8.
Il venerdì era giunto alle porte silente e senza essere seguito, Loris teneva sempre sotto d'occhio il calendario, teneva le date a mente come i lacci delle scarpe. Ma quel particolare venerdì, la sua testa era pervasa da quella delicata carezza, da quelle sdolcinate lusinghe e da quelle parole di seduzione pronunciate dalle labbra dritte del signor Heinrich.
Sapere di dimorare nel cuore di un narcisista milionario gli alterava lo stomaco, gli prudeva la pelle e le unghie delle sue dita eran mai consumate. Quel pederasta gli stava facendo la corte da anni, lo aveva saziato di doni, lo sognava ad occhi aperti e durante la notte. Non c'era cosa più disgustosa che essere amati in quella maniera, Loris non riusciva a concepirlo.
Batteva il tacco della scarpa sul terreno, teneva il mento premuto al polso della mano e con gli occhi custodiva le porte della chiesa.
Quando scoccarono le diciassette, suo figlio e gli altri ragazzi uscirono dalla struttura.
Dietro loro seguiva la moglie del pastore, la signora Gutiérrez. Era stata lei a tenere la lezione di quel giorno, ed era contenta di aver potuto accogliere un nuovo membro, aveva avuto l'occasione di conoscere il figlio modello, il ragazzo che molte madri usavano come esempio per i propri figli.
Quando Loris li vide arrivare, si alzò dalla panchina e chiamò verso di sé suo figlio. Quest'ultimo lo raggiunse e lo salutò, non sembrava entusiasto, l'incontro infatti, non gli era affatto piaciuto.
«Aspettami in auto» disse consegnandogli le chiavi, il ragazzo le prese e s'incamminò alla vettura.
Nel frattempo la signora Gutiérrez approcciò al padre, aveva molto di cui raccontare.
«Mi fa piacere che William abbia finalmente partecipato al gruppo dei giovani, era da tempo che ci speravo»
Ciò era piacevole da sentire, questo non avrebbe fatto altro che rafforzare il rapporto che William aveva con Cristo. Ma una cosa tormentò il padre, era profondamente preoccupato del suo ragazzo.
«Qualcosa non va?» dedusse la donna.
L'uomo le si avvicinò, affinché ciò che stava per rivelare rimanesse tra loro due.
«Ho trovato della biancheria intima di mia moglie in camera sua ieri notte...»
La donna titubò per un istante, ma si lasciò poi calmare quando realizzò di che cosa potesse trattarsi, dopotutto ella stessa aveva dei figli.
«Loris, devi capire che Will sta crescendo, sta sviluppando altri interessi, proprio come ogni ragazzo della sua età» disse.
«Inoltre ho notato che è molto chiuso in sé stesso, ha difficoltà nel comunicare e interagire con gli altri, mi sono trovata costretta a doverlo costringere a parlare perché egli non riusciva a scandire le parole senza balbettare o distrarsi»
«È solo un ragazzo introverso, William ha un ampia conoscenza del vocabolario e se non è riuscito a parlare, è solo perché è la sua prima volta qui al gruppo giovani. Nulla di cui preoccuparsi» rispose il padre, ma la donna era convinta di ciò che aveva visto.
«Ha bisogno di parlare, è un ragazzo che si tiene molto dentro. Lei non lo sa, ma tempo fa facevo la psicologa presso un istituto comprensivo, riesco a leggere lo sguardo di qualcuno molto più della postura e le gesta. William ha parlato molto oggi»
«Conosco mio figlio, è solo timido»
«Riconosco una persona timida da una introversa, e William non è nessuna delle due. Egli pondera in un disagio da limbo»
A quel punto l'orgoglio di Loris venne ferito, egli aveva una grande immagine della propria figura paterna, non poteva assolutamente tollerare di essere visto come un genitore incapace di riconoscere il proprio figlio. Come aveva dichiarato, si riconosceva come primo dottore, amico e insegnante del ragazzo.
