Casa

Il giorno dopo, lavorò male. Aveva allestito uno studio nella vecchia stanza di sua sorella, che aveva la scrivania più grande della sua, e ci aveva messo su il computer con cui editava, compreso di sedia girevole ergonomica per la schiena.

La sua postazione non aveva nulla che non andava. Lavorò male perché aveva passato la notte angosciato, a piangere, a maledirsi per averci provato di nuovo. Le persone come lui erano destinate a restare da sole, nessuno le voleva, doveva farci l’abitudine. Era ora di rassegnarsi, di smetterla di tentare di conoscere qualcuno, il meglio che ci poteva ricavare erano un paio di appuntamenti di conoscenza che si interrompevano alla rivelazione.

Mi farò sentire, promesso. Non ti sto dando buca.

Eric neanche voleva provare a sperare che Francesco avesse detto la verità. Quella mattina non l’aveva chiamato, com’era ovvio che fosse, e non l’avrebbe chiamato mai più. 

Non voglio darti l’idea che ti sto mollando in tronco solo perché ho scoperto che sei...

Lasciando anche perdere la sua incapacità a pronunciare la parola ‘trans,’ mollarlo per quel motivo era proprio quello che aveva fatto. Anche lui come tutti gli altri, anche se forse in modo più educato. 

La fine di quella giornata di lavoro la accolse come una benedizione. Decise di rilassarsi e cucinarsi qualcosa di buono per cena, per consolarsi un po’. Durante la spesa il giorno prima si era comprato una barretta di Milka al caramello, e ne mangiò un pezzetto per tirarsi su. Il sapore dolce del cioccolato e salato del caramello si scontrarono nella sua bocca mentre lui si buttava nel letto a vegetare, riposare dopo un lungo turno e tornare a struggersi sui suoi problemi sentimentali.

Il telefono vibrò e lo guardò con un’occhiata pigra. Era Alessia, che dalla tendina gli intimava di ‘smetterla di pensare a quello stronzo’.

Sua sorella, la sua metà, che continuava a credere nel fatto che prima o poi lui avrebbe trovato qualcuno da amare e da cui essere amato, che insultava tutti quelli che lo mollavano in tronco dopo il coming out, che gli teneva compagnia e si assicurava che non combinasse niente di stupido, spinto dalla rabbia e dal dolore. Era un toccasana per lui, un balsamo, avere qualcuno che si preoccupava. Avere qualcuno con cui lamentarsi, che sapeva ci sarebbe sempre stato. 

Si domandò come fare per conoscere nuove persone, nuovi amici in paese, lui che lavorava da casa. Il MUSE gli era sembrato una buona idea per cominciare, ma tutto era andato a rotoli nel giro di due giorni e non ci teneva a ripetere l’esperienza. Non voleva che quanto accaduto con Francesco gli compromettesse la possibilità di avere amici, ma di andare di nuovo al MUSE non ne voleva nemmeno sentire parlare. Avrebbe dovuto studiare un’altra strategia.

Scorse senza tanta voglia i suggerimenti di Instagram per calmarsi e per trovare ispirazione su cosa cucinarsi per cena. A casa sua lui cucinava sempre, e aveva sempre desiderato vivere da solo per potersi preparare quello che voleva, senza dover tenere conto dei gusti di nessuno.

I suoi suggerimenti nell'app erano solo ricette e ristoranti, oltre a qualche video di cagnolini che spuntava qua e là. Aveva appena adocchiato una ricetta per delle trofie mascarpone noci e funghi, che il campanello suonò.

Aggrottò la fronte, turbato. Nessuno conosceva il suo indirizzo, non aveva fatto il cambio di residenza ed era impossibile che fosse arrivata posta o qualche pacco per cui doveva firmare. Non aveva neanche amici o conoscenze che sarebbero potute andare a fargli visita. Si rispose che doveva essere qualche venditore porta a porta e restò sul letto, non aveva voglia di vedere nessuno né di avere a che fare con commercianti molesti. 

Passò poco più di un minuto e il campanello suonò di nuovo.

