Una donna di scienza

Roma, 26 gennaio 1944

Il rumore degli impianti, presenti negli edifici di Via Panisperna da molti decenni, scandiva le giornate di fisici, chimici, matematici e ingegneri che lavoravano ad un progetto, il quale li impegnava da diversi anni e che avrebbe cambiato le sorti della scienza, prima che della guerra: la bomba atomica.
Luciana Belmonte ne aveva sentito parlare dall'inizio del conflitto, anche se era sempre stata convinta che sarebbe stato un danno più che una risorsa, se usata a scopo bellico; era stata però Giada, decantando l'operato del suo fidanzato Giovanni Medina, a farle capire che quegli studi avrebbero realmente riscritto la storia; infine l'incontro con Bernardo Levi e la possibilità di saperlo sempre in allerta solo per via delle sue origini le fece sperare che quell'invenzione così impattante potesse portare gli Alleati ad una risoluzione immediata della guerra e alla sconfitta del regime nazifascista.
Fortunatamente si tenevano in contatto attraverso le lettere, i telegrammi e le cartoline: ogni volta che arrivavano notizie dal ragazzo che amava, il cuore di Luciana batteva molto di più di quanto la società si aspettasse da una donna di scienza.
Le raccontava delle sue giornate, dei suoi studi, delle sue scoperte, di quanto facesse freddo d'inverno a Lugano; nell'ultima lettera le aveva addirittura allegato una foto con il paesaggio ricoperto di neve.
Quel pomeriggio, dopo un'estenuante giornata di lavoro in laboratorio, aveva ricevuto della posta direttamente a Via Panisperna - aveva chiesto al postino che serviva la zona di recapitarle direttamente lì le lettere con mittente Teresio Lanfranchi.
Appena aveva riconosciuto la sua firma, in preda al batticuore aveva aperto la missiva e letto avidamente il contenuto:

Lugano, 21 gennaio 1944

Carissima Luciana,
l'ultima volta che ti ho scritto eravamo vicini al Natale cristiano, che da quando ci chiamiamo Lanfranchi è diventato anche il nostro: per i miei suona ancora un po' strano, Ottavia e io invece ci siamo abituati; ora riesco a capire meglio tutto quello che mi raccontavi su come festeggiavate a San Felice Circeo.
Mi ha scritto Giovanni, sostenendo che presto Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi presto terranno un discorso politico: tutti gli antifascisti parigini ne parlano, non stanno più nella pelle; vorrei accompagnarti, ma non penso che sia una buona idea lasciare la Svizzera, né sono così ottimista da ritenere che la nostra situazione possa essere nuovamente serena.
Potresti chiedere a Giada di accompagnarti, sperando che per allora sia tornata da Anzio; Spinelli tra l'altro è anche un cugino di tuo padre.
Vai ad ascoltarlo, anzi ascoltalo anche per me: sono convinto che grazie alle sue parole si possa iniziare a costruire la pace, nonché l'unione per l'Europa.
Aspetto con ansia la tua prossima lettera, sempre tuo

                                             Teresio.

Le parole di Bernardo le risuonarono in testa come una musica: Altiero Spinelli, l'autore principale del Manifesto di Ventotene, avrebbe presto tenuto un discorso a Parigi col suo compagno di battaglie Ernesto Rossi, uno dei più brillanti fisici d'Italia.
Se l'avesse raccontato alla sua famiglia a San Felice Circeo che aveva intenzione di raggiungere la Francia a tempo debito, nessuno l'avrebbe incentivata; sua madre l'avrebbe rimproverata, ricordandole per la centesima volta che una signorina del suo rango avrebbe dovuto pensare a trovare un marito, non giocare a fare la scienziata.
Ma quello non era un gioco, lei un grande amore già l'aveva e condivideva le sue passioni: insieme avrebbero sicuramente cambiato la storia, nonché la mentalità retrograda di certe donne di provincia.

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