«Ho fatto venire mio figlio qui per conoscere Dio e i suoi comandamenti, non per farsi diagnosticare disturbi mentali» ribatté, tuttavia mantenendo un tono sereno verso la moglie del pastore.
«Dico solo che dovresti chiedergli cosa c'è che non va, mi è parso veramente distante ed estraneo. Sono a malapena riuscita ad avere un contatto visivo con lui, gran parte delle domande le sapeva, ma permetteva agli altri di rispondere. Forse sta affrontando un periodo dove ha bisogno di scoprire chi è e di che cosa ha bisogno. Il fatto che tu abbia trovato un capo intimo nella sua stanza è del tutto normale, magari era solo desideroso di conoscere la fisionomia femminile, il che non è affatto anormale alla sua età. Dopotutto, ci siamo passati tutti in quella fase, io pure»
«Quindi dovrei semplicemente ignorare tutto? Ha iniziato a mentirmi, a pronunciare imprecazioni ed è nel bel mezzo di una crisi d'identità!»
Mentre l'uomo si sfogava e lamentava della condotta del ragazzo, quest'ultimo sedeva in auto in attesa di tornare a casa. Ammirava comunque dal finestrino il genitore accanirsi verbalmente sulla donna, non dovette uscire per capire che stesse parlando di lui. Lo capiva dalle gesta, dalla maniera furtiva in cui l'uomo si voltava di tanto in tanto, e dalle volte in cui il suo nome era stato formato dalle sue labbra.
Però non poteva immaginare di che cosa stessero parlando, poteva trattarsi di qualsiasi cosa. Dalla lite avvenuta a scuola, l'esito discreto della verifica o l'incontro avvenuto poco fa.
Qualsiasi cosa, e il fatto di non esserne a conoscenza lo disturbava assai. Era per caso troppo piccolo e immaturo per comprendere il linguaggio adulto? La sua presenza non era gradita? Dopotutto stavano parlando di lui.
Magari stavano pianificando di farlo chiudere in collegio o in una tremenda struttura isolata gestita da cardinali giusti e severi, esattamente come il padre era stato istruito nella sua adolescenza.
Tormentato dall'idea, si calò sul sedile, rendendo visibile solo qualche ciuffo dei suoi capelli.
Venne poi colto da una serie di immagini e suoni, l'ansia trovò spazio dentro di lui e il timore che presto avrebbe indossato una divisa grigia lo cominciò a divorare lentamente.
In tutto ciò, Loris e la signora Gutiérrez continuavano a conversare sempre più in maniera poco formale.
I toni si fecero rigidi, le posture meno rette e i volti man mano sempre meno sereni.
«Nessuno è al di sopra del peccato, inoltre come può capire che il fuoco scotta se prima non glielo lasci toccare?» disse la donna.
«Io sono suo padre, lo conosco meglio di chiunque altro su questa terra. Egli è felice, non ha bisogno di fare la vita che conducono gli altri. È così che ognuno di loro comincia a marcire, ho visto i suoi compagni di scuola e mio figlio è solo un perfetto esempio di ragazzo modello per tutti loro»
La donna sospirò, capì di trovarsi di fronte a un testardo fermo sul piedistallo, fiero del proprio figlio ma cieco e sordo nel vedere e sentire agli utitili consigli. I suoi tentativi sarebbero stati del tutto futili, Loris non avrebbe cambiato idea.
«William è di certo un bravo ragazzo, ma secondo me ha solo bisogno di parlare con qualcuno, farsi amici, crescere e capire qual è il suo posto. Tu sei un buon padre, Loris»
L'uomo soffiò, poiché ovvio, era un buon padre e non aspettava di sentirselo dire. Ma ciò che lo irritava, era il fatto che la donna sospettasse che il figlio soffrisse di disturbi sociali.
