1 - un nuovo inizio

Castello di Hogwarts
Sala Grande
1 settembre 1996, ore 7,00 P.M.

Non sono mai stata una bambina come le altre.
Non ho mai avuto un'adolescenza come quella degli altri e, sicuramente, non sono mai stata una ragazza come le altre.
Ho passato la vita con il naso perennemente infilato in un libro, con la mente concentrata ad accumulare nozioni e con il cuore pieno di voglia di primeggiare.
E sono orgogliosa, in un modo quasi malato.
Sono preparata ed intelligente.
E lo so.
E il fatto di avere due amici del cuore, all'inizio del primo anno di scuola, mi aveva sconvolta.
Perché sono sempre stata una solitaria, guardata di sottecchi dal mondo ed emarginata dai coetanei.
Ed è inutile prendersi in giro.
Ormai ci ho fatto l'abitudine.
Ma ogni tanto, quasi improvvisamente, la strana sensazione di essere diversa mi riempie lo stomaco.
Mi fa formicolare le braccia e mi intorpidisce la mente.

E adesso mi trovo di nuovo qui, davanti a questo enorme portone che profuma di legno e di storie da raccontare.
Pieno di fascino antico e di misteri eterni.
All'inizio di questo nuovo anno che comincerà non appena una magia vecchia di secoli farà cigolare sui cardini l'eterno custode della sala grande.

Lo scricchiolio del legno si intrufola tra i miei pensieri.
Mi strappa ai ricordi.
Gli stendardi dai colori sgargianti mi ammiccano penzolanti da un soffitto immenso, e i lunghi tavoli imbanditi sembrano promettermi l'inizio di un sontuoso banchetto.
Hogwarts è splendida!
Non c'è che dire.
Come sempre.
Il fascino eterno di un castello che ha attraversato i secoli, mi riempie il fiato.
Questa sensazione che si presenta puntuale, ad ogni nuovo inizio.
Da quando intravedo le sue gullie da lontano, appena scesa da un vagone pieno di attesa e di impazienza, fino a quando solco le immense scalinate che portano al dormitorio.
In breve tempo questa sensazione si attutirà, come ogni anno.
Ma il primo giorno è così.
Sempre travolgente.
Sempre la solita emozione che mi lascerà stordita per qualche dannata ora.

- "Soliti posti, Herm?"

Harry mi parla eccitato, squarcia il brusio della marea indisciplinata di studenti.
La sua voce si è fatta più profonda.
Ha abbandonato i toni acerbi da adolescente e si sta trasformando in quella di un uomo.
Perché, in fondo, lui è ormai un uomo a tutti gli effetti.
Ha già visto troppe morti nella sua vita.
E quella di Sirius sembra avergli depositato un macigno sul cuore.
Ride, parla, scherza.
Ma io riconosco il dolore sotto la maschera.
Forse perché sono abituata ad osservare sempre fino in fondo tutto ciò che mi circonda o forse, semplicemente, perché ne porto una da quasi tutta la vita.
Gli prendo la mano distrattamente, lo trascino correndo verso al tavolo che ci ha visti crescere.
Perché so che spesso le parole non servono a niente.
Che talvolta inspessiscono solo l'armatura di gesso costruita per difendersi.
Rafforzandola.
Sì, io lo so.
Nessuno lo sa meglio di me.

Ron ci appare alle spalle.
Salta frettolosamente la panca di legno, si siede con un rumore inverosimile ad un tavolo pieno di leccornie.
Sembra tutto uguale.
Tutto come sempre.
Ma io no.
Io sono diversa.

Silente raggiunge il piedistallo solcato da intarsi barocchi, si sistema gli occhiali sul naso adunco.
Comincia il suo lungo discorso.
Il suo solito, brillante e folle discorso.
Come all'inizio di ogni anno, da che ne ho memoria.
Anche lui sembra più vecchio.
Tutti lo sembrano.
È come se l'ombra nera di Voldemort si sia fatta improvvisamente palpabile.
Se la paura fosse divenuta di colpo certezza.

Lascio vagare lo sguardo sul tavolo degli insegnanti.
E non mi stupisco di scoprirli tutti sorridenti, come sempre.
Come da copione.
Ma quest'anno è un sorriso amaro.
Un sorriso finto, costruito apposta per trasudare una serenità di plastica.
Lo fanno tutti.
Tranne lui.
Ma, infondo, lui non sorride mai.
Non lo ha mai fatto.
È rimasto se stesso.
Con la sua maledetta aria schifata, il suo sopracciglio alzato e, sono certa, anche il suo insopportabile disgusto nella voce.
Quest'anno è riuscito a portarsi a casa la cattedra a cui anela da sempre.
Silente ne sta parlando proprio in questo momento.
Mentre un applauso privo di entusiasmo attraversa la sala grande.