“Ma che vogliono questi?” esclamò, e si alzò in piedi. Camminò a passi pesanti verso la porta, deciso a mandare via chiunque lo stesse molestando così dopo il lavoro. Spalancò la porta d’ingresso pronto a sbottare, quando lo vide. 

“Ciao.”

Francesco era lì davanti, e lo guardava con un sorrisino imbarazzato. Non aveva più i capelli scompigliati, per la prima volta da quando lo vedeva ebbe l’impressione che si fosse pettinato. Portava una maglia nera aderente a maniche lunghe, dei jeans scuri e dava l’idea di essersi preparato per venire sin lì, che non fosse capitato lì per caso. 

Eric sgranò gli occhi, lo fissò qualche istante, poi gli richiuse la porta in faccia.

Il campanello suonò di nuovo.

“Eddai, se non vuoi farmi entrare almeno dimmi qualcosa!” disse la voce oltre la porta.

Il primo pensiero di Eric fu che era impresentabile. Era ancora in pigiama, il suo pigiama grigio primaverile, non si era fatto la barba né pettinato, e – sommo orrore – non aveva messo il binder. Il secondo pensiero fu che Francesco era venuto lì per prenderlo in giro, e gli salì l’angoscia e la rabbia, oltre che un senso di vergogna e umiliazione. Il terzo pensiero fu quello che esternò.

“Come sapevi dove trovarmi?” chiese a voce alta, per farsi sentire anche fuori.

“Ricordavo la via, mi sono letto tutti i campanelli.”

“Beh, devi… devi tornare dopo. Ora sono occupato.”

“Dopo quando?”

“Non lo so. Un’altra volta.”

“Andiamo, mi dispiace! Non avrei voluto lasciarti lì, ma non me l’aspettavo! Hai sganciato una bomba e io…” borbottò qualcosa che Eric non sentì. “Lascia perdere, mi sto giustificando. Non volevo giustificarmi, ho sbagliato. Per favore, apri la porta.”

“Dammi cinque minuti, aspetta lì,” disse, poi corse al bagno. Si diede una rinfrescata e una pettinata, alla barba ci avrebbe pensato in un altro momento. Si sfilò la maglia del pigiama, stando attento come sempre a non strapparsi il cerotto di testosterone di dosso, e si mise il binder più comodo che aveva. Tornando verso l’ingresso si infilò al volo una maglia larga blu e dei pantaloncini, senza mettersi le scarpe. Quando fu pronto, aprì la porta di nuovo.

Francesco era ancora lì, e quando lo vide gli sorrise ancora una volta, ma non più con un sorriso contrito di scuse. Era un sorriso furbetto, di quelli che lo facevano sembrare di nuovo il bambino che lui conosceva, di quelli che gli aveva rivolto al MUSE due notti prima. “Ti sei preparato per me?”

“Cosa ti serve?”

Francesco si strinse nelle spalle. “Te l’ho  detto che mi sarei fatto sentire.”

“E non potevi scrivermi un messaggio come tutte le persone normali?”

“Avevo paura avessi bloccato il mio numero.”

Eric incrociò le braccia e alzò un sopracciglio. “Allora, sentiamo.”

“Così, sulla porta?”

“Sì.”

Il ragazzo sospirò e si grattò la testa dal nervosismo. Dondolò sulle gambe per qualche secondo, poi disse “Tu mi piaci.”

Eric lo guardò sbigottito, gli occhi scuri spalancati. “Okay.”

“Tu mi piaci. Sei brillante, carino, dici le cose giuste al momento giusto e sai quello che vuoi e cosa ti serve per prenderlo. Eri tutte queste cose prima di ieri pomeriggio e le sei anche ora. Tu mi piaci, e per qualche strana ragione penso di piacerti anche io.”

Eric, che si era sentito avvampare a quella lunga lista di complimenti, mormorò di nuovo “Okay.”

