CAPITOLO 2. - AGÀPE-
Il sibilio di quel serpente lo rendeva nervoso, ogni bacio che il padrone le dava egli lo trovava disgustoso. Possedeva sottili occhi ostili, una pelle rivestita di scure squame briose e un capo piccolo e perfetto per il palmo di Gavriel.
Così innamorato di quel rettile, che lo coccolava come un infante, lo baciava e ci conversava.
Lilith si trovava bene assieme il suo padrone, si atteggiava tale a una figlia sotto l'ala sua. Non era curante della presenza del pittore, continuava a muoversi e cambiare posa.
Fu un duro lavoro per Loris doverla ritrarre, ma dopo svariati tentativi e pose scartate, l'uomo era riuscito a dipingerla.
Tuttavia, a causa della perdita di tempo, il disegno arrivò incompleto allo scoccare delle tredici.
«Come sta venendo?» chiese Gavriel.
Loris gli narrò di quanto fosse stato complicato per lui disegnare Lilith.
«Ma sono a un buon punto, uno di questi giorni lo finirò» disse.
Dopodiché cominciò a cogliere i propri attrezzi, pronto per dirigersi verso casa. Ma Gavriel, a cui faceva piacere stare assieme a Loris, gli domandò se si poteva trattenere per pranzo.
Loris, che in cuor suo lo aveva previsto, rimase chinato verso la custodia degli acrilici a fissare le proprie dita sfumate dei colori dello sfondo. Suo figlio si trovava a casa in compagnia di sé stesso, la presenza di Lilith lo disturbava e l'idea di stare assieme a Gavriel, uomo dal canto suo con una grande immagine di sé, lo indignava.
«Conosco un bel posto dove potrei portarti» disse il signor Heinrich, ma sebbene l'espressione di Loris fosse già contraria, egli non considerò di rievocare l'invito.
Era testardo come l'acciaio, deciso a conquistare quel cuore di ghiaccio.
«Ma signor Heinrich, non deve» rispose Loris.
Il suo sorriso era contrario al cuore, sperava di riuscire in qualche miracolosa maniera di potersi sottrarre da quell'invito.
Non ci sarebbe andato a pranzo con un uomo che baciava serpenti, che si poneva sotto il sole come i farisei in preghiera, ipocrita e orgoglioso come il diavolo. Non si sarebbe mai contaminato con una persona del genere, non avrebbe mangiato alla sua stessa tavola.
Ma secondo Gavriel, Loris Anderson era una perla da conquistare, una rosa dalle molte spine. Ci avrebbe impiegato molto, e anche se ricco e ben mantenuto, non poteva comprare il tempo e l'amore suo.
"Pazienza" era la parola chiave, e poiché cresciuto in un umile cottage distante dai margini della città, conosceva molto bene quella parola.
Loris non poteva fuggire da quella corte, e se solo avesse saputo quanto Gavriel fosse innamorato e deciso a sposarlo, sarebbe sicuramente fuggito da quel fato.
«Non preoccuparti» rispose Gavriel alzandosi dal lussuoso divano. Portò la sua bimba nella propria custodia di vetro e si legò la vestaglia, poi si portò al pittore e alla tela per poter ammirare di persona l'opera.
«Hai un talento pazzesco, Loris»
Il pittore cercò di allontanarsi, ma era impossibile scampare da quegli occhi color verde prateria, i quali calarono pericolosamente alle sue sottili labbra rosee.
L'uomo cresciuto nel cottage, venerava quei due petali di rosa e si chiese se fossero abili come le mani. Fantasticava sul loro gusto e sulla morbidezza, le labbra di Loris erano fatte per sposarsi con le sue, pensava, Dio le aveva disegnate in quella maniera apposta per trovare unione con quelle di Gavriel.
"Caramello? Confetto o sorbetto? Di che sanno le labbra di un pittore vedovo?" Si domandò. In tutto ciò, Loris era agitato e oppresso dalla presenza di Gavriel premuta contro il suo prezioso spazio vitale.
Conosceva e capiva i colori e le tecniche artistiche, ma non era capace di comprendere lo sguardo innamorato di un uomo celibe.
Loris confessò di dover preparare il pranzo per il figlio, altrimenti quest'ultimo non avrebbe potuto mangiare. Gavriel comprese ma non si arrese, Loris si sarebbe seduto a tavola con lui, se non in quel pomeriggio, dunque la sera, nel suo terrazzo sotto un cielo stellato.
