Cronache del tempo che fu

Roma, 17 aprile 1944

Erano passati quasi due mesi da quando Giada era tornata a Roma, nella villa dei suoi genitori, e in quella casa così lussuosa e centrale dell'Urbe, dopo tutte le esperienze vissute tra San Felice Circeo e Anzio, si sentiva particolarmente un'estranea; aveva conosciuto la vita semplice ma senza filtri della provincia e la capacità dei paesi di unirsi nel segno della solidarietà; le abitudini dei ricchi e dei nobili romani, in cui lei sguazzava fino a cinque anni prima, le sembrava inutile e sprecata, e non solo a lei: le sue amiche storiche Luisa, Doriana e Astrid erano infatti diventate crocerossine.
Queste ultime le avevano chiesto di unirsi a loro, ma avere a che fare con la Croce Rossa Italiana era per lei una ferita aperta: le ricordava gli attimi di felicità con Rinaldo e la nonchalance con cui lui aveva disintegrato tutto, lasciandosi abbindolare da Iris.
Passava le sue giornate al Caffè Greco e l'unica persona di cui trovava gradevole la compagnia lì dentro, a parte le amiche sanfeliciane, era il commissario Durantini: gli faceva tante domande, specialmente sul misterioso zio Altiero Spinelli, che i suoi genitori erano tornati a nominare solo da dopo l'Armistizio.
<< È un uomo intelligente, proprio per questo ha sempre dato fastidio. Al regime e anche a parte della sua famiglia. Gli voltarono letteralmente le spalle >> le raccontò il poliziotto che una volta era stato il superiore di Cesare Belmonte.
<< Anche i miei nonni, mio padre e lo zio Giulio gli voltarono le spalle? >> domandò la ragazza.
<< Specialmente i tuoi nonni. Erano talmente desiderosi di insabbiare il suo disallineamento politico che presero accordi con i Torrente >> spiegò lui.
Lei lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
<< Che c'entra la famiglia di mia madre? >> chiese perciò.
Nella sua testa, questa rivelazione e il racconto di sua zia Alba, nei giorni precedenti alla partenza per Anzio, cominciavano ad avere strani collegamenti.
<< La loro figlia minore, Arianna, non aveva occhi che per l'ingegner Spinelli. Decisero di celebrare il loro fidanzamento la mattina della Marcia su Roma: un evento importante in un giorno chiave per la politica fascista, il momento perfetto per cambiare argomento >> replicò sarcastico l'uno.
<< Il 29 ottobre del 1922? >> lo incalzò l'altra.
Le tessere del mosaico stavano lentamente iniziando ad incastrarsi.
<< Come dimenticare quella festa? Gli Spinelli invitarono mezza città. C'eravamo anche io e la contessa Orsini. Ricordo che avevo già fatto un po' di carriera. Invitarono anche Rachele Mussolini, mentre gli squadristi del marito invadevano Roma... >> ricordò il primo.
La seconda fece caso a come il racconto del commissario e di sua zia combaciassero alla perfezione.
<< Commissario, devo andare. Grazie della compagnia >> si congedò, correndo verso l'uscita e chiamando un taxi per tornare alla villa.
<< Signorina Giada, vi sentite bene? >> domandò premurosamente Daniela Rossi, la governante degli Spinelli che l'aveva vista nascere.
<< Sì, va tutto bene >> rispose velocemente la giovane.
<< Siete pallida come un fantasma... >> osservò la donna.
<< È che... Non mi sento molto bene. Magari ho preso un colpo di freddo. I miei genitori sono rientrati? >> ribatté la ragazza.
<< No, sono ancora al circolo. Ma non volete che vi prepari una tisana? >> propose l'una.
<< Magari, grazie. Io vado in camera a riposare >> decise l'altra, trovando un escamotage per far allontanare la governante per un po' di tempo.
Fece per andare nella sua stanza, ma poco prima girò verso lo studio di suo padre: sapeva che, qualsiasi cosa stesse cercando, la risposta fosse proprio lì dentro.
Chiuse la porta a chiave dietro di sé, mettendosi a cercare negli scaffali, nei cassetti, tra le carte e i faldoni.
Poi le venne in mente che nella grande scrivania in legno di noce c'era un cassetto segreto, quello in basso a sinistra, che suo padre aveva sempre tassativamente proibito a tutti di aprire.
Trovò la chiave in un piccolo vaso di terracotta e la infilò nella serratura: prese fiato e tirò fuori di lì un blocco di lettere tenute insieme da uno spago; la calligrafia in ogni lettera era quella di sua zia Alba.
L'ultima delle lettere portava la data del 22 ottobre del 1922:

Roma, 29 ottobre 1922

Carissimo Guido,
questa è l'ultima lettera che ti mando: ho saputo del tuo fidanzamento con Arianna Torrente; era un grande evento, ne parlava tutta Roma allo stesso modo della Marcia degli squadristi di Benito Mussolini.
L'ho saputo in prima persona, in quanto sono stata alla villa dei tuoi genitori, dove mi hanno scambiata per una cameriera occasionale e mi hanno dato la lieta novella: all'inizio mi sono chiesta che fine avessero fatto tutti i nostri progetti, poi ho sentito dei terribili dolori al ventre e sono corsa in mezzo alle vie piene di caos fino ad un ospizio per i poveri.
Lì una religiosa gentile, tale Suor Teresa, si è occupata di me e mi ha detto cos'è successo: ero incinta, e ho avuto un aborto spontaneo. Non potrò mai più avere altri figli, ha aggiunto.
Tuo fratello Giulio mi è venuto a cercare, e grazie a lei mi ha trovata: ha promesso che mi sposerà, e che abiteremo a San Felice Circeo.
Non ti chiederò niente, ma almeno consentimi di portare dentro di me il ricordo di ciò che siamo stati e che potevamo essere.
Addio per sempre, tua

                                               Alba

Una lacrima cadde sul nome della zia, che aveva portato in grembo, per pochissimi mesi, suo fratello.
All'improvviso capì perché Alba e Giulio le avevano sempre voluto così bene ed erano stati così attenti con lei: era come una figlia perduta, un risarcimento per quei bambini che non avrebbero mai più riempito il grembo della Ferraro.
Suo padre era stato un debole, sua madre una povera sciocca.
In tutto questo c'era un'unica persona che poteva raccontarle l'intera verità: Suor Teresa, la madre spirituale di Elena.
Decise che il giorno successivo sarebbe andata a trovare la Belmonte in convento.

   

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top