si sentì avvampare a quelle parole, ma si forzò a reggere lo sguardo. “E tu credi davvero di avermi abbordato?”

“Ancora no, ma la notte è giovane!”

“Non sai neanche come mi chiamo!”

“Come ti chiami?”

“Eric,” rispose, con la sicurezza di una persona che aveva pensato a lungo al suo nome e che alla fine aveva deciso di regalarselo come un atto d’amore verso di sé.

“Eric?” chiese l’altro, incredulo. “I tuoi genitori ti hanno davvero chiamato ‘Eric’?”

Lui non rispose. Si limitò ad alzare le spalle e fare un sorriso di cortesia. I suoi genitori non l’avevano chiamato Eric, si era chiamato Eric da solo, ma questo lui non doveva saperlo.

Vedendo che l’altro non rispondeva, scosse la testa. “Oddio, scusa, sono sicuro che è da quando sei nato che la gente reagisce così. Non volevo essere inopportuno, davvero.”

“Non fa niente, a me piace. Ci sono abituato.”

“Beh, io sono Francesco,” gli disse, anche se Eric lo sapeva benissimo. Gli porse la mano e lui la strinse, fermo. Aveva una stretta sicura, decisa, che ben si addiceva all’immagine che Eric aveva di lui. Era sempre stato un bambino peperino, molto gioviale, e lui ne aveva avuto una cotta pazzesca per tutti gli ultimi tre anni della scuola elementare.

“Tanto piacere,” rispose, sentendo l’amaro a quelle parole, amaro che annegò in un altro sorso del suo drink.

Una parte di lui avrebbe voluto dirglielo. Avrebbe voluto confessargli che loro si conoscevano, che erano stati cinque anni nella stessa classe, che Eric ancora ricordava il nome di sua madre e che aveva un cane grosso di nome Orso. Avrebbe voluto chiedergli notizie sui loro compagni rimasti a Castelcaro, su Claudia e Giulia, le sue ex migliori amiche, su Enrico, il bulletto della scuola, su tutti quelli che conosceva e aveva perso.

Non lo fece, perché farlo avrebbe significato esporsi troppo, perché Francesco non sembrava un tipo ostile, uno pericoloso, ma aveva imparato a sue spese che i peggiori erano anche i più insospettabili, che quelli che odiavano con più ferocia erano le cosiddette ‘brave persone’. Così gli sorrise e disse “Molto piacere.”

“Ora che ci siamo presentati mi aiuti a portare questi ai miei amici?” gli chiese, proprio nel momento in cui la barista finiva di posare i cocktail sul bancone davanti a lui. 

“Dipende, qual è il tuo?”

“C’è una risposta giusta?”

“C’è una risposta giusta, una sbagliata, e una che posso anche farmi andar bene.”

“Così mi metti sotto pressione, però.”

“Avanti, tu cosa bevi?”

Francesco, che lo stava guardando fisso dalla prima volta che l’aveva visto e che si era avvicinato per farsi sentire nonostante la musica, fece una piccola smorfia preoccupata che Eric ritenne adorabile, e poi si lasciò sfuggire “Il Moscow Mule.”

Sulle sue labbra si formò un sorriso. “Sei fortunato, possiamo andare!”

Il ragazzo sospirò di sollievo. “Grazie al cielo. Ero più nervoso ora della volta che mi hanno fermato i carabinieri mentre ero alla guida.”

“Perché? Avevi bevuto?”

“No, ma mi fanno venire l’ansia lo stesso. Andiamo?”

Eric scese con un saltello dallo sgabello rialzato, rivelando quanto fosse più basso di lui. Sentì lo stomaco annodarsi, ma se Francesco notò qualcosa sulla sua altezza non commentò. Presero i bicchieri di tutti e il ragazzo fece strada, facendosi largo tra la folla di persone danzanti. 

“Chi è il criminale che ha ordinato il Gin Tonic con il cetriolo?” gridò, per farsi sentire tra la calca.

