9.
Il ragazzo si trovava nella sua stanza disteso lungo il letto, scodinzolava le gambe mentre nutriva di odio le pagine del diario.
Proprio come il padre, anch'egli possedeva un talento artistico.
Attraverso gli scarabocchi esprimeva ciò che a parole non riusciva, personificava la propria rabbia, la tristezza, la paura e lo sconforto.
"I brufoli quando scomodi ed evidenti bisogna schiacciarli, però dopo fanno ancora più male e rovinano il viso. Se le cimici vengono pestate, sprigionano un cattivo odore, e se si ammazza l'ape, essa poi non produce più miele. Ma come si possono risolvere i problemi senza subire ripercussioni? I gatti uccidono ma nessuno fa niente, perché ad alcuni è concesso mentre ad altri no? L'odio che ho verso mio padre è molto profondo, ma allo stesso tempo, lui è tutto ciò che ho... ed è forse per questo che lo amo così tanto. Perché è tutto ciò che ho?"
Immerso nello sfogo, in quello stagno di pece in cui rigettava la negatività accumulata, il ragazzo non si accorse della presenza del padre alla porta, giunto silenziosamente poiché incuriosito dal sottile fruscio dalla matita lungo la flebile carta.
«Will?»
Colto di sorpresa, il giovane sussultò e chiuse immediatamente il diario. Lo premette come se timoroso che l'oggetto si sarebbe fatto sfuggire un segreto, o che cascando, le parole all'interno sarebbero corse via.
«Scusa, non volevo spaventarti. Che cosa scrivi?» chiese curiosamente il padre facendosi leggermente vicino, ma il figlio strinse a sé tutti i suoi segreti quasi sull'orlo di assorbirli dentro il petto. Si sarebbe gettato dalla finestra seduta stante se il padre gli avesse sottratto il diario.
Quell'azione offese Loris, ma lo fece anche riflettere molto.
"Dunque mio figlio ha segreti" pensò con sguardo investigativo, lesse ogni piccola smorfia involontaria sul visetto timido del ragazzo: dal tremore nel suo respiro, all'incertezza negli occhi, e al vizio ereditato dalla mamma nei momenti di disagio: addentarsi le labbra.
Rimembrò le parole di quella donna, ma benché sopraffatto dall'orgoglio, non le prese molto in considerazione.
«Sei comodo a scrivere sul letto?» chiese.
William si rese conto di essersi cacciato in una di quelle situazioni dove solo un miracolo avrebbe potuto tirarlo fuori, suo padre lo sospettava ed era fatuo negarlo dinanzi quell'espressione severa. Era così disperato, che non pensò a una scusa migliore per deviare l'attenzione del genitore altrove. Erano poche le opzioni, tuttavia non c'era tempo per pensarci a lungo.
«È pronto da mangiare?» domandò «Ho fame»
L'uomo s'interessò al diario che il figlio sembrava voler accogliere nelle proprie membra, sapeva che lì dentro si celavano molte cose a lui negate.
Dal canto suo, William non poteva avere segreti, erano sempre stati loro due contro il mondo. Non era leale in un rapporto come il loro possedere dei segreti.
Ciononostante, quello non sembrava essere il buon momento per una contesa, dopotutto il ragazzo aveva già subito un attacco di panico dovuto all'ennesimo rimprovero. Questa volta avrebbe eseguito le sue investigazioni con calma, senza dover per forza preoccupare il figlio di dover alzare troppo la guardia.
«Sì caro, è pronto da mangiare, ho fatto un po' di carbonara» rispose, e lasciò scorrere ogni frustrazione accumulata dalla scoperta dell'esistenza di quel dannato diario.
«Scendo tra qualche secondo» disse William, in attesa che il genitore abbandonasse una volta per tutte la sua stanza.
Loris comprese anche quello, dopotutto, chi non era stato un quindicenne?
"Ovvio che possiede dei segreti" gli disse la donna mentre camminava lungo il corridoio.
«Mio figlio non può avere segreti, sono suo padre, non un estraneo. Perché ha un diario? Che cosa ci scrive? Che cosa gli dice di me? Devo leggerlo, io devo sapere che cosa mi nasconde» rispose irrequieto, facendo issare gli occhi della donna.
