La battaglia di Nikolaevna

Nikolaevna, 26 gennaio 1943

Gli Stati dell'Asse RO.BER.TO., in particolar modo l'Italia, avevano sperato che il nuovo anno portasse, se non la vittoria della guerra, almeno la sua fine; nessuno, finito l'entusiasmo generale fomentato da Mussolini, ce la faceva più: né i soldati al fronte, che si ammalavano e diventavano pazzi nelle trincee; né le mogli e i figli, certi di ritrovarsi rispettivamente vedove e orfani ad ogni bollettino radiofonico; né tutti coloro che avevano un'attività, costretti ad accantonare la loro produzione di sempre e a fabbricare bombe, armi e navi per scontrarsi in mare aperto.
In più, la maggior parte dell'esercito italiano si trovava in Unione Sovietica, alle porte della città di Nikolaevna, a morire di freddo in un assedio cominciato a inizio gennaio; molti di loro avevano già conosciuto la crudezza dell'inverno russo, due anni prima: Rinaldo e Maurizio ricordavano bene l'assedio di Mosca, visto che uno ci aveva perso il padre, e l'altro voleva confondersi con la popolazione locale, comunista come lui.
Tiberio invece era nuovo a quel tipo d'esperienza, ma non per questo aveva dimostrato meno valore e manifestato, col tempo, una minore dose di scetticismo verso la retorica fascista con cui tutti loro erano partiti.
<< Che cazzo di freddo... >> bofonchiò, raggiungendo i suoi compaesani, rannicchiati attorno ad un piccolo focolare.
<< Non c'è notte che non mi sogni il clima di San Felice Circeo... >> rispose Rinaldo intirizzito.
<< E mica solo il clima... >> lo prese in giro Maurizio.
<< Ma vaffanculo, va'! E ringrazia che quella risata non ti si ghiaccia in gola... >> lo ammonì Marini, dovendo però ammettere, in cuor suo, che il suo amico aveva ragione: non faceva altro che pensare a Giada, giorno e notte.
<< Come sei aggressivo... Solo perché ormai ha occhi esclusivamente per Enrico... >> cercò di sdrammatizzare Filomusi.
<< L'amore non corrisposto è un tasto dolente >> gli ricordò Belmonte.
<< Iris? >> indovinò Rinaldo. Per lui, la Cataldo era un lontano ricordo ma per il più giovane dei maschi Belmonte era una ferita aperta, mai rimarginata.
<< Io lo so che vuole lasciare quel porco di Menotti e tornare a casa, ma adesso come adesso l'Italia è un campo minato, ovunque vai te la arrischi! E poi lui la farebbe secca! Se potessi aiutarla, diserterei adesso. Cazzo, se diserterei! >> esclamò Tiberio, animandosi.
Non sentiva più molto freddo.
<< Shh! Ti sembrano cose da dire? >> lo rimproverò Rinaldo. Nemmeno lui era d'accordo con quello che stavano vivendo, ma non si potevano fare affermazioni ad alta voce: qualche fascista della prima ora poteva sentirlo e farlo fucilare all'istante.
<< Come se avesse torto... Tutte queste ore ad aspettare cosa? Una risposta ogni tanto? E sapete per me quanto sarebbe facile confondermi con questa folla russa... >> dichiarò Maurizio.
Quasi come se avesse letto nel pensiero dell'esercito russo, dal fronte opposto arrivarono degli spari, prima il suono e poi il bagliore.
<< Alle armi, presto! >> ordinarono le voci dei comandanti Giulio Martinat e Luigi Reverberi.
Non immaginavano che per molti dei presenti sarebbe stato l'ultimo ordine.
Il pensiero di ciascuno era catalizzato su un unico obiettivo: abbattere il nemico, ad ogni costo.

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