Francesco rise, la sua risata gli ricordò il ragazzino che era stato.

“Mario. Ti piacerà, vedrai! Anche se il suo gusto in fatto di cocktail è discutibile…” 

Eric pensò che da quella serata aveva già ricevuto più dell’aspettato, mentre lo seguiva cercando la sua zazzera castana tra le mille teste colorate. Arrivarono a un lato della pista più tranquillo, e Francesco si avvicinò a due ragazzi che ballavano, che non appena lo videro gli fecero cenno di raggiungerli. 

“Ci hai messo un sacco!” esclamò il più alto tra loro, dal fisico ben tornito e una maglietta a maniche corte che lasciava scoperte le braccia coperte di fitti peli scuri. 

“Sì, ma ho portato compagnia! Ragazzi, Eric. Eric, ragazzi.” 

Il ragazzo più grosso, che doveva essere Mario, afferrò il Gin Tonic dalle sue mani e lo ringraziò. Lui sorrise di rimando. L’altro invece, longilineo, dalla pelle pallidissima e dai capelli tinti di un nero chimico, con un ciuffo davanti alla moda emo e la matita pesante sugli occhi, gli strinse la mano. “Dimitar, piacere,” gli disse, poi aggiunse “bel nome!”

Fu sul punto di rispondere, fiero, ‘grazie, l’ho scelto io’, ma si fermò. “Anche il tuo.”

“Grazie! È croato, sono stato adottato.”

“Forte!”

“Io mi chiamo Mario,” si inserì l’altro. 

“Lo sa. Non apprezza la tua scelta di cocktail.”

“Perché? Cosa c’è che non va in un Gin Tonic?”

“È il cetriolo,” spiegò, prendendo un altro sorso per scacciare la timidezza. “Rovina il sapore.”

“Lo esalta, vorrai dire! Lo hai mai provato almeno?”

“No, e non ci tengo!”

Mario allungò il braccio e sporse il drink verso di lui. “Ci puoi mettere la tua cannuccia, se ti fa schifo.”

Eric guardò Francesco, indeciso sul da farsi. Il ragazzo gli sorrise. “Secondo me dovresti provare. Al massimo non ti piace e ti lavi via il sapore con un altro sorso.”

“Okay, fanculo. Lo faccio,” borbottò, togliendo la cannuccia dal suo drink e infilandola in quella dell’altro. Prese un sorso, gli altri lo guardarono col fiato sospeso. Non appena il sapore gli arrivò sulla lingua, fece una smorfia. “Il cetriolo si sente tantissimo!”

“Certo, è per questo che ce lo metto. Dà un retrogusto speciale.”

“È disgustoso!”

“Ora ti odia mi sa,” commentò Dimitar ridendo, rivolto al suo amico.

“Ora ti faccio outing, così odierà te!”

“Non oseresti!”

“Oh, sì invece! Sai di che orientamento sessuale è Mit?”

“Se non vuole dirmelo non voglio saperlo.”

“Sentito che ha detto? Non gli interessa!”

“È etero!”

Eric spalancò gli occhi e guardò quello strano tipo. Tra tutti gli orientamenti che conosceva, e ne conosceva molti, quello era l’ultimo che si sarebbe aspettato. 

“Ecco, me l’avete scioccato!” commentò Francesco, nascondendo il suo sorriso dietro il bicchiere di rame colmo di Mule ghiacciato. 

“Non sembra, vero?” gli chiese lui, alzando le spalle. “Sono qui per accompagnare questi due sfigati. E perché mi vesto in modo un po’… alternativo,” disse, mostrandogli le unghie smaltate di nero, agitandogliele sotto il naso. “In questi ambienti sono più inclini ad accettare le stranezze, nelle discoteche etero mi guardano sempre tutti male. E poi, posso sempre abbordare qualche ragazza bi o pan.”

Eric fece una smorfia impressionata. “Beh, che dire, te la sei studiata per bene!”

Dimitar gli fece l’occhiolino. “Il tuo amico ne capisce!” 