«Allora cena da me questa sera, voglio offrirti una delle specialità di Genna» disse.
Loris si trovò con le spalle al muro, non possedeva più scuse nella tasca e si sarebbe sentito colpevole davanti a Dio se avesse mentito di nuovo, di conseguenza dovette accettare la gentile offerta.
«Come rifiutare? Mi farebbe piacere...»
Il cuore di Gavriel si colmò di gioia e garantì al pittore che non ne sarebbe rimasto deluso.
Loris non poteva credere di aver accettato di cenare con l'uomo che non sopportava, doveva trattarsi di una messa in scena, Gavriel stava sicuramente seguendo un copione. Ma quando si voltò verso la direzione in cui doveva esserci il pubblico, ecco che realizzò che era tutto vero.
L'uomo fissò l'appuntamento per le diciannove, Loris, scioccato del fatto di non trovarsi in una sorta di commedia, annuì e promise che si sarebbe presentato puntuale.
Melodia per le orecchie del signor Heinrich, tra le sue guance comparve un tenero sorriso.
Sarebbe stata quella la sera in cui si sarebbe dichiarato? Sarebbe stata quella la notte in cui avrebbe finalmente visto e toccato il corpo del suo amato? L'amore suo sarebbe stato corrisposto?
Era da scoprire, Gavriel era un uomo di fantasia, ma si era stancato di sognare a occhi aperti scenari immaginari.
Quando la sera calò, Loris dovette riguardare più e più volte l'orologio.
Non poteva credere che fosse già passato così in fretta il tempo, le lancette si stavano avvicinando all'orario dell'appuntamento in una velocità tale al volo di una farfalla.
«Non avevi detto che dovevi uscire a cena con il signor Heinrich? Sono quasi le venti» gli ricordò il figlio, seduto sul tappeto con le ginocchia rivolte verso un puzzle quasi terminato.
Il padre lo guardò e poi riguardò l'orologio alla parete.
«Continuo a perdere la cognizione del tempo» rispose.
Si era appena riposato sulla poltrona per leggersi un libro, ma colto da un leggero sonno, si era concesso giusto un po' di riposo.
Non si era accorto di essere scivolato nel profondo, l'odore di pagine lo avevano dolcemente cullato e indotto in quel sonno abissale.
«Posso venire?» propose il figlio, curioso di assaggiare la cucina di un uomo ricco e di gustarsi del cibo sotto un cielo di stelle. Ma Loris glielo negò, e gli rammentò del fatto accaduto il giorno prima.
«Devi allenare la tua autodisciplina, resterai a casa per concentrarti sullo studio»
Il ragazzo ricordò e annuì, giurando che avrebbe speso le ore a studiare.
«Quando finirai di studiare, fatti una doccia, prepara il materiale e i vestiti per domani, dopodiché coricati. Al mio ritorno ti voglio a letto» proseguì Loris, ancora frustrato per quel voto.
«Va bene. Ma papà, se nella verifica successiva dovessi prendere il massimo dei voti, mi lascerai...» ma ancor prima che il ragazzo potesse finire la richiesta, l'uomo gli pose il palmo della mano di fronte il viso e lo interruppe.
William lo aveva previsto, perciò non si sorprese di vedere quella mano scoperta di fronte la sua faccia.
«I doveri non meritano ricompense, solo i sacrifici. La tua condotta scolastica è un dovere che devi adempiere, intesi? La tua unica ricompensa sarà l'orgoglio e la soddisfazione finale» pronunciò il padre.
«Tuttavia, fammi sentire la tua richiesta»
Ma ormai il figlio non aveva più la voglia di finire la sentenza, la risposta del padre era stata rigorosamente chiara.
«Vabbè, nulla» rispose disponendo uno degli ultimi tasselli nel suo predetto posto.
L'uomo s'irritò e gli ordinò di finire la frase.
«Tanto mi dirai comunque di "no", non ha senso dirtelo» ribatté.
Il rompicapo era ormai finito, a terra, alla sua destra, rimanevano solamente quattro tasselli.
«Dunque perché hai chiesto?» domandò il padre, curioso di vedere se il figlio sarebbe stato capace di condurre ogni singolo tassello al proprio posto al primo tentativo.