"Sei così paranoico, così evasivo, così permaloso. Per questo il nostro matrimonio è andato in rovina"
«No Clara, il nostro matrimonio è andato in rovina per colpa tua» ribatté Loris, profondamente oltraggiato dalle parole partorire da quel pesante rossetto rosso, riconosceva di essere un uomo abbastanza permaloso, ma non si vedeva nei panni dell' evasivo e paranoico, quel titolo non gli si addiceva affatto.
Mentre discuteva con la mogli e, il figlio uscì dalla stanza, attirato dalla voce irrequieta del padre, e quando camminò per il corridoio, lo sorprese tenere una seria conversazione con il nulla. Muoveva le labbra, gesticolava e pareva attendere il suo turno prima di parlare. Ma davanti a lui non c'era alcuna sagoma, nessuna ombra e nessuna presenza carnale.
Pensò dunque a uno spirito, o che stesse conversando con Dio. Ma non lo avrebbe mai fatto con quel tono di voce.
«Perché parli da solo?» domandò preoccupato.
La sua presenza e voce fecero allontanare la madre, e il povero Loris venne richiamato nella realtà, luogo dove la donna non c'era.
«No, non sto parlando da solo» rispose il padre, cercando di indicare la figura della donna davanti a lui, o meglio, nella sua testa, forse presente in un'altra dimensione. William non avrebbe compreso, spiegarglielo sarebbe stato tempo perso, pensava Loris.
«Vai a mangiare» disse.
Il ragazzo, giusto un po' titubante, obbedì al genitore e si recò al piano di sotto dove lo attendeva il pasto.
Se ne sarebbe presto dimenticato, tuttavia, non era la prima volta che vedeva il padre parlare da solo, ma in quel momento era proprio come se qualcuno fosse davvero stato lì con lui, altrimenti, non si spiegava come mai facesse quelle pause tra una frase e l'altra, come per acconsentire all'altra persona di parlare.
Era ambiguo, ma se lo lasciò scorrere, magari stava recitando un discorso che avrebbe dovuto tenere presto con qualcuno.
Il padre, oramai solo in quel corridoio, raggiunse il figlio nella cucina, si sedette a tavola e cominciò anche lui a mangiare.
Il ragazzo celò un sorriso, gli piaceva mangiare assieme a lui, gli ricordava i piacevoli banchetti che facevano in giardino durante i pomeriggi d'estate. Inoltre la pasta era molto buona, ogni boccone era una letizia per il palato. Futile porre dei complimenti, Loris sapeva già di essere bravo a cucinare.
Mentre si gustavano in silenzio il pasto, il cellulare di Loris si accese, mostrando sulla schermata una chiamata in arrivo. Vibrando, il dispositivo aveva cominciato ad allontanarsi dal piatto, ma l'uomo non osò rispondere.
«Perché non gli rispondi?» chiese il ragazzo.
«Non ho voglia» rispose Loris.
Era il signor Heinrich, chiamava per sentire come stava il suo adorato pittore. Ma Loris si sentiva ancora molto turbato da quella dichiarazione, non riusciva ancora a concepirlo, era altamente surreale che quell'uomo fosse innamorato di lui. "Che idea immonda" pensava indignato mentre con la mano si toccò la guancia che quella sera venne accarezzata.
Quando arrivò anche la seconda chiamata, Loris non rispose. Lo lasciò vibrare a lungo fino alla terza chiamata, ma il signor Heinrich a quel punto, capì di non essere molto desiderato, il suo Van Gogh lo stava ignorando.
Loris continuava a mangiar sereno la pasta in compagnia del figlio, il quale, non cessava di chiedersi come mai il padre stesse ignorando il suo cliente. Dopotutto Gavriel era la loro gallina dalle uova d'oro, era grazie alla sua generosità se stavano economicamente bene, provocarlo in quella maniera lo avrebbe indotto a respingerli.
Doveva di certo esserci un motivo, conosceva bene suo padre, non reagiva in tal modo se non prima indotto a farlo.
Quest'ultimo nel frattempo aveva già rivolto i propri pensieri altrove, non stava più pensando a Gavriel, bensì al figlio.
Solcava nella sua mente, la voce della moglie del pastore e tutte quelle parole che diceva.
Ora l'esistenza di quel diario, era ponte di quelle frasi, un'antitesi alla sua tesi. Forse, non conosceva così bene il ragazzo come sosteneva.
