Un'anima devota
Roma, 23 gennaio 1944
L'aroma dell'incenso impregnava l'aria della cappella della Chiesa di Santa Maria Maggiore: Elena ricordava con un'ombra di tenerezza quando a San Felice Circeo, durante le messe domenicali, le pizzicava il naso e starnutiva.
All'epoca, la vocazione non era davvero nei suoi programmi: nel suo futuro, al contrario, la fede non sarebbe dovuta essere compresa; il suo grande amore, Maurizio Filomusi, era il più comunista di tutti, forse addirittura più di Palmiro Togliatti in persona.
Ma Maurizio era morto ammazzato da una raffica di colpi, in un bosco ignoto del Centro Italia, e nel cuore della giovane Belmonte non ci sarebbe più potuto essere spazio per nessun altro uomo; la religione, in cui si era rifugiata dopo la morte di suo padre Corrado, era diventata l'unica via d'uscita a tutto quel dolore eccessivo da sopportare, per i suoi ventun anni.
Non era male, la sua condizione di novizia: non faceva più parte del mondo esterno al convento, ma non era ancora una suora; si trovava in un limbo, eppure così si trovava bene, si sentiva al sicuro: non era poca cosa sentirsi al sicuro, in un periodo come quello che il mondo stava vivendo.
Certamente era ciò che cercavano tutti coloro che Elena e le sue consorelle accoglievano tra le mura del convento: ebrei, comunisti, omosessuali, antifascisti di ogni sorta, uomini e donne invisi al regime e che se fossero rimasti in Italia sarebbero morti senza dubbio.
Quando Suor Teresa, la sua madre spirituale, le aveva spiegato cosa avrebbero fatto, e che tra i garanti di questi poveri disperati c'erano sua cugina Annalisa e il suo futuro marito Orlando Neri - fornivano passaporti falsi a tutti, nessuno escluso - Elena non poté fare a meno di pensare a Bernardo Levi, l'uomo amato dall'altra sua cugina, Luciana: lui e la sua famiglia erano scappati in Svizzera nel 1942, quando nessuno credeva che Mussolini si accanisse così ferocemente contro le minoranze.
L'illusione data dall'alleanza con la Germania nazista faceva credere che nessuno fosse davvero in pericolo, i Levi erano stati più che lungimiranti.
Erano state Elsa Filomusi e le sue colleghe crocerossine ad aiutarli a scappare; allora la giovane Belmonte era sicura che la figlia dell'oste Oreste Filomusi sarebbe diventata sua cognata: la stimava e un po' la invidiava perché tutto ciò che aveva ottenuto se l'era guadagnato da sola.
Alla morte di Maurizio avevano pianto a lungo insieme, sulle sue ceneri, prima che Elsa ripartisse per Roma; rimanere a San Felice Circeo, sapendo che gli unici due fratelli rimasti erano fascisti erano uno strazio, per lei.
Quella mattina aveva deciso di accendere un cero per tutte le vittime dello Sbarco di Anzio, autoctoni e Alleati: era una cosa giusta, ma comunque c'erano stati molti morti; compito suo e delle sue consorelle era quello di pregare per le loro anime, affinché trovassero la salvezza.
<< Come mai così mattiniera, mia cara? >> le chiese gentilmente Suor Teresa, sedendosi accanto a lei.
<< Pregavo per le vittime di Anzio. Laggiù si trova anche Giada Spinelli, la donna che mio fratello Enrico ama più di sé stesso >> rispose la giovane novizia, voltandosi verso la madre spirituale.
<< Sapevo che Giada Spinelli sarebbe presto convolata a nozze con Giovanni Medina, brillante scienziato nonché suo fidanzato storico >> replicò quest'ultima.
<< Sì, lo so. Lo sa anche Giada, ed Enrico ovviamente. È tutto sbagliato, Dio li perdonerà ma è tutto sbagliato... >> ribatté Elena, quasi infastidita da quei discorsi.
<< Non ci pensare, Elena. Devi imparare a distaccarti dalle questioni terrene. So quant'è difficile, ma dovrai provarci... E adesso andiamo, c'è una delegazione di poveri disperati che ha bisogno di noi... >> la rassicurò la consorella, indirizzando il suo pensiero verso argomenti ben più importanti delle beghe di paese.
Quello che la suora non sapeva era quanto fosse ingombrante la storia di Elena, dei suoi cugini e di tutti i loro amici.
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