Agli occhi suoi, il ragazzo era immune a tali cretinate, non era come gli altri, egli doveva essere estraneo a tutto quello.
«Continua a portarlo all'incontro, gli servirà» concluse la donna, era tutto quello che poteva fare per aiutare un ragazzo come William.
L'era bastato vederlo in quella cerchia di ragazzi per conoscerlo, in lui c'era un'anima smarrita che pregava salvezza. E lei, che vedeva un figlio e figlia negli occhi di ogni giovane, voleva farsi carico di questa missione.
Loris con un lungo manto leso e irritato, oltraggiò in cuor suo la moglie dell'uomo che tanto ammirava.
"Chi diamine crede di essere? Con quale autorità osa dirmi come comportarmi? Ora vuole insegnarmi a fare il papà? Si crede la madre di mio figlio?"
Strani voci si ersero nella sua testa e colto dalla frustrazione, urtò inconsciamente la ruota della macchina, facendo allarmare il povero ragazzo a bordo del mezzo.
Sapeva che una innocua domanda avrebbe solo fatto arrabbiare il padre, così restò in silenzio e guardò il proprio genitore masticare parole.
Quando l'uomo entrò finalmente in auto, abbandonarono il cortile della chiesa e imboccarono la strada.
Era previsto che il viaggio di ritorno verso casa sarebbe stato pesantemente silente, il silenzio del padre fece preoccupare William, arci convinto che si stessero dirigendo verso una struttura religiosa, ed era solo questione di secondi prima che il padre glielo confessasse.
Infatti una volta giunti davanti un semaforo rosso, l'uomo sospirò e si volse verso il ragazzo per potergli parlare.
«William, perché fai l'incompreso?» domandò cono tono molto irritato.
«La moglie del pastore mi ha detto che sei stato in silenzio, incapace di parlare e interagire con gli altri. Che ti succede? Improvvisamente sei diventato un antrofobico morboso?»
Il ragazzo grattò la pelle attorno l'unghia del pollice, per sfuggire dalla pressione che la domanda del padre esercitava su di lui.
«No, i-io ero solo un po' timido... tutto qui» balbettò.
Quando fu verde, il genitore proseguendo un breve tratto di strada trovò un'area di sosta dove fermarsi, si slacciò la cintura e chiuse l'auto.
William deglutì e guardò fuori dal finestrino, non c'era buco dove poter infilare la testa e nascondersi. Si trovò dunque costretto ad affrontare il padre con la faccia che si ritrovava, si fece coraggio e ascoltò quello che aveva da dire, sopprimendo tra i denti l'odio e il fastidio che nutriva verso di lui.
«Tu vuoi che mi tolga un braccio per te? Vuoi che vada a rapinare una banca o che ti ricopra di omaggi anche quando non fai un cazzo per rendermi fiero?»
La voce del padre si fece alta e le sue gesta ampie e aggressive, incutendo timore nel ragazzo, convinto che di lì a poco lo avrebbe menato.
«William non capisco cosa ti stia succedendo ma devi smetterla di fare il difficile, io come padre ho fatto di tutto per renderti felice, ma come vedo tu non lo stai affatto apprezzando e ci tieni anche ad annunciarlo al mondo intero!»
«Mi porterai in un riformatorio?» farneticò pervaso dalla paura, Loris lo guardò confuso e pensò che fosse una strategia per tagliare la testa al toro.
«Cosa? Perché dovrei? Ascoltami, non cambiare discorso. Tu vuoi che credano che io sia un padre incomprensibile? Che non ti sia accanto? Che sia come quei genitori incapaci di riconoscere i propri figli? Vuoi farmi passare per un incapace, eh?»
William scosse il capo e schiacciò la propria spalla alla portiera per mantenersi il più distante dal padre, benché i palmi delle mani agivano come se prossime a percuoterlo.
«Picchi i tuoi compagni di classe, non studi, mi menti, e mostri zero interesse verso le cose del Signore! Lo sai che crederanno che tu non sia altro che un malato depresso? E di chi sarà la colpa poi?»
