Ritorno a Roma

Anzio, 21 febbraio 1944

La mattina successiva Giada si alzò presto: erano le sei e si sentivano soltanto il canto degli uccellini e il rumore delle onde.
La ragazza si affacciò un attimo al balcone, chiudendo gli occhi e riempiendosi i polmoni dell'aria di mare; aveva sempre amato l'odore salmastro, ma nei giorni seguenti avrebbe preferito sentirlo il meno possibile: le faceva terribilmente male, le ricordava una felicità che forse non avrebbe conosciuto mai più.
Fece colazione tra i sussurri delle cameriere, che ancora avevano nelle orecchie le grida disperate di Rinaldo fuori dal cancello, proprio il pomeriggio precedente.
Fino a quando fu sulla porta di casa, Fabiola Verdoni le chiese se fosse una buona idea tornare a Roma, visto che nelle città si bombardava.
<< Credimi, quello che succede nel cuore è peggio delle bombe >> le disse prima di abbracciarla ed entrare nell'auto di servizio guidata da Saverio Ronchi, che la portò fino alla stazione.
Tuttavia non aveva fatto i conti con Rinaldo, che la chiamò a gran voce.
<< Che ci fai qui? >> gli domandò aggressiva.
<< Sono venuto alle cinque, non ho chiuso occhio sapendo che partivi... >> spiegò lui, correndole dietro mentre lei si dirigeva verso le vetture.
<< E allora potevi passare la notte con Iris, visto che vi siete riavvicinati! >> rimbeccò lei.
<< Ma a me Iris non piace più da quel giugno del 1940, quando sei arrivata a San Felice Circeo! >> la supplicò l'uno.
<< Mi pare un po' tardi per dimostrarlo, o sbaglio? E poi dimentichi che sono ancora fidanzata con Giovanni! >> sottolineò l'altra, mentre il capostazione gridava ai passeggeri di prendere posto.
<< Però lo volevi lasciare, e so che ancora vuoi lasciarlo per me! >> insistette Marini.
<< Ti prego, mettiamo fine a questa commedia pietosa. Non voglio più saperne niente né di te, né delle promesse che ci siamo fatti... >> lo liquidò la Spinelli, entrando nel vagone.
<< Giada, ti prego! Non buttare tutto via così! >> le corse appresso il giovane, tentando di salire sul treno.
<< Giovanotto, dove vai senza biglietto? >> lo fermò il capostazione.
<< C'è la mia fidanzata su quel treno! >> inventò il partigiano.
<< Dicono tutti così... Vai a lavorare, va'! >> lo cacciò l'uomo, mentre il treno cominciava a muoversi.
<< Giada! Giada, scendi! >> la chiamò disperatamente Rinaldo.
Quest'ultima si affacciò dal finestrino, dopo aver preso posto: fece in tempo a vederlo mentre si accasciava sull'asfalto, sconsolato, poi divenne un puntino che scomparve all'orizzonte.
Marini si rialzò e tornò indietro, non accorgendosi che Iris gli veniva incontro.
<< Che cazzo vuoi? >> berciò, non appena la riconobbe.
<< Si tratta così la donna che hai amato? >> rispose piccata lei.
<< A me non frega più niente di te da molto tempo, ormai >> rinfacciò lui.
<< Non la pensavi così, qualche giorno fa >> ricordò l'una.
<< E allora vuol dire che mi disgusti definitivamente >> stabilì l'altro.
<< Guarda che Giada non l'avrai mai! Hai capito? È già fidanzata e non lascerà mai Giovanni Medina per un poveraccio di provincia come te! La sua famiglia non lo permetterà mai! >> puntualizzò la Cataldo, con soddisfazione.
Marini si girò a guardarla: era uno sguardo freddo, che non esprimeva più neanche la rabbia.
<< Allora vuol dire che il poveraccio toglie il disturbo. Addio, Iris. Trova la tua strada, ma basta che non si incroci con la mia... >> l'ammonì.
Iris lo guardò con gli occhi sbarrati: non lo riconosceva più, forse adesso le mostrava il suo vero volto.

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