Francesco allargò il sorriso e ammiccò. “Non è mio amico. È il ragazzo che ho abbordato stasera.”

Eric sentì le guance in fiamme e sperò che non si vedesse. “Tu non hai abbordato proprio nessuno!”

“Per ora…”

La musica pompava forte nelle casse, ed Eric decise di finire il suo cocktail in fretta, perché lo sciogliesse un po’. Finì di berlo in qualche sorso profondo, il ghiaccio gli andò su al cervello e gli congelò la mente per un attimo, poi l’alcol lo scaldò da dentro, dandogli una piacevole sensazione di testa leggera. Faceva caldo là dentro, si arrotolò le maniche della camicia sblusata sino al gomito e si lasciò andare. Ballò, coi suoi nuovi e vecchi amici, senza pensieri come non si sentiva da tempo.

Ordinò un altro drink, più forte del primo questa volta, e in breve tutti i suoi sensi si acuirono. La musica diventò più alta, il caldo più insopportabile, e la presenza di Francesco che ballava contro di lui sempre più intossicante dal punto di vista fisico.

Gli si avvicinò, la musica nelle orecchie e i cocktail nelle vene, e Francesco lo assecondò, posandogli le mani sui fianchi. Eric non aveva mai amato essere preso in quel modo, aveva i fianchi un po’ a clessidra e non voleva che i ragazzi lo notassero, ma in quel momento non gli importava. Decise che era ora di darsi una mossa, e quella era la sua occasione. Francesco era un suo amico d’infanzia, un ragazzo che ricordava gentile e altruista, molto carino per giunta, e che quella serata sembrava avere occhi solo per lui. 

Così si avvicinò ancora, sinché i loro corpi non furono stretti l’uno contro l’altro, si strusciò a lui e quello lo guardò con uno sguardo furbo e un po’ sbruffone, che portò Eric ad alzarsi sulle punte e dargli un bacio sulla bocca. Sentì Dimitar e Mario che fischiavano la loro approvazione, Bangarang di Skrillex che iniziava e un forte sapore di zenzero in bocca dall’istante in cui le loro lingue si scontrarono, aggrappandosi a lui e alla sua strana camicia hawaiana come se fosse l’unica ancora di salvezza nel mezzo di un temporale.

Perse la cognizione del tempo, a quel punto. Sentiva solo il sapore dei loro cocktail che lottavano nella sua bocca, le mani di Francesco che lo tenevano stretto a sé, il corpo caldo contro il suo, e fu preso dall’adrenalina come da una scarica elettrica, tutto il corpo andava a fuoco, soprattutto là dove Francesco lo toccava. 

L’alcol  aveva iniziato a dargli alla testa, ma non fu per quello che iniziò a sentire caldo al basso ventre, perso in un bacio selvaggio e affamato che non sapeva più da quando proseguiva, tutto lingue e denti e sapori che si mischiavano. 

Quando si separarono gli altri due si erano dileguati, forse a fare le loro conquiste, Eric non lo sapeva. Sapeva solo che ora Francesco lo teneva per la mano e lo trascinava verso il fondo del locale, accanto alla postazione della DJ, verso il bagno. Lui si lasciò trascinare, ansioso di restare un po’ solo con lui, di trovare un luogo appartato e finire di sbottonare quella camicia che rivelava già troppo, di mettere le mani in mezzo a quelle gambe lunghe e toniche, infilargli di nuovo la lingua in bocca.

Francesco lo spinse dentro uno dei bagni degli uomini e chiuse la porta con il passante. 

“Cazzo,” si lasciò sfuggire, poi quel bacio rovente e selvaggio riprese, più rovente e più selvaggio di prima. Sentì che Francesco grugniva la sua approvazione e iniziò a slacciargli la cintura dei pantaloni, poteva sentire la sua erezione attraverso i jeans e sentiva il bisogno fisico di prenderla e farne ciò che desiderava. 