«Chiedere è la metà di avere...me l'ho dici tu» rispose il giovane, che prese da terra il quartultimo pezzo, e lo porse subito nel cuor e del puzzle. Dopodiché raccolse il terzultimo, incastrò anche quello, poi il penultimo, e infine l'ultimo, che andava messo esattamente in alto.
L'immagine del puzzle era finalmente completa, "la volta della cappella di Sistina" aveva preso vita sopra quel tappeto.
Il padre ammirò e gettò una lesta occhiata alla scatola del contenuto, per scoprire così che si trattavano di ben cinquemila pezzi. Il fatto che William fosse stato capace di terminarlo nel giro di due orette era abbastanza notevole, Loris questo lo riconobbe.
«Ascolta, ora devo andare, tu fai quello che ti ho detto»
Si erse da quella poltrona su cui ormai aveva lasciato la propria impronta, si diresse poi verso il bagno e cominciò a prepararsi, e poiché non era un appuntamento desiderato, non si preoccupò troppo dell'apparenza. Si sarebbe presentato in basici pantaloni beige, una classica camicia dalle maniche a tre quarti e un colletto semi francese.
A differenza di Gavriel, che per l'occasione si era vestito con un elegante abito spezzato. Genna gli era stato accanto, nemmeno un singolo capello si trovava fuori posto.
Quella poteva essere una notte speciale, una di quelle illegali da dimenticare.
Aveva persino profumato il letto con una leggera aroma, così se per caso Loris si fosse lasciato conoscere, gli avrebbe fatto i complimenti per il grazioso profumo.
Era entusiasta, le diciannove si facevano sempre più vicine e la tavola in terrazza era appena stata finita.
Ogni posata e tovagliolo si trovava al proprio medesimo posto, Gavriel però allontanò i camerieri e controllò comunque di persona.
Doveva essere tutto perfetto per il suo Van Gogh, non poteva permettersi banali errori di cucina, sapeva che l'amato suo se ne intendeva un po'.
Quando le diciannove scoccarono, i camerieri accolsero all'ingresso il signor Anderson, alcuni di loro erano sorpresi di come si fosse vestito per la elegante occasione.
Ma quando Gavriel si precipitò in soggiorno, si fece quasi sfuggire un clamore quando vide il proprio amato con i capelli ramati raccolti in un morbido chinion, quel suo viso dritto lo indebolì e gli mancarono quasi le parole.
«Mi fa piacere che tu sia giunto in perfetta ora, avanti, seguimi» disse.
Loris si lasciò condurre verso la grande terrazza della dimora, lì c'era apparecchiata una piccola tavola.
"Non immaginavo che il tavolo sarebbe stato così piccolo, i nostri sguardi saranno costretti a incrociarsi spesso e le punte delle nostre scarpe si sfioreranno" pensava.
Si accomodarono entrambi e Loris desiderava già poter tornare a casa dal proprio adorato figlio.
«Non è meraviglioso?» chiese Gavriel guardando il tramonto.
Loris lo guardò a stento e issò leggermente le spalle, totalmente indifferente verso il panorama.
«Vero, è più spettacolare nei tuoi dipinti» aggiunse l'uomo.
Loris sorrise e si portò in bocca un pezzo di pane posto nella cesta in mezzo alla tavola.
«Come sta tuo figlio?» domandò Gavriel, contento di sedere a tavola con l'uomo di cui era innamorato perso.
«Bene, è a casa che studia» rispose Loris.
«Che bravo ragazzo, farà strada, me lo sento»
«Sì, è molto bravo»
Il pittore, con il pane ancora tra le mani, per reprimere la pressione e l'imbarazzo che regnava in lui, cominciò inconsciamente a giocare con la tenera mollica.
Gavriel lo guardò perplesso e si domandò cosa mai stesse disturbando il suo amato, pensò che lo scenario non fosse di suo gradimento, o che fosse semplicemente troppo caldo per cenare all'aperto.
Non capiva, e vedere il tavolo innevarsi di mollica lo preoccupò.
Non sapeva che in realtà, ciò che tormentava Loris era solo pura e innocente insicurezza.
