2 - il simbolo segreto

Castello di Hogwarts
Ufficio di Albus Silente
1 settembre 1996, ore 10,30 P.M.

-    "Forse dovremmo dirglielo Albus."

Minerva continua a camminare a grandi passi per lo studio.
Fande il pavimento con i tacchi bassi dei suoi stivali appuntiti.
La sua voce sembra stanca.
E vecchia.
Molto più vecchia.

-    "E cosa otterremo Minerva? Voldemort pensa che sia il ragazzo e, finché concentra i suoi sforzi su di lui, noi abbiamo ancora tempo..."

Il vecchio preside sospira profondamente.
Si liscia la barba con le mani.
In quel gesto di insicurezza che ho imparato a riconoscere.

-    "Non poteva immaginare di scombinare i nostri piani, evitando che Lucius prendesse quella profezia.
Non poteva immaginare che fosse stata messa lì apposta.
È vero! Avremmo dovuto dirglielo. Ma adesso a cosa servirebbe?"

Punta il suo sguardo liquido in quello impaurito della vicepreside.
Sa di addentrarsi su un terreno pericoloso.
Perché Minerva è tutto tranne che una persona pacata, quando la si fa innervosire.

-    "Adesso dobbiamo sfruttare il vantaggio. Continuare ad indurlo a credere che sia Harry quello che cerca. Dandoci il tempo di trovare la verità..."

Lei blocca repentinamente i suoi passi.
Come da copione.
Irrigidisce le spalle.
Si gira di scatto.
Trafigge con lo sguardo l'imponente figura di Albus che troneggia accanto al pensatoio.
E poi esplode.
Tutto come previsto.

-    "Adesso è ora di finirla con i sotterfugi! Ormai abbiamo capito che quel ragazzo è coraggioso ed avventato. E ora è arrabbiato, devastato e solo al mondo. Di nuovo."

Incrocia le braccia al petto.
Lo sfida.
Ormai funziona così.
Da un po' di tempo a questa parte.
Lui ci lancia negli occhi teorie assurde, idee strampalate e piani folli.
E noi ce ne stiamo qui.
Ogni tanto tentando di dissuaderlo.
Ogni tanto no.
Almeno io. Che ormai ho smesso di farlo.
Perché fondamentalmente mi importa molto poco di tutto quanto.
Minerva invece non si arrende.
Continua con la sua arringa inutile.

-    "Se quella era una finta profezia lui deve saperlo. Deve sapere che non è lui il prescelto.
Perché andrà a cercarlo, Albus. Lo sai tu come lo so io.
E rischierà di farsi ammazzare.
Di nuovo.
Per una bugia vecchia di anni."

I toni si alzano.
Il nervosismo aleggia nella stanza come farebbe il fumo di un incendio.
E io come sempre me ne resto qui immobile, seminascosto nell'ombra.
Avvolto nel mio mantello nero.
Stancamente appoggiato allo stipite della porta.
E spero solo che non mi interpellino.
Che finiscano di litigare come una vecchia coppia di sposi attempati e che mi lascino ai miei pensieri.
E al mio tormento.
Mi ritrovo a pregare perché questo spettacolo da scadente cabaret di periferia si esaurisca in fretta.
Ancora una volta.
Ma non sono un uomo fortunato.
Non lo sono mai stato.

-    "Severus, maledizione! Cerca di ragionare almeno tu!"

Minerva si volta nella mia direzione.
Ha lo sguardo implorante.
Ovviamente mi ha chiamato in causa.
Come sempre.

Mi avvicino lentamente, abbandono il mio anfratto nascosto sul limitare tra l'ombra e la luce.
Raggiungo il centro della stanza.

-    "Dobbiamo proteggere la vera profezia, Minerva."

Lo sibilo mellifluo, con la mia famosa apatia che si infrange sulle pareti di pietra.
La vicepreside sbuffa.
Comincia a sentirsi impotente.

-    "La vera profezia? Ma se non la conosciamo neppure per intero! Parla di un simbolo, uno stupido disegno inciso da qualche parte!
Poterebbe essere ovunque, invisibile agli occhi."

Sbotta. È arrabbiata.
Una mano scivola sull'attaccatura dei capelli argentati.
Anche lei è esausta.
Come lo sono io.
Anche se non lo faccio vedere.
Come non ho mai fatto vedere niente.

-    "E se Sibilla si fosse sbagliata? Blatera profezie insensate da quindici anni!"

Si toglie gli occhiali, si strofina gli occhi con le dita aggredite dallo scorrere del tempo.

-    "Stiamo mettendo in gioco la vita di un ragazzo, per una visione sfocata di una veggente poco attendibile?"

-    "La profezia è vera Minerva. Lo sai anche tu. Non puoi lasciare che i tuoi sentimenti ti impediscano di arrivare all'obiettivo."

Interrompo il suo sproloquio.
Quella dannata profezia è vera.
Anche se da più fastidio di quanto riesca a risultare utile.
Almeno per il momento.
E a me tocca il lavoro sporco. Quello che nessuno vuole fare. Quello che, sicuramente, nessuno sarebbe in grado di fare.
Ormai ci sono abituato.
Anche se vorrei solo smetterla con questa dannata farsa.

-    "Non puoi farlo tu... cosi come non ho potuto farlo io!"

Lo sputo di fretta.
Con il nervoso che torna a farsi sentire alla bocca dello stomaco.
E poi torno a nascondermi nell'oscurità, come faccio da quasi tutta la vita.