“Se non mi vuoi fare entrare in casa va bene. Lo rispetto. Ma voglio che tu sappia che tu mi piaci e non mi importa chi sei o chi eri. E capisco che possa aver vissuto male il fatto che sia scappato ieri, ma non l’ho fatto per il motivo che pensi tu. L’ho fatto perché ero convinto che fosse la seconda volta che ci vedevamo, e perché tu per tutto quel tempo sapevi benissimo chi ero e mi sono sentito preso in giro. Mi hai raccontato palle, so perché l’hai fatto, lo capisco, forse l’avrei fatto anche io, ma la cosa mi ha messo in imbarazzo e non me la sono sentita di restare… ma ti ho invitato a prendere l’aperitivo perché volevo conoscerti meglio, e voglio ancora farlo. Se tu lo vuoi.”

Eric l’aveva fissato in silenzio per tutto il tempo che lui aveva parlato. Sentiva il cuore che gli ruggiva in gola, si stava sforzando in modo doloroso per mantenere un respiro lento e regolare e l’angoscia che aveva sentito quando era stato lasciato da solo al bar lottò feroce con la sensazione di libertà che aveva provato al loro primo bacio e con la voglia che aveva di baciarlo di nuovo.

Francesco non era bello in modo sfacciato e convenzionale. I sei chili che aveva preso in yogurteria si vedevano tutti, aveva i capelli sempre in disordine e sbarbato in quel modo sembrava un ragazzino. A Eric erano sempre piaciuti i ragazzi più grandi. 

Eppure lo desiderava. Gli piaceva che fosse alto, ben più alto di lui. Gli piacevano i suoi occhi, con quella luce da sbruffone che lo faceva andare ai pazzi. Gli piaceva il fatto che fosse diretto, gli piaceva la sua voce, gli era piaciuto persino come aveva messo le mani sui suoi fianchi, lui che di solito lo odiava. E l’idea della sua lingua in bocca gli azzerava il cervello.

Così si spostò, invitandolo in silenzio a entrare. Francesco lo guardò come se non credesse che stava succedendo davvero.

“Ti piacciono i funghi?” chiese, mentre il ragazzo entrava guardingo in casa sua.

“Sì, perché?”

“Faccio la pasta coi funghi per cena. Ti va di restare?”

“Mi stai davvero invitando a cena?”

“Mi sembra piuttosto evidente.”

“Certo che resto.”

“Bene. Ma non è ancora pronto niente, quindi dovrai aspettare un po’…” sentì che mentre andava in cucina una mano lo afferrava per il braccio, e si fermò. 

Si voltò a guardarlo, era tanto, troppo vicino e continuava a stringere la presa. La pelle gli bruciava là dove l’aveva toccato.

“Aspetta,” gli disse. “Non pensare alla cena, è ancora presto.”

“Sono le sette.”

“Appunto, è prestissimo.”

“Io mangio alle sette e mezza, di solito.”

“Beh, io alle nove.”

“E cosa facciamo qua dentro sino alle nove?”

Francesco sorrise, e la luce nei suoi occhi si accese di nuovo. “Possiamo iniziare da questo,” gli disse piano, e avvicinando il volto al suo lo baciò.

Fu solo un breve tocco di labbra, ma abbastanza da lasciare Eric con le gambe molli e senza fiato. Era incredibile come un gesto di quella dolcezza, solo un paio di labbra morbide che si erano sfiorate sulle sue, potesse averlo sconvolto tanto, eppure era così. 

“Ti va di finire quello che abbiamo cominciato?” gli chiese, ed Eric non riuscì più a trattenersi, a quel punto. Gli afferrò la maglia e lo tirò a sé, fu lui a baciarlo quella volta.

Francesco non perse tempo. Le sue mani affondarono nei capelli dell’altro e schiuse le labbra, facendo scontrare la lingua con la sua. Eric fu investito dal suo sapore, senza alcol questa volta, e si lasciò sfuggire un verso di apprezzamento quando Francesco lo baciò con più forza, quando sentì il suo respiro affannoso mischiarsi col suo. 