Anche Francesco non perse tempo. Portò le mani ai bottoni della camicia di Eric e iniziò a slacciarli, uno dopo l’altro. Fu allora che il ragazzo si irrigidì. Lo spinse via con tutta la forza che aveva, facendolo barcollare indietro e sbattere alla porta del bagno. “Cosa…”

“No!” esclamò, riallacciandosi i bottoni della camicia che per fortuna non si erano abbassati tanto da svelare ciò che più avrebbe voluto nascondere. “Non… no!”

Francesco lo guardava, confuso e deluso dal fatto che avesse concluso quella che sembrava una promettente sessione di petting così all’improvviso. Alzò le mani, per non rischiare di essere frainteso. “Va bene, scusa, avevo capito…”

“No, scusa tu, io… non mi piace essere toccato.  Ma io posso toccarti, però, se vuoi,” gli disse, avanzando di nuovo verso di lui e posando la mano sul cavallo dei suoi pantaloni. Fece indugiare le dita sottili sull’inguine, e lo guardò negli occhi aspettando dicesse qualcosa, qualunque cosa.

“Io… non posso toccarti?” Eric scosse la testa. “Ma tu… vuoi toccarmi?”

“Da morire,” gli rispose, stringendo la presa. 

Francesco si lasciò andare a un verso di apprezzamento e di sorpresa, ed Eric, sorridendo, approfittò di quel suo momento di debolezza per abbassargli la cerniera dei jeans. 

“Beh, non sarò certo io a impedirtelo allora,” gli disse, senza fiato, abbandonando la testa all’indietro  e lasciando che sbattesse alla porta del piccolo bagno in cui si trovavano. 

Eric arrivò alla stoffa sottile dei boxer e la tirò giù in un solo movimento fluido. Sentì Francesco trattenere il fiato, e lui lo guardò con un sorriso che raccontava le sue cattive intenzioni. 

“Lo vuoi?” chiese, inginocchiandosi di fronte a lui sul pavimento appiccicoso di quel bagno. 

“Non ti fa schifo?” gli chiese, ma Eric non rispose. Si avvicinò a lui e percorse tutta la sua lunghezza con la lingua, una leccata lenta, che lo fece imprecare e sbattere la testa alla porta di nuovo.

Francesco affondò le mani nei suoi capelli neri, incitandolo a continuare. Lui non se lo fece ripetere due volte, accogliendolo tra le labbra, e per un po’ non ci fu altro se non quel piccolo bagno di un locale affollato, la musica attutita che veniva dalla sala da ballo, un odore di disinfettante e sudore nell’aria e la pelle che bruciava, dal caldo e dall’eccitazione.

Lo leccò e lo succhiò sinché Francesco, con le gambe tremanti e l’imprecazione facile forse dovuta all’alcol, non lo avvertì chiedendogli di smettere, perché sarebbe arrivato all’apice  tanto presto. Fu allora che lui continuò con più convinzione, sin quando non sentì il suo sapore in bocca e deglutì, sorridendogli malizioso da quella posizione scomoda. 

Francesco guardò sotto, verso di lui, le mani ancora tra i suoi capelli. “Sei un capolavoro, cazzo.”

Lo aiutò ad alzarsi, offrendogli la mano, gli stampò un bacio sulla guancia e disse “Sicuro che non vuoi che ricambi il favore?”

Eric fu percorso da un brivido. Tutto quello che avrebbe voluto era Francesco che metteva una mano tra le sue gambe, che lo faceva gemere e ansimare dal piacere e dal desiderio. Annuì, a malincuore. “Sicuro.”

Avrebbe avuto abbastanza materiale per toccarsi quella notte, sarebbe stato quello il modo in cui avrebbe concluso la serata. Non aveva certo bisogno di Francesco per godere un po’, le sue stesse mani sarebbero andate più che bene.

Uscirono dal bagnetto nell’anticamera del bagno, dove diversi ragazzi facevano la fila per i due bagnetti rimasti. 

“Era ora!” esclamò un ragazzo alto e magro, dall’aria seccata.