Anderson non era capace di guardare la gente negli occhi, distoglieva lo sguardo o si concentrava a fissare il naso o le labbra di colui o colei che aveva di fronte. Quando Gavriel se ne accorse, s'incolpò di aver scelto una tavola così piccola.
Un solo passo in avanti, e i loro piedi si sarebbero toccati.
Uno respirava la fragranza dell'altro, quella del signor Heinrich ovviamente pungeva molto di più, quella del signor Anderson invece era molto più leggera e quasi fievole.
Dopo qualche minuto di attesa, dalla cucina giunse il primo piatto della serata.
«Questo è il Maultaschen, ravioli del Baden-Württemberg e della Svevia»
Descrisse Gavriel mentre entrambi i piatti venivano posti dinanzi a loro.
Loris si calò leggermente gli occhiali per poter guardare meglio quei sacchi di pasta ripieni.
Il padrone di casa non esitò, e benché familiare con quel cibo, fece il primo boccone. Loris al contrario, che conosceva solo la cucina canadese e italiana, titubò al primo assaggio, convinto che avrebbe dovuto fingere.
«Mia madre me li cucinava spesso quando ero bambino, al tempo vivevo ancora a Francoforte» disse gustando con malinconia, Loris masticò e cercò di farsi un'idea di ciò che aveva in bocca.
«Come sono?» chiese Gavriel, Loris inghiottì e rispose.
«Buoni»
«Genna è una maga ai fornelli, io non riesco nemmeno a farmi un panino senza dover bruciare o far cadere qualcosa. Sono negato in molte cose»
Ridacchiò, ma Loris, concentrato a conoscere ciò che aveva in bocca, non rispose.
«Cosa ti rende così taciturno?» chiese Gavriel.
«Non ho nulla di particolare da dire, signor Heinrich» disse.
«Parlami un po' di te, dove sei cresciuto?»
Se non che fossero stati così vicini l'uno all'altro, Loris avrebbe issato gli occhi e soffiato. Odiava essere sottoposto agli interrogatoi, specialmente se riguardo a fatti personali. Ma fu costretto a rispondere, e per buona educazione, rispose.
«Sono cresciuto in una zona rurale con i miei genitori e mio fratello» narrò.
«Sempre qui o all'estero?» chiese curiosamente l'uomo.
«Sempre qui»
«Cosa facevano i tuoi genitori?» chiese.
«Mio padre era un insegnante di letteratura nelle scuole private, mia madre invece faceva la casalinga»
«Com'è crescere con un fratello?»
«Non saprei, io e Loren non abbiamo mai avuto un forte legame. Eravamo troppo diversi, un po' come Caino e Abele»
«Chi era Caino?» domandò, l'interesse cresceva man mano che Loris calava nei dettagli della propria vita condotta nelle pianure.
«Lui era geloso di me perché ero favorito da mio padre» dichiarò fiero.
Gavriel covò invidia verso il pittore, nato e cresciuto in una calorosa famiglia composta da un padre e una madre. Egli possedeva solo un genitore ed era figlio unico, non conosceva l'amore di un uomo e non conosceva l'affetto di un fratello o una sorella.
Anelava a quella vita da perfetta famiglia americana bianca, ma le sventure e gli errori della madre glielo avevano negato.
«Com'è essere un papà? Cosa si prova a crescere un figlio?» chiese.
«È un percorso, ognuno lo percorre a proprio modo, o seguendo le orme dei propri genitori, oppure improvvisando. Crescere William per me è stata come una camminata lungo una foresta, l'ho cresciuto da solo ed è stato un continuo imparare»
«Se solo mio padre fosse stato come te» disse con tono malinconico, Gavriel era stato abbandonato dal padre quando ancora giaceva nel grembo di sua madre, odiato ancor prima di nascere da colui che lo aveva generato.
«Forse non si sentiva pronto» suppose Loris, che ovviamente non stava dalla parte di quell'uomo.
«In realtà temeva che sarei nato disabile, quando ero in pancia i medici scoprirono che avevo un problema al cuore e di conseguenza supposero che sarei nato mongoloide. Quella notizia lo scosse e quando mia madre gli disse che non avrebbe abortito, lui l'abbandonò»
Quel breve racconto spezzò il cuore freddo del pittore, non riusciva a credere alle sue orecchie e nutrì rabbia verso il padre di Gavriel.
Quest'ultimo, per alleggerire l'amaro sui palati, porse a Loris del vino.
