Un lungo viaggio

Roma, 24 febbraio 1942

In quei giorni la Capitale era in preda ad un'indicibile frenesia, come se per le strade alla gente fosse impedito di fermarsi a pensare a tutto ciò che stava succedendo; Elsa pensava che chiunque l'avesse fatto sarebbe impazzito: circa due anni prima la maggior parte degli italiani credeva in una guerra che doveva essere veloce, in un capo di Stato considerato alla stregua di un dio, in un'ideologia da cui nessuno si sarebbe mai sentito tradito; adesso il conflitto portava quasi solo batoste, Mussolini si era rivelato per l'uomo pieno di deliri d'onnipotenza che era, e il fascismo appariva ad ognuno come svuotato della sua retorica.
"Chi si ferma a pensare è perduto" diceva per questo la contessa Orsini: la Filomusi non poteva far altro che darle ragione, mentre lei e le sue colleghe correvano in bicicletta da una parte all'altra della città per occuparsi dei più disgraziati e bisognosi.
Cercavano, nonostante tutto, di godersi il panorama dell'Urbe perché non l'avrebbero visto per un po' di tempo: infatti erano state scelte per una missione in Libia; la Battaglia del Mediterraneo imperversava dall'inizio della guerra ma le donne della Croce Rossa non avevano bandiere né schieramenti politici, andavano dove c'era bisogno di cure e carità.
Elsa era emozionata: aveva passato diciotto anni della sua vita a San Felice Circeo e da pochissimo risiedeva a Roma; viaggiare fino in Africa, sebbene non per fare la turista, andava ben oltre le sue aspettative.
Ma il suo pensiero correva anche a Cesare, a quell'appuntamento che le aveva dato prima della sua partenza e alla cosa urgente che le avrebbe voluto dire: la ragazza pensò che si trattasse di qualcosa di vitale importanza, forse addirittura della proposta di matrimonio.
Per questo, sulla via del ritorno a Palazzo Orsini, fece ciò che non avrebbe dovuto fare: fermarsi a pensare. Le sue colleghe fecero lo stesso.
<< Hanno sempre accusato noi romani di starcene con le mani in mano, soprattutto al Nord. Se ci vedessero adesso non ci riconoscerebbero... >> commentò Luisa.
<< Non lo pensiamo. Però è vero, la paura ti porta alla voglia di fare >> sostenne Doriana.
<< E tu sei l'esempio vivente! >> esclamò Astrid, generando le risate di Luisa ed Elsa e il broncio della Bellotto.
<< Ragazze, io dopo il rientro raggiungo Cesare... >> esordì la Filomusi.
<< ... perché il tuo bel poliziotto ti ha dato appuntamento. Sì, è una settimana che ce lo dici! >> la prese bonariamente in giro la Gritti.
<< Se vi sposate ci inviterai al matrimonio? >> domandò Doriana.
<< Certo che vi invito. Ma preparatevi, a San Felice Circeo vi faranno le lastre, per conoscervi >> puntualizzò Elsa.
<< Per il viaggio di nozze non ti preoccupare, posso chiedere a mio padre quali mete siano meno pericolose in questo periodo... >> aggiunse la Ødersen.
La giovane sanfeliciana sorrise alle colleghe: la loro amicizia era cresciuta talmente tanto, in quelle settimane, che sembravano conoscersi da una vita.
<< Grazie, ragazze. Davvero. Se sopravviviamo e mi sposo, vi invito e vi metto nei posti in prima fila >> promise.
Dopodiché inforcarono di nuovo le rispettive biciclette e pedalarono fino a Palazzo Orsini, e da lì le loro strade si divisero.
Elsa cercò di rendersi presentabile, mentre si dirigeva all'appuntamento con Cesare; il suo fidanzato la aspettava alla terrazza del Pincio: con il suo impermeabile grigio e i riccioli neri seminascosti sotto il cappello era davvero bello; se non avesse avuto nel cuore un altro, si sarebbe considerata la donna più fortunata del mondo.
Non appena la vide, il giovane poliziotto agitò la mano; Elsa rispose al saluto, mentre gli correva incontro.
<< Amore mio! >> esclamò lui, prendendole il viso tra le mani e baciandola.
<< Cercherò di ricordare questi baci, una volta in Libia >> affermò lei, rispondendo al bacio.
<< Sei la ragazza con più fegato che io abbia mai conosciuto >> le disse l'uno, ammirato.
<< Cosa mi dovevi dire? >> chiese subito l'altra, morendo di curiosità.
<< È successa una cosa assurda. Luciana si è ritrovata davanti, uscita da Via Panisperna, un tizio americano di nome Jack Carter >> spiegò il primo.
<< Carter? Io ho già sentito questo nome. Me lo disse Iris, prima della guerra... >> dichiarò la seconda.
<< Richard Carter, l'uomo che, secondo la versione di Menotti, è il padre naturale di Iris. Infatti questo Jack cercava proprio lei, la sua sorellastra italiana >> rispose Belmonte.
Quella rivelazione spiazzò letteralmente la Filomusi: era sempre stata convinta che Gianfranco Menotti si fosse inventato tutto per far cedere la Cataldo alle sue lusinghe; sapere che era tutto vero la lasciava senza parole.
<< È suo figlio? >> chiese perciò.
<< Sì >> fece il poliziotto.
<< E perché ha cercato tua sorella? >> continuò la crocerossina.
<< Perché "Belmonte" era l'unica parola chiave che aveva, per la sua ricerca >> spiegò Cesare.
<< Spero che per lei non sia una delusione. È sempre stata una ferita, per lei. Ha mandato all'aria tutto per seguire questa speranza, anche Rinaldo >> precisò Elsa.
<< È per questo che abbiamo deciso di parlarle, tutti insieme >> le comunicò il giovane.
<< Spero che dopo la mia partenza le abbia fatto conoscere anche suo padre >> si augurò la ragazza.
Se tutto ciò fosse stato vero, la sua amica d'infanzia avrebbe trovato la pace che non aveva mai posseduto.

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