Un uomo di valore

Mosca, 30 settembre 1941

L'autunno era arrivato solo da una settimana, astronomicamente parlando, ma in Russia faceva talmente freddo che sembrava essere già arrivato l'inverno; e restare fermi appena fuori le mura di Mosca, per i soldati dell'esercito italiano, era veramente un supplizio, forse più delle trincee per chi aveva combattuto la Grande Guerra, venticinque anni prima: la neve cadeva copiosa su queste figure non sempre robuste, spesso appartenenti a una fascia di popolazione più semplice, su cui Mussolini aveva fatto leva riempiendola di discorsi su quanto la guerra li avrebbe riempiti di gloria; ma alla fine di quel settembre russo, sotto i fiocchi di neve che cadevano copiosi come a cancellare quegli orrori, non vi era proprio niente di glorioso, nei pensieri dei soldati.
L'unico ad avere il morale un po' più sollevato era Maurizio Filomusi: il ragazzo, comunista fin da quando l'eco di tale partito era arrivata a San Felice Circeo, resisteva a stento alla tentazione di entrare in città a dire ai moscoviti che la pensava come loro, e che sebbene molti suoi amici di infanzia fossero figli di industriali, e che in un'industria navale lui ci lavorava, il capitalismo gli faceva schifo; era il pensiero di suo padre Oreste - sotto le armi insieme a lui - e di sua sorella Elsa che rimanevano soli con quei fascisti esaltati degli altri suoi fratelli Claudio e Mario, e di Elena Belmonte che attendeva con ansia le sue lettere dal fronte, lo portavano a desistere da una simile allettante tentazione.
Ma queste sue responsabilità non gli impedivano di guardare con nostalgia ai tetti spioventi di Mosca ricoperti di neve, ai comignoli fumanti delle fabbriche, alle guglie verdi dei palazzi regali ormai svuotati della nobiltà, delle chiese destituite della loro funzione, con la caratteristica forma a punta di gusto bizantino; e Rinaldo se n'era accorto.
<< Elena lo sa che guardi quelle strutture con più desiderio di come guardi lei? >> lo prese in giro, avvicinandosi a lui con il fucile in spalla.
<< Certo che lo sa. Ma io le dico solo che sono bei palazzi. Se avesse saputo tutta la storia, forse si sarebbe addirittura tirata dalla parte degli zar >> commentò Filomusi, girandosi verso l'amico.
<< Chi l'ha detto che non sappia tutta la storia? Eravamo piccoli all'epoca, ma le notizie arrivavano anche in paese. E non c'era differenza tra uomini e donne, certi argomenti accomunavano tutti >> gli ricordò Marini, ripensando con nostalgia a quei momenti in cui la guerra la percepivano a malapena e non erano costretti a combatterla.
<< Non sto facendo una questione di genere. Solo che Elena non è come mia sorella, che si alza tutte le mattine all'alba per pensare a rifornire noi, e quelli come noi che muoiono di fame sui vari fronti. Non gliene faccio una colpa se non ha mai avuto bisogno di lavorare. Ma Elsa li capirebbe meglio, certi ragionamenti >> motivò l'uno.
<< Elsa è la vera bussola della vostra famiglia. Giada forse invece condividerebbe la stessa opinione di Elena. In fondo anche lei non ha mai avuto bisogno di lavorare... >> puntualizzò l'altro, pensando a due delle donne più importanti della sua vita, insieme a sua madre.
Una volta c'era anche Iris, ma lei aveva scelto di andarsene col gerarca Menotti a Roma; lui d'altronde già non l'amava più nell'esatto momento in cui aveva conosciuto Giada: sapere che la giovane sfollata era rimasta a San Felice Circeo, corteggiata insistentemente da Enrico - che pure aveva messo la sua vita a repentaglio con una gita in mare durante una tempesta - lo faceva sentire un deficiente, lì fermo con migliaia di altri poveracci ad aspettare di piombare sui russi abbandonati al sonno.
<< Proprio non potete fare a meno di parlare di donne, voi due? >> li sorprese Francesco Marini, che veniva loro incontro sorridendo.
<< Abbiamo vent'anni, papà >> obiettò suo figlio Rinaldo.
<< E poi una volta tanto che parlo di qualcosa di diverso dal comunismo... >> intervenne Maurizio, facendo ridere entrambi i Marini.
Ma un brusio e un rumore di passi concitati destò la loro attenzione.
<< Presto, il momento è arrivato! >> li richiamò all'ordine Oreste Filomusi, cosicché gli altri si misero in posizione d'assedio insieme a tutti gli altri componenti dell'esercito.
I russi si erano accorti di essere assediati e avevano cominciato a sparare contro i nemici italiani; quella notte bianca si tinse di rosso.
<< Questi rossi di merda, non potevano abbozzare... >> si infervorò Francesco, ma fu proprio l'entusiasmo a fregarlo: un proiettile, sparato da chissà chi nella notte, lo colpì in pieno petto, davanti a suo figlio.
Rinaldo non ebbe neanche il tempo di soffrire: non avrebbe permesso ai russi di liberarsi di ben due Marini in un colpo solo.

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