Mentre riempiva il bicchiere all'orlo, si lasciò incantare da quei cieli chiari che andavano in contrasto con i colori del tramonto.
«Hai un bel colore degli occhi» confessò.
«Ne ho visti di occhi azzurri, ma i tuoi sono i più belli che io abbia mai visto
Da chi li hai presi?»
«Mia madre» rispose Loris, abbastanza lusingato da quell'elogio.
«Sono favolosi, peccato non poterli ammirare sempre» disse Gavriel.
Loris non trovò parole con cui ringraziarlo, era imbarazzato dal momento che nessuno dopo la morte di sua moglie gli aveva rivolto tali complimenti. Agli occhi suoi, quando si guardava allo specchio, non si credeva di bell'aspetto e spesso si domandava come avesse fatto una donna come Clara a innamorarsi di uno come lui.
Il fatto era che aveva poca autostima, si credeva perfetto solo nel disegno, ma anche in quello ultimamente dubitava.
«Lei ha avuto mogli?» chiese.
Gavriel restò sorpreso dalla domanda, pensò che quella fosse una maniera per scoprire se avesse avuto relazioni.
«No, non ho mai avuto alcun tipo di relazione» confessò quasi timido, Loris non poteva credere che un uomo bello e ricco come il signor Heinrich, non avesse mai avuto una sola donna.
«Un uomo come lei?» chiese.
«Strano vero? Chi mai direbbe che un uomo come me, non ha mai avuto donne? Possiedo un jet tutto mio, ho tre ville costruite in Europa, camerieri al mio servizio e un pitone moluro. Mi basta strisciare la carta per avere ciò che voglio, ma l'amore, quello non si può comprare»
«Ci sono molte donne a cui farebbe piacere stare con uno come lei» disse Loris per dargli speranza, ignaro del fatto che la persona che egli desiderava era solo lui.
«Se tu fossi stato una donna, mi avresti amato?» domandò l'uomo.
«Se fossi nato donna, credo che i miei mi avrebbero dato in sposa a un uomo scelto da loro. Non avrei avuto scelta o possibilità di stare con lei» rispose Loris.
«Io ne ho avute molte di donne che mi hanno amato, ma io le ho sempre ignorate e respinte. Ho spezzato molti cuori e frantumato tanti sogni. Ora sto raccogliendo ciò che ho seminato nella mia gioventù, ora so come ci si sente a non essere considerati»
"Si coglie quanto seminato" pensò il pittore, grato che il karma avesse colpito anche Gavriel.
«Sono innamorato della stessa persona da molto tempo, ci conosciamo un po', però lei non mi ha mai guardato» disse, pensando che a breve sarebbe giunto il perfetto momento per aprire il proprio cuore.
Il cielo era bello, la luna vegliava, i lumi nello sguardo di Loris era un forte richiamo alla sua indole e il cuor suo tremava agitato.
«Forse deve darle tempo, sarà una donna timida» disse Loris, curioso di conoscere chi mai era la donna di cui Gavriel era perdutamente innamorato da tempo.
«Non è timidezza» disse, perché conosceva l'uomo che aveva dinanzi.
Loris non era timido di gettarsi in una relazione, solo immune ed estraneo a ogni corte.
Ma quando Gavriel calò nella descrizione di quella persona, le labbra del pittore si dischiusero e gli occhi suoi scintillarono di sorpresa.
«Mi mancano le parole quando guardo quei suoi occhi azzurri cielo, impazzisco al suono della sua voce seria e priva di vita. Non capisco che cosa accade al mio corpo quando vedo quei suoi lunghi capelli ramati...»
I denti della forchetta rimasero nel corpo di quel raviolo, la gamba sua prese a vacillare e il suo corpo bramava di scomparire da quel terrazzo.
«L'amo, ma non so cosa fare per conquistare il suo cuore. E magari anche il suo corpo»
Era poco più che palese che quella donna fosse lui, oppure si trattava solo di una innocua coincidenza. Non era l'unica persona al mondo ad avere gli occhi azzurri e i capelli ramati, poteva essere qualsiasi donna.
Ma gli occhi del signor Heinrich parlavano chiaro, quello era lo sguardo di una persona innamorata.