Le mani di Eric gli stringevano ancora la maglia, tanto da fargli male, mentre quelle dell’altro  erano scese dai suoi capelli e gli passavano lungo i fianchi, e quelle mani grandi che lo afferravano e lo tenevano stretto gli fecero defluire tutto il sangue via dal cervello. 

Francesco interruppe quel bacio spinto e sporco ed Eric trattenne a stento un guaito di delusione, per poi sentire che aveva iniziato a baciargli il collo. Sentiva le sue labbra che gli baciavano la pelle, la sua lingua che lo bruciava, lo sentiva succhiare e mordere e lasciare una scia di segni sulla pelle bianca della sua gola, come i ragazzini alle prime esperienze. Non gli bastava. 

Gli passò la mano in mezzo alle gambe e lo sentì gemere, le vibrazioni del suo verso di piacere gli fecero venire la pelle d’oca a contatto col suo collo. Era chiaro che era già eccitato, poteva sentirlo attraverso i jeans, e sapeva di esserlo lui stesso. 

“Ce l’hai una camera da letto?” gli sussurrò all’orecchio, e il fiato sulla pelle e quella voce bassa e carica di desiderio gli scollegato o la mente per un attimo.

“Sì,” mormorò, e tornò a baciarlo, la sua lingua in bocca, mentre camminava a tentoni verso la sua stanza. 

Francesco lo consumava come una fiammata, e lui era già perso, aperto alle ministrazioni della sua lingua e delle sue mani che senza vergogna gli esploravano il corpo.

Lo sentì armeggiare col bottone dei suoi pantaloni, poi gli abbassò la zip rivelando la sottile stoffa dei suoi boxer.

“No!” esclamò, separandosi da lui. “Non troveresti quello che vuoi, fidati.”

“Io ti voglio. Quello che hai tra le gambe non mi importa. Sempre che tu voglia me.”

Eric pensò che non ci fossero limiti a quanto lo voleva su di lui, dentro di lui, i loro corpi tanto vicini da fondersi insieme. 

Come risposta, lo incoraggiò a continuare portando la mano sulla sua, là proprio in mezzo alle sue gambe. 

“Ti rendo il favore dell’altro  giorno, ti va?” gli chiese, e senza aspettare che dicesse altro lo spinse sul letto, lui si lasciò cadere.

Francesco gli sfilò i pantaloni del tutto lasciandolo in boxer, non accennando neanche a volergli togliere la maglia, gesto che Eric apprezzò. 

“Non mi sono mai fatto toccare da nessuno,” ansimò, sentendo caldo al basso ventre e il sesso che pulsava, dalla voglia e il desiderio. 

Era vero. Durante le sue esperienze sessuali era sempre stato lui a dare piacere. Non voleva che qualcuno si avvicinasse a lui là sotto, si sentiva troppo male per non essere come gli altri uomini, non poter avere un’erezione, non poter dare agli altri quello che loro gli offrivano e che desideravano.

“E io non ho mai toccato nessuno come te. Impariamo insieme.” Detto questo, gli abbassò anche i boxer e lo lasciò nudo, aperto a lui ed esposto come non era mai stato con nessuno. “Sembra bagnata,” commentò, con un sorrisino. “Penso sia un buon segno.”

“Lo è,” disse senza fiato, ma prima di poter aggiungere altro lo vide abbassarsi su di lui ed ebbe solo il tempo di ringraziare di essersi depilato qualche giorno prima, perché il suo compagno gli aveva aperto le gambe con le mani e aveva iniziato a leccarlo dov’era più sensibile che mai.

Abbandonò la testa all’indietro e si lasciò scappare un gemito. Francesco lo prese come invito a continuare, perché imperterrito proseguì a studiarlo con la lingua, facendogli portare le mani alla bocca per non farsi sentire da tutto il vicinato. Era chiaro che fosse inesperto, la sua lingua ci andava troppo forte e mancava spesso il punto giusto passandogli accanto, ma questo non faceva che allungare la dolce tortura, spingendolo ad allargare le gambe e contrarre tutto il corpo dal piacere, tra gemiti profondi e pelle d’oca. 