“La prossima volta trovatevi una stanza, io me la sto facendo sotto!” disse un altro, il primo della fila, che si infilò nel bagnetto da loro appena abbandonato. 

“Che dici, usciamo a prendere un po’ d’aria?” propose Francesco, ignorandoli senza farsi scalfire dalle loro parole.

Eric annuì, grato che gli avesse proposto di lasciare quell’ambiente soffocante.

Attraversarono la sala da ballo sgomitando e spingendo tra la calca, Francesco lo prese per mano per non perderlo di vista. Non appena uscirono dalla folla lo lasciò, ed Eric ritirò la mano senza sapere che fare di quell’appendice che aveva d’un tratto preso fuoco.

Quando riuscirono ad andare sulla strada, la brezza notturna li colpì ed Eric si riabbassò le maniche della camicia, infreddolito.

Francesco, che pareva immune alla brezza leggera e tagliente che si era sollevata nella notte, tirò fuori il telefono dalla tasca. “Allora ragazzo chiamato Eric, me lo dai il tuo numero?”

“Il mio… numero?”

“Sì. Ce l’hai un telefono, vero?”

“Sì, certo.”

“Solo se vuoi, è ovvio. Altrimenti…”

“Va bene!” il suo assenso arrivò prima della fine della frase. Gli dettò il numero di telefono e l’altro lo salvò. 

“Ti faccio uno squillo così tu salvi il mio.”

Gli arrivò una chiamata da numero sconosciuto e lui segnò il numero con Francesco Cavalli. 

Francesco inclinò la testa di lato. “Come fai a sapere il mio cognome?”

Eric spalancò gli occhi scuri, colto in fallo. Si schiarì la voce per prendere tempo, sentendo le guance in fiamme. Quanto era stato stupido?

“Sei stato tu a dirmelo, quando ti sei presentato.”

“No, non è vero. Perché avrei dovuto dirti il mio cognome?”

“Sì che me l’hai detto invece, altrimenti come farei a saperlo?”

Francesco alzò le spalle. “Anche tu hai ragione,” disse, “scusa, ho una pessima memoria.”

“Tranquillo, anch’io.”

Francesco gli sorrise, ma prima che potesse dire qualcosa, la porta del locale si aprì di nuovo. Dimitar, l’amico  magro vestito da emo,  col ciuffo nero e la matita pesante, uscì fuori vicino a loro 

“Ah, siete qui.”

“Che fai, Mit, vai via?”

“Certo che vado via. Mario sta limonando con un twink da mezz’ora, voi ve ne siete andati in bagno a scopare, io non ho trovato mezza ragazza a cui piace il cazzo, mi stavo annoiando a morte da solo.”

Come sempre, l’espressione ‘a cui piace il cazzo’ per indicare qualcuno a cui piacevano gli uomini lo grattò da dentro, fastidiosa e urticante. Deglutì e mandò giù, proprio come ogni volta prima di quella.

“Che facciamo, molliamo Mario e ce ne torniamo a casa?” propose Francesco, che iniziava ad avere l’aria sbattuta.

“Grazie di averlo detto, volevo proporlo da quando ti ho visto!”

Francesco allora si rivolse verso di lui. “Tu, carino? Vuoi un passaggio?”

Eric scosse la testa. “Mi faccio un giro, così non arrivo a casa troppo fatto. Non abito lontano.”

“Sei sicuro? Vuoi tornare a piedi? Fa un po’ freddo, e non sei tanto lucido, è pericoloso…”

Lui si strinse nelle spalle. “Sicurissimo. Mi piace camminare, e poi mi aiuta a riprendermi un po’.”

“Va bene. Fatti sentire, mi raccomando. Ora hai il mio numero!”

“Lo farò.”

Francesco gli fece l’occhiolino e poi si incamminò con Dimitar verso la macchina. Sperò che fosse il suo amico a guidare, lui che aveva bevuto un solo drink e aveva l’aspetto  sobrio. 