«Loris» cantò quel nome come se avesse la bocca di miele e la primavera nello stomaco, era lo stesso nome che evocava quando si abbandonava al vizio solitario.
«Mi piace stare con te, la tua presenza presso Eden mi dona confortezza»
«Mi fa piacere, signore» balbettò Loris sistemandosi gli occhiali.
Dopodiché, il signor Heinrich avvicinò la propria mano e la condusse su quella del pittore. Anche le sue scarpe si fecero vicine alla gamba di Loris, nutrendolo così solo di ribrezzo e confusione.
Unì i pezzi del puzzle e realizzò che il suo cliente era innamorato di lui.
"Assurdo" pensava indignato.
Quello non poteva essere vero, si trattava di una burla riuscita bene.
Ma la voce di Gavriel non tremava e diceva il vero.
Gli cadde un pezzo di cielo addosso, gli si formò un nodo allo stomaco, e adirato ritirò la propria mano da quella dell'uomo.
Gavriel erse lo sguardo e lo guardò confuso, quel gesto gli spezzò l'animo e il cuore si fece improvvisamente rigido.
«Signor Heinrich, se lei è intenzionato a volere di più da me, la informo già che non sono affatto interessato. Tuttavia non approvo alcun tipo di relazione che non rientri nella norma»
La sua voce improvvisamente non piacque più a Gavriel, non suonava più naturale e priva di vita, ma salata di odio e disprezzo.
«Nella norma?» replicò stranito allontanando anche la sua di mano.
«Come uomo e donna» disse Loris.
«Vedo» Gavriel comprese di trovarsi di fronte a un uomo che serbava avversione verso l'omofilia, ma per quanto fosse doloroso, il suo amore non venne a meno. Lo amava comunque e sperava ancora di poterlo farselo suo.
«Io sono suo pittore, lei è mio cliente. Desidero che le cose rimangano così» disse Loris.
«Va bene, non c'è problema, posso capire. Non ti costringo a compiere nulla che vada in contro ai tuoi statuti morali»
Detto ciò sorseggiò un po' del vino per sciacquarsi la gola.
«Va pure a casa, tuo figlio è solo» concluse.
Loris non era nemmeno riuscito a finire il pasto, ma non gli dispiacque, non gli era piaciuto.
Colse l'invito ad andarsene senza obiettare, ma si promise che non ci avrebbe messo più piede in quella prestigiosa dimora.
"Io non disegno per i pederasti" pensava lasciando la terrazza, e lasciando il signor Heinrich con un cuore ferito e una cena amara da consumare da solo.
Se non che fosse già abituato alle brutte notizie, Gavriel riuscì a trattener e non versò nessuna lacrima. Ma in realtà avrebbe voluto ringhiare di frustrazione e ribaltare la tavola.
Loris fece ritorno a casa con un'immagine del signor Heinrich totalmente diversa, il suo corpo era giunto in soggiorno ma la sua mente era ancora su quella terrazza.
"Dunque lo faceva per amore?"
Quegli assegni, le lusinghe e gl'inviti alle mostre e ai pranzi.
Gavriel era semplicemente innamorato.
"Che abominio" credeva Loris, del tutto schifato all'idea di essere nel cuore di un uomo.
E il pensiero di due uomini baciarsi e conoscersi era assai terrificante, avrebbe preferito farsi molestare da una bestia piuttosto che un uomo.
Si tolse le scarpe e gli abiti di dosso, e con gl'indumenti appesi al braccio, salì per le scale.
Giunse in camera di suo figlio dove lo trovò beatamente appisolato nel proprio letto, comodo giacente in un sonno profondo.
Il libro di storia era stato lasciato aperto sulla scrivania, Loris si avvicinò, lo chiuse e cercò dove poterlo mettere.
Aprì uno dei cassetti e porse lì dentro il libro, ma prima di chiuderlo qualcosa di chiaro, che ergeva in quella stanza quasi buia, catturò il suo occhio.
Tese la mano e dal fondo del cassetto, soppresso tra libri e fogli, tirò fuori quello che sembrava essere un reggiseno.
La vista di quell'indumento lo scioccò e colto dallo sgomento si voltò verso il ragazzo.
«William»
Ma egli stava profondamente dormendo.
Si domandò come mai avesse un reggiseno della madre in stanza, e saltando da un pensiero all'altro, arrivò a una conclusione.
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