Eric sentì tutto il corpo che si tendeva, come la corda di un arco, e capì che l’apice  era vicino. 

“Basta,” lo pregò, “basta, basta!”

Francesco sollevò la testa e lo guardò, confuso. “Scusa. Ho fatto qualcosa di male?”

“No. Ti voglio dentro di me. Adesso.”

Non ci fu bisogno di insistere. Francesco si alzò e si abbassò i jeans, poi i boxer, rivelando che era ancora eccitato. Eric trattenne a stento un sospiro di sollievo. Il suo corpo non l’aveva disgustato, quello che stavano facendo gli piaceva. 

“Perché mi guardi così?” gli chiese, raccogliendo i jeans da terra e tirando fuori il portafoglio. Aveva il sorriso da schiaffi che faceva impazzire Eric, e tremò dalla voglia che aveva di averlo subito, là su quel letto.

“Ti è piaciuto,” gli disse, senza fiato.

“Certo che mi è piaciuto. Sei bellissimo.”

A quelle parole, Eric trattenne un verso strozzato. “Vieni qui, ti prego.”

Francesco allargò il sorriso. Prese un preservativo dal suo portafoglio, lo scartò e se lo infilò con allenata naturalezza. 

“Hai lubrificante?”

Eric scosse la testa. “Il vantaggio di avere una di quelle è che si lubrifica da sola.”

“Giusto. Hai… più buchi di quelli a cui sono abituato,” mormorò, divertito. Iniziò a toccarsi per prepararsi, ed Eric lo guardò mentre si stimolava, affascinato e un po’ intimorito da quello che stava per succedere.

“E ti dà fastidio, questo?”

Francesco accennò alla sua erezione. “Ti sembra che mi dia fastidio?”

Eric deglutì. “No.”

“Allora stai tranquillo, e lasciati andare.”

Decise che era saggio seguire il suo consiglio, così cercò di rilassarsi. Si abbandonò al letto, chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Quando li riaprì, vide che Francesco lo stava guardando. Si era messo in ginocchio sul letto, e lui allacciò le gambe intorno ai suoi fianchi. “Sei pronto?”

“Ti prego, sì.”

Fu allora che lo penetrò, con un gesto fluido ed elegante, era tanto bagnato che non ci fu bisogno di insistere. Eric gemette, dalla sorpresa e dal piacere, e anche Francesco si lasciò andare a un’imprecazione colorita. “È… largo qua dentro.”

“È una cosa brutta?”

“Eric, tu mi piaci, ma se mi chiedi ancora una volta se la cosa mi disturba giuro che me ne vado,” gli disse, poi senza aspettare che rispondesse iniziò a spingere dentro di lui, con movimenti lenti e misurati, per prendere confidenza con quell’anatomia tanto diversa da quelle che aveva toccato sinora.

Eric iniziò a seguire i suoi movimenti, assecondando le sue spinte, e fu allora che sentì odore di sangue e capì che la sua verginità era solo un ricordo. Non gli importava. Non gli aveva fatto male, aveva sentito solo un breve pizzico quando lui era entrato. Tutto quello che provava in quel momento era la voglia di averlo sempre più forte, il piacere che aumentava a ogni spinta, la mente annebbiata e leggera e il bisogno carnale di averlo addosso, contro di lui, pelle su pelle. 

Come se gli avesse letto nel pensiero, tenendolo per i fianchi per dare le spinte più profonde, si abbassò su di lui e lo baciò. Eric si lasciò infilare la lingua in bocca, i loro ansimi si mischiarono e lui si sentì pieno, invaso nella sua bocca e tra le gambe, penetrato da ogni parte e in balia delle sensazioni forti che lo attraversavano.

Francesco iniziò a spingere più forte e più veloce, e lui a gemere nel bacio, dei versi osceni e lascivi che sembravano motivare il suo compagno, che aveva iniziato a pompare in lui con forza e determinazione. 

