Lo sciopero

San Felice Circeo, 15 marzo 1943

Il mese di marzo era cominciato nel più burrascoso dei modi: a partire dal Nord Italia, molte aziende di vari settori - riconvertiti all'industria bellica - avevano deciso di ricorrere allo sciopero per protestare contro le durissime condizioni in cui lavoravano e i ritmi a cui erano costretti; il malcontento per la durata della guerra e le richieste sempre più esagerate del regime aveva portato gli operai e le operaie a scegliere di bloccare la produzione per essere finalmente ascoltati.
Queste notizie avevano allarmato non poco gli industriali del Centro che, sebbene fossero meno, temevano in egual modo di perdere i loro utili.
Le donne di casa Belmonte, rimaste sole e con i loro uomini in guerra, temevano di non poter mantenere il loro tenore di vita.
<< Guardate... Torino, Milano, Genova... Pare che a tutti sia venuta la fantasia di scioperare! >> commentò Livia, leggendo il giornale con le cognate e la nipote Elena.
<< Avete sentito la reazione di Hitler in Germania? Ha lanciato i peggiori insulti agli operai italiani... >> aggiunse Viola.
<< E meno male che questi ultimi non sanno il tedesco... >> ironizzò Cristina.
Elena guardava la madre e le zie come se venissero da un altro pianeta: lei era una privilegiata, non aveva mai avuto bisogno di lavorare per vivere come le sue amiche d'infanzia Iris ed Elsa, ma non capiva nemmeno l'insensibilità della generazione precedente alla sua verso quelle povere persone che non ce la facevano più, che già erano state costrette ad imbarcarsi in una guerra di cui non comprendevano il significato perché in fondo non ne aveva nemmeno uno.
<< Cosa fareste se decidessero di scioperare ai cantieri navali? >> ipotizzò perciò, guardandole negli occhi.
Viola esplose in una risata nervosa, seguita da quelle delle cognate.
<< Cara, ma che dici... Nessuno ci tiene a bloccare la produzione, mezzo paese campa alle spalle nostre. Neanche quel sovversivo di Calogero Romano, che tra l'altro è al fronte. E poi c'è Enrico che tiene la situazione sotto controllo... >> argomentò, cercando di non sopperire all'agitazione.
Ma la porta d'ingresso si aprì di scatto, facendole sobbalzare: era Melissa, la cameriera.
<< Signore, è successo l'indicibile! >> esordì, arrivando in soggiorno col fiatone.
<< Che vuoi dire? >> saltò su Viola.
<< Gli operai dei cantieri navali... Hanno proclamato lo sciopero... E il signorino Enrico è in testa al picchetto! >> esclamò la ragazza, riprendendo fiato.
<< Come sarebbe a dire? >> la incalzò Livia.
<< Andiamo a vedere subito! >> intervenne Cristina, andando a prendere il soprabito.
Le cognate e la nipote la seguirono a ruota: erano talmente agitate da non voler nemmeno arrivare fino ai cantieri navali con l'auto di servizio, corsero a perdifiato fino all'attività di famiglia, davanti alla quale si erano radunati tutti i sanfeliciani rimasti in paese; quello che si trovarono davanti fu uno spettacolo incredibile: molte operaie e i pochi operai non partiti per il fronte si erano messi davanti ai cancelli chiusi col catenaccio, tra striscioni e bandiere rosse; e la cosa ancora più assurda ai loro occhi era il fatto che Enrico fosse al centro del picchetto.
I paesani fecero largo alle tre signore Belmonte, che procedevano lentamente, senza parole per quella scena.
Elena rimase dietro, e fu raggiunta da Giada.
<< Tuo fratello è forse impazzito tutto insieme? >> le domandò senza filtri.
<< Avrà preso ispirazione dal Nord... >> commentò rassegnata.
Una parte di lei pensava che Enrico avesse fatto una scelta drastica, ma dall'altra sapeva in cuor suo che il fratello maggiore avesse ragione: quella guerra era stupida, e gli scioperi erano solo una delle mille maniere per dimostrarlo.

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