Già, Severus Piton.
Come una cretina penso a lui da tutta l'estate.
A quel suo sguardo complice lasciato scappare sulla porta dell'ufficio della Umbridge, quando ancora Sirius poteva essere salvato.
E non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che quell'uomo nasconda qualcosa.
Qualcosa che nessuno è mai riuscito nemmeno lontanamente ad immaginare.
Sotto i suoi strati di stoffa nera, sotto alla sua espressione schifata e alla sua cattiveria tagliente.
Lì, appena sotto la superficie.
C'è qualcosa di più.
E io lo sento.
Sempre più insistentemente.
Anche se mi vergogno addirittura a pensarlo.
Sarà il fatto che non riesco a capirlo.
O che forse lo capisco troppo bene.
E siccome sono una cretina, tutto ciò che non riesco a capire mi affascina.
E vado a cercarlo.
Vado a studiarlo.
Per un attimo lascio indugiare lo sguardo sui suoi lineamenti marcati.
Sempre tirati, sempre immobili.
Mi perdo in qualche rimasuglio di pensiero lontano, dai contorni sbiaditi.
Cerco di trovare qualche traccia delle sensazioni che mi bombardano le tempie dall'inizio dell'estate.
E ovviamente non le trovo.
Perché è sempre stato bravo in questo.
Il più bravo di tutti.
Nasconde qualsiasi emozione sotto uno strato di giaccio spesso due dita. Impenetrabile. Pauroso. Quasi ripugnante.

Improvvisamente due occhi di ossidiana mi pugnalano il volto.
Penetranti e gelati, come sempre.
E io mi sento un'imbecille.
Mentre cerco con ogni briciolo di forza di distogliere lo sguardo da quei due pozzi neri privi di vita.
E non ci riesco.
Resto qui, immobile come uno stoccafisso, a garantirmi un qualche tipo di assurda punizione.
Perché no, nessuno riesce a tenere gli occhi in quelli di Severus Piton.
Nessuno.
Tranne me.
Che sono una deficiente.
E sto continuando a farlo anche adesso,
mentre la sala grande si abbandona ad un banchetto sognato troppo a lungo.
Mentre le risate dei ragazzi si infrangono sulle pareti di pietra e i racconti delle vacanze si intrecciano con nuove paure.
E non so neppure io il perché.
Ma non riesco a fare altrimenti.
Lui solleva un sopracciglio, in quella sua espressione capace di generare terrore
in chiunque.
Ma non in me.
Non più.
Perché io le maschere le conosco. Da sempre.
Da quando una bambina solitaria si calava sul volto il costume da compagna di classe, sorridente e spensierata, e cominciava a recitare la parte che ormai mi accompagna da tutta la vita.

- "Questa devi affolutamente affaggiarla Hermione! Quefta volta si sono suerati"

Bofonchia Ron, sputacchiando pezzi di quella che sembra essere una torta di mele e cannella.
Mi volto. Lo osservo con un misto di ilarità e rimprovero.
Con lui è così, non riesco nemmeno ad arrabbiarmi.
Sarebbe come prendersela con un criceto perché continua a girare sulla ruota, senza saper fare altro.
Ron è il criceto, e probabilmente io sono la ruota.
Che gira, sempre.
Incapace di mandarlo a stendere.
Di arrabbiarmi con la sua superficialità delirante. Con il suo eterno stupore.
Ha il volto paonazzo e le mani piene di briciole.
Mi viene da ridere.

- "Sei veramente indecente Ronald!
Hai già atto fuori l'equivalente dei miei pasti di una settimana in poco meno di dieci minuti..."

Lo dico scherzando, ma lo penso davvero.
Ogni tanto sa essere davvero impossibile.
Prendo un pezzo di torta, me lo porto controvoglia alla bocca.
Il sapore del dolce mi scende nella gola, il profumo della cannella mi avvolge i pensieri.
Già.
Forse dovrei smetterla di pensare.
Dovrei assomigliare di più a Ron.
Lasciarmi incantare da una stupida fetta di torta di mele.
Forse dovrei lasciare che la vita scorra con qualche leggerezza in più.
Senza la continua ricerca di qualcosa da scoprire, di qualche nuova, dannatissima cosa da imparare.
Adesso più che mai.
Perché questa volta mi sono superata.
Di solito mi accontentavo del brivido di qualche libro proibito in bibbiolteca.
Ma quest'anno ho alzato l'asticella.
Quest'anno voglio scoprire cosa si nasconde sotto la maschera perfettamente costruita di Severus Piton.
Sperando vivamente che una maschera ci sia.
Perché altrimenti il terreno potrebbe farsi estremamente pericoloso.
E sono una cretina due volte, perché l'idea che sia pericoloso lo rende eccitante, ancora di più.
Maledetta la mia ossessione per l'ignoto, per le cose proibite, per la dannatissima scoperta della verità a tutti i costi.
E maledetti anche i suoi occhi neri che si ostinano a non smettere di lampeggiarmi davanti.

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