Sentì che le spinte si facevano irregolari e discontinue, e che dalla bocca di Francesco uscivano versi strozzati di piacere. Sentì che stringeva la presa sui suoi fianchi e capì che stava per arrivare al culmine. Iniziò a seguire i suoi movimenti con più forza, aderendo a lui e baciandolo con tutte le energie rimaste, tenendogli il volto tra le mani. Spinse e spinse sinché non lo sentì irrigidirsi e gemere, un gemito basso e senza fiato. Il ragazzo continuò per qualche spinta e poi si fermò.

Si separò dal bacio ed Eric prese una boccata d’aria.

“Oddio,” ansimò, ancora un fuoco e col bisogno fisico di continuare a provare piacere, sempre più forte. “Ti prego, continua.”

Francesco si sfilò da lui, e si spostò da quella posizione scomoda. Si stese accanto a un Eric sudato e tremante, e fece scivolare la mano tra le sue gambe. “Ora pensiamo un po’ a te,” gli disse, sul volto un sorriso soddisfatto.

Iniziò a baciargli il viso, una pioggia di baci dolci e caldi che gli risvegliarono tutto il desiderio, mentre le sue dita inesperte lo sfioravano sulla carne fresca e gonfia che aspettava solo di essere stimolata. I movimenti di Francesco erano goffi, ma Eric era troppo bagnato e smanioso per non godere di quel tocco, e non ci volle tanto tempo prima che tutti i suoi sensi si acuissero e lui sentisse il piacere esplodergli nella mente, azzerando tutto il resto per un attimo. Si contorse lì nel letto e Francesco gli tappò la bocca con la mano libera, per non farlo urlare. Quando i suoi muscoli si rilassarono lo liberò e gli sorrise sotto i baffi. “Allora, come prima volta non era male.”

Eric prese un profondo respiro, cercando di riprendersi da quell’orgasmo violento che gli aveva scosso tutto il corpo, spazzandogli via ogni pensiero.

“Si può migliorare,” disse, ansante, “ma per non aver mai avuto a che fare con una vagina te la sei cavata.”

“Oh beh, grazie,” commentò, soddisfatto.

“Tu? Sei stato bene? Ti è piaciuto?”

“È stato… strano. Ma sì, mi è piaciuto. Diciamo che lo rifarei.”

Eric gli sorrise. “Si può organizzare.”

“Dio, quanto sei bello,” gli disse, si sporse verso di lui e gli baciò la guancia ispida di barba. 

Eric si sentiva sulle nuvole, le farfalle nello stomaco che aveva sentito al MUSE e al Mater più forti che mai. Aveva la testa leggera, voglia di ridere, e preso dall’euforia restituì il bacio al ragazzo con gli interessi, aggrappandosi a lui e  premendogli le labbra sulla guancia liscia e morbida, sulla fronte e sulla tempia. “Sono contento che sei tornato.”

“Sono contento che mi hai fatto entrare. Avevo paura che non volessi più avere niente a che fare con me.”

Eric portò gli occhi sul soffitto per non vederlo in faccia. “Quando te ne sei andato ci sono rimasto male, sai.”

“Mi dispiace,” rispose, sfiorandogli il volto con le dita. “Non sarei dovuto scappare così, io…”

“No, lo capisco. È vero, ti ho detto una bugia. Ma l’ho fatto solo perché non è facile fare coming out così appena conosco qualcuno. Non è la prima cosa che si dice quando ci si presenta. Ciao, sono Eric e sono trans, tanto piacere.”

“Lo so, so perché l’hai fatto. Non devi sentirti obbligato a dirlo a nessuno se non vuoi.”

“Neanch’io sono arrabbiato. Ho capito perché te ne sei andato, ieri. Ma ora sei qui.”

“Ora sono qui. E non vado da nessuna parte,” sussurrò, continuando ad accarezzarlo. “Posso dirti un segreto?”

Eric spostò di nuovo lo sguardo su di lui e annuì.