Lui si voltò e iniziò a camminare verso casa, le mani nelle tasche. Pensò che solo una persona che si era vestita a lungo con abiti da donna avrebbe potuto apprezzare le tasche capienti dei suoi pantaloni da uomo come faceva lui in quel momento. 

Si sentiva un po’ congestionato e ancora alterato, aveva ancora la testa leggera e le farfalle nello stomaco per via di quello che era successo quella sera. Ricordò la sensazione delle mani di Francesco su di lui, della sua lingua in bocca. Il modo in cui aveva detto di averlo abbordato, quella sicurezza che ostentava e che lo attraeva, lui che al contrario era un tipo più introverso e insicuro.

Ricordò di quando entrambi erano dei bambini, della sua cotta spaventosa, di come scriveva le loro iniziali circondate da cuoricini su ogni superficie disponibile. Forse l’incontro di quel giorno era un segno, forse era destino che prima o poi coronasse questo sogno che aveva da quando era bambino. Si chiese il sé di otto anni cosa avrebbe detto se avesse saputo cos’era successo quella notte – tagliando i dettagli inappropriati, si capisce –. Forse nemmeno ci avrebbe creduto, forse gli sarebbe sembrato irraggiungibile.

Raggiunse casa immerso da questi pensieri, la sua casa d’infanzia in cui si era ritrasferito solo quel giorno. Cercò a tentoni gli interruttori, non ricordava ancora bene dove fossero, poi quando non li trovò si arrese e si fece luce col cellulare. Avrebbe dormito nella vecchia camera dei suoi, aveva già fatto il letto per fortuna, anche se non aveva ancora disfatto le valigie. Si spogliò, stando attendo a non strapparsi il cerotto di Androderm dal suo posto vicino all’ombelico, e frugò alla cieca nella valigia per trovare il pigiama. 

Quando riuscì a coricarsi la testa gli girava, la sensazione di essere brillo aumentò a dismisura. Chiuse gli occhi e rivisse quello che era successo, ma con un finale diverso. Lasciò che Francesco gli sbottonasse la camicia, lasciò che gli infilasse le dita nei jeans e lo toccasse dove più desiderava, mentre abbassava le sue mani e le portava tra le gambe. 

Un verso di piacere gli scappò dalle labbra, stuzzicandosi e stimolandosi mentre la sua mente correva, immaginando altre mani che lo toccavano, mani più grandi e dita più lunghe delle sue, una voce bassa e dolce che lo copriva di complimenti mentre lui gemeva e continuava a torturarsi a gambe aperte, il corpo teso.

Il sorriso furbo di Francesco che gli sussurrava oscenità all’orecchio gli balenò nella mente, e dopo troppo poco tempo che si toccava la sua mente esplose di piacere e lui venne, sentendo tutti i muscoli che si irrigidivano e lasciandosi andare a un gemito lungo e sporco. 

Riaprì gli occhi, accaldato e ansimante, e cercò di riprendere fiato. Il suo corpo si rilassò e lui sospirò, rigirandosi nel letto e mettendosi su un fianco. Senza energie, rilassato dal piacere ricevuto, strinse il cuscino tra le braccia e scivolò in un lungo sonno senza sogni.

Note autrice
Eccoci qui al primo capitolo di questa storia!
Pubblicherò i restanti due capitoli a distanza di due giorni l’uno dall’altro, dunque giovedì sette e sabato nove luglio.
Avete appena assistito a un breve e goffo tentativo di smut lol, spero non sia stato troppo cringe, io ci ho provato – ci saranno altre parti esplicite, anche più di questa, quindi spero non vi dia fastidio.
Per quanto riguarda Eric, ho provato a usare conoscenze condivise da amicə non cis che per questa storia hanno parlato con me delle loro esperienze. Se fate parte della comunità, accetto pareri molto volentieri a riguardo.
Ogni feedback, commento, stellina, critica costruttiva, complimento, consiglio, sclero, keysmash et similia è molto gradito.
Grazie di essere arrivatə sin qui e a giovedì!

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