"Non esiste nemico peggiore. Un diario tenuto nascosto da un genitore, è assolutamente irrispettoso. Quale figlio si tiene per sé i segreti? Perché è diffidente nei miei confronti? Ho fatto qualcosa che ha rovinato la sua fiducia? Per caso non me la merito? Arriverò affondo di questa faccenda". Pensava.
«Perché c'era il reggiseno di mamma in camera tua?» la sua domanda raccolse William come una mela caduta da un albero, si fece rosso melograno e rischiò quasi di soffocare con il boccone che aveva in bocca.
«Beh, credo sia solo la pubertà, ti stai interessando ad altre cose...» proseguì il padre, e la sua deduzione, sollevò immediatamente il ragazzo.
«Già... uhm, io ero solo un po' curioso di vedere, ecco» dichiarò.
Quella realtà era migliore di quella vera, se il padre avesse scoperto del suo amore verso gl'indumenti e gli accessori femminili, lo avrebbe sicuramente legato a un albero per bastonarlo a morte.
Loris cercò di essere calmo e comprensivo, dopotutto anch'egli era passato per quel percorso interessante di conoscenza e curiosità. La rabbia non avrebbe di certo aiutato William, e anche se leggermente furioso, continuò a parlare a tono contenuto.
«Quando un ragazzo cresce, non solo il suo corpo cambia, ma anche la sua mente e... ecco, i tuoi interessi diventano altri e alcune parti di te si sviluppano. Crescono i primi peli della barba, quelli pubici e...»
Ma man mano che farneticava parole, Loris si accorse di non avere molto controllo di quel che diceva, era un argomento delicato e non si era mai preoccupato di doverlo affrontare.
Nondimeno, il figlio era anche poco concentrato.
«Non te ne devi vergognare, è normale voler conoscere come funziona il corpo della donna. Hanno un meccanismo affascinante e lo capirai con il tempo, o quando sarai più grande. Meglio quando sarai più grande» continuò, mangiandosi le ultime parole.
«Cosa ti piaceva di mamma?» domandò il figlio, domanda che lasciò di stucco il genitore.
«Mi piaceva la maniera in cui riusciva a farsi distinguere, era una donna originale. Tu come già sai le assomigli un sacco, sei la sua versione maschile. Tranne che di carattere, in quello siete due persone totalmente diverse, ed è meglio così»
«Tu e lei volevate una femmina, vero? Perché?» domandò ancora il ragazzo.
«Lei voleva una femmina perché diceva che le sarebbe piaciuto truccarla e vestirla come una bambolina, io sinceramente non avevo preferenze, ma sotto sotto volevo un maschio»
A quel punto Loris si fece sospetto, tutti quei ruscelli potevano sfociare solo in un unico mare. Così un po' con tono pungente, guardò il figlio e gli chiese.
«Sei innamorato di una ragazza?»
William scosse subito il capo e negò, non era affatto innamorato di una ragazza e non credeva che mai ne sarebbe stato capace, poiché non era mai riuscito a sviluppare nulla oltre all'amicizia verso di loro. A lui piacevano molto i ragazzi: le spalle larghe, i fianchi stretti, le toniche muscolature atletiche e quelle voci profonde e allegre.
Gli bastava essere guardato da uno di questi per farlo indebolire, ma una femmina, quelle non erano in grado neppure di farlo arrossire.
«Sappi che le donne non sono così difficili, gli uomini che dicono che lo sono, loro stessi sono semplicemente incapaci di capirle. Anzi, non vogliono nemmeno provarci. Ma tu sei diverso, se vuoi una donna nella tua vita, devi per forza capirla»
Era quasi sconfortante sentire il padre parlare in quella maniera, non aveva idea dei pensieri che correvano nella testa del ragazzo.
Dunque William, provò a girare cautamente attorno al segreto.
«Papà... E se non avrò mai una donna?»
Ma la sua domanda venne interpretata dal genitore come scarsa autostima.
«Oh caro, ma certo che ne troverai una. Sei un ragazzo meraviglioso, troverai la donna che ti amerà e che ti rispetterà» rispose.
William volle quasi strapparsi le palpebre, suo padre non riusciva ad arrivarci.
«Dio ti darà una splendida figlia, che saprà come metterti prima di ogni cosa»
Tuttavia quel che diceva era dolce, così lasciò il tutto com'era e permise al padre di credere che si trattasse solo di poca confidenza.