“Avevo una cotta per te, quando eravamo piccoli. Ero ossessionato da te, in effetti. Ho pensato a lungo di essere bisessuale per questo, anche se dopo ho provato attrazione solo per altri uomini. E alla fine salta fuori che avevo ragione a dubitare, non ero bisessuale per niente. Non mi è mai piaciuta neanche una ragazza. Avrei dovuto capirlo allora… quindi grazie. Per avermi fatto capire chi sono, perché mi sono piaciuti i ragazzi tutto il tempo. Anche tu. Mi hai restituito un pezzo di me.”

Eric lo guardò incredulo, sbattendo le palpebre per schiarirsi la mente. “Tu avevi una cotta… per me?”

Francesco rise, una risata pulita e genuina. “Più che una cotta era una vera fissazione.”

“Anche io avevo una cotta per te, sai?” ammise, a bassa voce.

Francesco lo guardò col suo solito sorrisino furbo. “Forse era destino, questo. Stare insieme, tu e io.”

“Stare insieme? Chi ha parlato di stare insieme?” chiese Eric, guardandolo scettico.

“Oh, beh,” mormorò, le guance gli si tinsero di un adorabile rosso magenta. “Certo, io intendevo…”

“Sto scherzando, certo che usciamo insieme. Anche tu mi piaci.”

Sul volto di Francesco si formò un sorriso tronfio. “L’avevo capito.”

Restarono là a letto, entrambi nudi dalla vita in giù, a scambiarsi baci e carezze, a raccontare stupidaggini e rivangare i bei vecchi tempi di quando erano bambini. Eric chiese che fine avessero fatto i loro vecchi compagni e Francesco lo raccontò, infarcendo tutto di pettegolezzi di paese ricchi di colpi di scena che tennero l’altro col fiato sospeso. Quando si rivestirono e andarono a cucinare Francesco lo aiutò con la preparazione, sfottendo la sua attitudine da boss in cucina, più bacchettone del solito.

Mangiarono le trofie con gusto, più buone fatte in due, e per un attimo, guardandolo ridere, la realizzazione gli arrivò come una scudisciata. Ce l’aveva fatta, quello era il suo posto, e lui era a casa.

Note autrice
Oh, un po’ di fluff self indulgent condito da una spolverata di smut!
Mi ci voleva, non lo nego, ultimamente ho scritto un sacco di drammi e avevo proprio bisogno di una storia leggera in cui tutto va come deve andare e nessuno è troppo stronzo, una storia in cui le cose non devono essere per forza difficili, in cui due persone si piacciono e quindi decidono di stare insieme, appianando le divergenze e comportandosi da persone mature, senza tragedie e pregiudizi di sorta.
Forse vi sembrerà che l’abbia fatta troppo facile, che nella realtà le cose vanno in modo diverso, non sono d'accordo.
A volte la vita ci mette i bastoni tra le ruote, è vero, ma altre volte ciò che dovrebbe essere semplice è davvero semplice, e noi troviamo l’amore che meritiamo.
Comunque, la storia voleva essere così, positiva per scelta, quindi sono contenta di com’è venuta.
Ovviamente accetto ogni tipo di critica e rimostranza, soprattutto da chi fa parte della comunità. Spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno.
Tra l’altro, questo è stato il mio primo tentativo di smut quindi scusate se ha fatto schifo ahahah. Solo che ho visto che c’è poca rappresentazione positiva e “sana” della sessualità delle persone trans e mi andava di contribuire.
Sperando che la storia vi sia piaciuta, grazie mille di essere arrivatə sin qui e ci aggiorniamo presto!
Per quanto riguarda le prossime pubblicazioni invece... ho finito Furaha!
Sarà una long di venti capitoli che parla di Nuru, ragazzo dei bassifondi di Mombasa che si fa venire una cotta nientemeno che per il figlio dell’ambasciatore italiano in Kenya.
Sarà una storia di difficoltà, di accettazione, di disagio (quello vero), ma anche di speranza e di amore, e spero vi piaccia!
Sono indecisa se iniziare da martedì 12, la settimana prossima, o se lasciare una settimana per permettere a tutti di leggere questa storia e poi passare all’altra il martedì dopo, il 19.
Fatemi sapere che ne pensate!

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