Sono anni che combatto con il fantasma di Lily.
Morta per lo stesso errore in cui quell'insopportabile ragazzino è caduto l'anno scorso.
Albus Silente ha ingannato anche me, come ha fatto con il resto del mondo.
E, alla fine, tutti abbiamo perso qualcuno.
È toccato a me.
Ed è toccato anche a Potter.
Solo che lui aveva davvero le carte sbagliate tra le mani.
E ha perso tutto.
Se fossi ancora in grado di provarne, mi farebbe quasi pena.
Perché è solo un ragazzo.
Anche se dannatamente fastidioso.
E ha gli occhi di Lily.
I maledetti, bellissimi occhi di Lily.
E adesso vorrei solo urlare in faccia a Minerva che ha ragione.
Che è ora di smetterla con le finzioni, con gli inganni.
Che è ora di lasciar vivere alle persone la loro vita.
E di salvare qual ragazzino che si è ritrovato ad interpretare un ruolo che non è il suo.
E che non ha mai chiesto.
Pensando di essere qualcuno che in realtà non è.
Lui è i suoi dannati occhi verdi. Quegli stessi occhi che continuano a guardarmi dalle ombre più recondite dei miei incubi. Ed ad accusarmi senza assoluzione.
Con una condanna eterna che mi sta logorando anche l'anima.
Un'anima già messa duramente alla prova da anni di omicidi ingiusti, di obbedienza fasulla verso un mostro assassino.
Al quale continuo a dover baciare la tunica sporca di sangue innocente.
Per proteggere una causa che ogni giorno mi sembra più sterile.
Più affogata nella nebbia dell'incertezza.
Ho torturato, ucciso e riso amaramente di fronte allo scempio così tante volte da aver dimenticato cosa significhi essere un uomo.
No, io non sono più un uomo.
Sono un fantoccio di carne e stoffa nera, mosso dai fili di un piano assurdo.
Che, nonostante tutto, sembra essere l'unico, fottuto piano possibile per sconfiggere una volta per sempre quel pazzo bastardo.
L'unico piano che, dopo anni di silenzio, ha ricominciato a martoriami le membra e a togliermi il fiato.
Ed è inutile illudersi che non sia così.
Con la rinascita di Voldemort, il mio doppio gioco è tornato ad essere quello di un tempo.
Di giorno temuto professore della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.
Di notte spiegato mangiamorte, fedele spia di Albus Silente, insensibile assassino e finto servo del male.
E sono un uomo forte.
Maledizione se lo sono!
In pochi sarebbero sopravvissuti alla mia vita.
Ho visto il male negli occhi così tante volte da smettere di provare paura.
Da smettere di provare sentimenti.
Ma adesso sono stanco, logoro e sudicio.
E gli occhi di quel ragazzino sembrano volermi far abbracciare una giustizia di comodo.
Per provare a salvare almeno lui.
Harry Potter. Il finto prescelto. Il finto sopravvissuto. Il finto eroe del mondo magico che si sta portando sulle spalle un peso non suo.
In fin dei conti, assurdamente, è l'unico affetto che ancora mi resta.
Lui, e questo vecchio mago pazzo che continua a saltellarmi davanti con piani strampalati.
Vorrei rinchiudermi in quei sotterranei e non uscirne mai più.
Vorrei strapparmi dalla carne questo schifo di marchio che mi ricorda ogni giorno la condanna che mi sono inflitto.
E che ho inflitto.
Vorrei urlare al mondo che è tutta una farsa.
Che stiamo qui, in questo studio, tre delle menti più eccelse del mondo, e non abbiamo idea di cosa fare.
Forse, ogni tanto, vorrei addirittura trovare quel maledetto simbolo e consegnarlo nelle mani di Voldemort, lasciando che il mondo cada e che le mie sofferenze finalmente finiscano.
Ma non sono un codardo.
Purtroppo non lo sono mai stato.
E so qual è il mio compito.
Anche perché, se mai provassi a dimenticarlo, Albus sarebbe pronto a ricordamelo.
E così, come sempre, mi limito a tacere, a guardare il mondo con odio e a nascondermi nel buio.
In fin dei conti non sono nemmeno più sicuro di avercelo, un cuore.
Quindi cosa mi importa?
Seguirò questo dannato piano.
Salverò il mondo.
E poi, finalmente, potrò morire in pace.
Potrò lasciarmi prendere dalla morte che agogno da tempo.
Chiudere gli occhi.
E smettere di sentire le urla strazianti delle mie vittime, le risate di scherno dei miei compagni, i piani assurdi di un vecchio preside folle e i miei eterni sensi di colpa.
Forse raggiungerò Lily, al di là di questo mondo.
Forse riuscirò a chiederle di perdonarmi.
E forse, un giorno, sarò addirittura in grado di perdonare me stesso.
Forse...
Ma adesso devo portare a termine il mio lavoro.

-    "Questo è l'anno in cui verrà rivelato Severus. Così è scritto. Non sappiamo come, non sappiamo quando. Ma resta in allerta."

Il vecchio preside conquista il centro dello studio.
Si liscia ancora una volta la lunga barba con le mani ossute.
Anche Minerva si è arresa.
Alla fine si arrendono tutti.
Ogni tanto penso che dovrei solo convincere il signore oscuro a prendere parte ad una riunione in questo ufficio.
Probabilmente, alla fine, desisterebbe anche lui.

-    "Osserva tutto Severus, cataloga tutto. È in questa scuola. Devi solo trovarlo!"

Faccio un passo in avanti.
Mi concedo un impercettibile segno di assenso.
Lancio ad Albus uno dei miei famosi sguardi gelati.
Poi, come sempre, sparisco al di là di questa porta sul tetto del mondo, senza dire una sola parola.

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