La Rosa Bianca

Roma, 22 febbraio 1943

Il fascismo aveva ucciso la cronaca nera, il commissario Durantini non faceva che ripeterlo ai colleghi e agli apprendisti: Cesare non poteva che trovarsi d'accordo con lui, non solo perché era praticamente il suo capo, ma anche perché l'esperienza glielo insegnava da due anni.
L'ultimo vero grande caso di tale ambito che aveva coinvolto l'Italia era stato l'omicidio di Giacomo Matteotti, nel 1924: all'epoca Mussolini si era esibito in un'indiretta ammissione di colpa, dopodiché nessuno ne aveva parlato più.
A dire la verità, nessun giornalista aveva più parlato di omicidi, come se la morte non fosse un argomento di moda; la cronaca nera veniva considerata come un romanzo d'appendice, buona solo per far sobbalzare le signore sulle poltrone; agli uomini del regime dovevano interessare cose vive, attive, come lo sport e la guerra.
Perciò, quando Cesare aveva fatto domanda per entrare in polizia, i parenti l'avevano guardato ufficialmente con ammirazione, ma in realtà con una punta di compassione: avrebbe svolto un lavoro senza gloria, visto che non si poteva nemmeno ricamare troppo sui morti in questione, come se non avessero una storia personale che portasse gli uomini di Stato a capire perché ognuno di quei cadaveri fosse arrivato a quel punto.
Quel pomeriggio, mentre usciva dalla sede, il ragazzo osservò che Roma era diventata l'ombra di sé stessa: con le camicie nere ad ogni angolo, il coprifuoco a una cert'ora della sera e i razionamenti del cibo sempre più stringenti, sembrava di vivere in uno di quei libri che in Inghilterra erano chiamati distopie; l'immagine di un futuro grigio e apocalittico, imposto loro per forza.
Orlando Neri, il produttore di sua cugina Annalisa, aveva detto che gli Alleati progettavano uno sbarco in Italia, a partire dal Sud; in quel clima di caos che ne sarebbe derivato, avrebbe potuto organizzare la fuga di Iris dallo spietato gerarca Menotti, che ormai odiava con tutta sé stessa.
E poi, quando tutto quell'orrore fosse finito, il giovane Belmonte avrebbe potuto sposare l'amata e coraggiosa Elsa, dopo sei anni di fidanzamento.
Era talmente preso dai suoi pensieri da non accorgersi che sua sorella Luciana lo stava chiamando.
<< Cesare! Cesare! >> esclamò, correndogli incontro tutta trafelata. Aveva in mano un quotidiano arrotolato.
<< Luciana! Che è successo? >> le chiese.
<< Guarda cos'è successo a Monaco di Baviera, ai ragazzi della Rosa Bianca... >> lo delucidò la ragazza, aprendo il giornale sull'articolo interessato.
La Rosa Bianca era un movimento studentesco fondato da cinque universitari bavaresi:
Hans Scholl, la sorella Sophie, Christoph Probst Alexander Schmorel e Willi Graf, tutti poco più che ventenni; predicavano la non violenza fondata sui principi del Cattolicesimo, due cose pesantemente denigrate dal nazismo.
Ad essi si era anche un professore, Kurt Huber, che stese gli ultimi due opuscoli.
<< Mio Dio... >> mormorò il giovane, leggendo che erano stati condannati a morte tramite la pubblica esecuzione.
<< Ma ti rendi conto? Avevano la nostra età, e avevano solo espresso la loro opinione... >> disse sconsolata lei, pensando a Bernardo lontano, in Svizzera, che non poteva scriverle.
<< Stai pensando a Bernardo? >> le domandò lui.
<< Non solo. Mi domando a cosa serva essere giovani, se invece di ascoltarci veniamo uccisi, e uccisi vengono anche i nostri pensieri... >> commentò l'una, accasciandosi su una panchina nelle vicinanze.
<< A noi non ci uccidono, Luciana. Siamo sanfeliciani, gente di mare che, se ha coraggio e fortuna, non viene fatta secca neanche dalle onde... >> la consolò l'altro.
Pensare a com'erano cresciuti, forti e risoluti in un paese piccolo ma solido, gli dava la forza di seguire la luce, anche se intorno c'era il buio più totale.

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