«Grazie, papà»
Detto ciò prese il suo piatto e lo posò nel lavabo, si lavò le mani e la bocca, infine salì al piano di sopra.
Loris lo guardò sparire per la scalinata, auto complimentandosi per aver risolto la bassa autostima del figlio.
"Non esiste genitore meglio di me" pensava fiero di sé sparecchiando ciò che rimaneva a tavola.
Una volta lavate le stoviglie, l'uomo lasciò la cucina e si recò nella propria stanza, dove esausto si distese sul suo soffice letto fresco e profumato.
«Ah...» sospirò incantato al soffitto.
Nella sua veduta comparve poi il volto di sua moglie, che se ne stava seduta sopra di lui a cavalcioni, addosso aveva quel grazioso reggiseno bianco che Loris le aveva donato durante un'occasione speciale.
Condusse la sua mano verso la guancia del marito e l'accarezzò, poi guardandolo gli disse...
"Tu mi amavi solo quando stavo sopra di te"
Quello che si stava manifestando era un pensiero represso che prendeva forma, il corpo della donna era molto invitante a compiere atti di cui l'uomo si sarebbe pentito quando già troppo tardi.
«No, allontanati da me, Satana»
Sussurrò, ma la sua carne non era forte quanto lo spirito, e il diavolo giocò presto con le sue fantasie.
Indebolito da quel fisico da dèa e quel rossetto fuoco, l'uomo condusse inconsciamente la mano sotto la cintura e cominciò dolcemente a massaggiare.
«Ti piace se mi muovo adagio così?» chiese la donna mentre la sua intimità accarezzava lentamente e in maniera stuzzichevole l'uomo.
«Sì» rispose stordito, nel frattempo la mano stava cominciando a slacciare la bottonatura dei pantaloni, le sue membra al sol pensiero stavano tribolando come mari furenti e la sua mente si macchiò di nero.
Ma compiendo l'opera, una voce proveniente dalla realtà, alterò il pensiero, esiliò il diavolo e la donna da quella stanza, e l'animo di Loris si riunì al corpo.
Era la voce del figlio, che trovava presso la porta con la spalla quasi appoggiata all'uscio.
"Ha visto qualcosa? Da quanto era lì? È giunto adesso? Finge di non aver visto?"
«Merda! Non si bussa più, William?» esclamò infuriato alzandosi dal letto.
Il figlio si scusò e uscì dalla stanza chiudendo la porta. Dopodiché bussò picchiando tre volte, e attese che il genitore gli desse il consenso di entrare.
«Cosa c'è?» domandò Loris assai frustrato.
«La insegnante di storia ha messo i voti sul registro?» chiese.
«Vieni qui»
Il ragazzo si avvicinò e l'uomo prese dalla tasca il proprio telefono per controllare, e dopo una breve ricerca, ecco che trovò l'esito.
«Sapevo che ci saresti riuscito» disse baciando il figlio in fronte e abbracciandolo strettamente a sé.
Il ragazzo ne fu molto felice, pensò che quella fosse un occasione perfetta per poterglielo chiedere di nuovo.
«Papà, so che hai detto che i doveri non meritano ricompense, ma solo i sacrifici»
«Hm hm» rispose l'uomo.
«Però io vorrei tanto poter andare a una festa» confessò.
«Di chi?»
«Non la conosci, ma è una ragazza abbastanza popolare nella mia scuola. Per favore, papà, ti prometto che sarò più partecipe al gruppo giovani della Chiesa, e ti prometto che i miei voti non scaleranno mai più la media» implorò.
«Sarà presente anche Adric»
«Quando si svolgerà?» domandò l'uomo.
«Il dodici» rispose il ragazzo, sperando in una buona risposta.
«Fammici pensare» disse il padre.
«Ti prego, io non voglio essere quello che deve sempre sentire il weekend degli altri. Voglio esserne partecipe, andare dove vanno gli altri e conoscere nuove persone» continuò il figlio intrecciando le dita, ma l'uomo era stato chiaro, ci doveva pensare.
«Ho detto, 'fammici pensare'. Okay?»
Il figlio non insistette, ma sperava in cuor suo, che il padre gli avrebbe permesso di andare a quella festa.
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