Tutto ciò che diceva lo feriva gravemente, dal fronde, come tutte le solite amari parole che gli rivolgeva quando deluso.
Cominciò a singhiozzare, si pulì il volto con i polsi e i palmi per liberarlo dalle lacrime. Il padre pretese spiegazioni, non capiva la ragione di quel pianto.
«Ora mi devi spiegare il motivo per cui stai piangendo»
Il ragazzo non poteva più sopportare tutto quel calore, si slacciò la cintura e si rivolse al genitore con voce roca ma assalita di odio.
«Sono stanco, non ce la faccio più! Basta!»
Ma la sua reazione aggressiva fece solo arrabbiare il padre, che pur di placarlo lo colpì in pieno viso.
«Che cazzo ti prende? Qual è il tuo problema?»
Il ragazzo cercò di sottrarsi dalla violenza del genitore, ma trovandosi chiuso in quella macchina, non poteva andare lontano e fu costretto ad accogliere ogni singolo schiaffo.
«Voglio la mamma! Rivoglio mia mamma indietro!»
Confessò traboccando in un mare di lacrime, tale a un bimbo abbandonato in una lunga e vuota corsia di un mercato. Suo padre lo guardò furibondo, indignato dal desiderio che suo figlio bramava.
Il sol pensiero di quella donna lo faceva ammattire.
«Tua madre era niente meno che una troia! Sono le sue coccole che vuoi? Vuoi farti allattare come un infante? Sai cosa sei? Sei solo un ragazzino capriccioso, ingrato e ribelle!»
Lo colpì varie volte sia in volto che in testa finché le guance si fecero rosse e i capelli spettinati.
«Scusa!» singhiozzò.
La pelle chiara del giovane riportò persino il segno della fede che il padre portava al dito, anche la coda dell'occhio ne fu colpita che provocò alla rottura di un capillare, di conseguenza la sclera si fece rossa.
Ma il padre non lo notò, poiché accecato dalla rabbia e preso su se stesso.
«Perché non puoi essere come tutti gli altri? Perché ti devi esonerare come un fottuto disagiato? Che cazzo di attenzioni vuoi? Che diamine pretendi? Cosa ti costa atteggiarti come un cazzo di essere umano? Sono stanco di essere il padre del figlio ostico, sembri un cazzo di autistico quando fai così! Smettila per l'amor di Cristo!»
Il cuore del ragazzo venne gravemente reciso a metà dagli sfregi detti dal padre, non era la prima volta che veniva pesantemente rimproverato per il suo carattere represso e poco reagente. Ma egli stesso odiava essere così, purtroppo però non era capace di correggersi, non poteva modificare ciò che non era tangibile. Riconosceva di essere in qualche modo differente dal resto, ma non comprendeva che cosa fosse l'elemento che lo rendeva tale.
Magari essere un figlio senza madre? Era dovuto al fatto di essere innamorato di un maschio? William non era un medico, e nemmeno un dio. Non conosceva se stesso, e suo padre, colui che proclamava di conoscerlo, era lo stesso che lo accusava di essere sbagliato.
«Mi dispiace papà, io ci provo, ci sto provando, perdonami...» chinò il capo è cominciò a scusarsi, ma nel farlo, il cuor suo si fece pesantemente lesto nel palpitare, il suo corpo minuto non poteva sopportare tutto quel dolore, e pur di disfarsene quest'ultimo cominciò a reagirne.
Prese a fremere come una foglia, il sudore si raffreddò lungo la fronte e il fiato venne improvvisamente falciato a mezz'aria.
Il visetto percosso di schiaffi del ragazzo si fece ancora più rosso, e ciò fece preoccupare il padre.
«Will? che ti succede?» chiese.
William calò in uno stato di completo disagio, dove ogni suono vicino e distante si alterava, creando attorno a lui una stretta mura pari a una gola.
«William?» la voce del padre lo raggiungeva ma era incapace di rispondere.
«William? Tesoro che hai? Che ti prende? Così mi spaventi»
Agitato, il genitore abbassò il sedile del ragazzo affinché stesse disteso.
«Ti prego smettila, William!»
Il ragazzo tremava, boccheggiava in cerca di aria. L'uomo gli sollevò la maglietta affinché provasse meno caldo, ma non era calore quello che lo stava tormentando.
«Amore? Amore che hai? William parla!» incapace di parlare, Loris andò nel panico.
«Andiamo in ospedale adesso, non ti preoccupare» gli disse accarezzandolo dolcemente.
Per un brevissimo istante, quel tenero tocco fece quasi risollevare l'animo del ragazzo, consapevole che presto sarebbe stato condotto tra le mani degli esperti.
Il percorso fu abbastanza breve, poiché per loro fortuna, l'ospedale più vicino si trovava a pochi kilometri da dove erano.
Loris caricò suo figlio tra le braccia, abbandonò ogni suo oggetto personale in auto incluso il telefono, e si diresse velocemente alle porte dell'edificio.
Non era mai stato testimone di attacchi di panico, scambiò dunque la condizione del figlio come un'improvvisa perdita di conoscienza o un attacco epilettico.
«Qualcuno mi aiuti! Per favore mandate qualcuno per mio figlio, non respira! Mio figlio non respira vi prego!»
I paramedici accorsero dal ragazzo, e non capendo che cosa stesse accadendo, ponendo poche domande, lo fecero sedere sopra una sedia a rotelle e lo condussero nelle sale lungo il corridoio.
A Loris fu ordinato di attendere nella sala di attesa e quest'ultimo fece come imposto, nonostante il timore di perdere il suo unico figlio. Ascoltò i medici, si allontanò e si sedette.
Custodì l'orologio in quella stanza dall'aroma di alcool etilico e disinfettante per pochi minuti, dal momento che suo figlio non era in pericolo di vita, venne riaccompagnato alla sala dal dottore che lo aveva appena visitato e fatto firmare il rilascio.
Loris si avvicinò e accolse il ragazzo tra le sue braccia.
Esplose in un bagno di lacrime nel rivederlo in piedi e con il respiro regolare, l'anima sua si era come allontanata dal corpo quando lo aveva visto in quello stato.
«Solo un normale attacco di panico» dichiarò il dottore.
«Oh Will, amore mio come stai, come ti senti?» domandò Loris sistemando gl'indumenti e i capelli del giovane.
«Voglio tornare a casa» rispose ancora un po' scosso.
«Gli abbiamo fatto un esame del sangue e alcuni test cardiologici, tra cui anche di pressione» nel mentre il dottore proseguiva, consapevole però di non essere ascoltato da nessuno dei due.
«Abbiamo trovato leggere anomalie al cuore, ma nulla di grave. Tuttavia, il ragazzo soffre di pressione molto bassa, le consiglio di fargli assumere degli integratori che...»
«Guardami, papà è qui, adesso torniamo a casa e ti metti subito a letto, okay? Non dovrai fare niente» Loris porse orecchio duro e continuò a tranquillizzare il suo figliolo, preda di un incessante singhiozzo che pareva non volersene andare.
«Mi fa male il braccio» disse William, mostrando il punto dove gli era stato infilato l'ago della siringa. Il padre, intenerito da ciò, lo baciò e lo rassicurò.
«È normale, ma non ti preoccupare, tu stai perfettamente bene, hai solo avuto un calo per via del caldo» concluse.
A quel punto però, il dottore si sentì offeso.
«Signore, mi sta ascoltando?» chiese.
Ma Loris prese suo figlio per la mano, lo baciò nuovamente, e lo condusse fuori dall'ospedale.
«Adesso andiamo a casa»
E quando fecero finalmente ritorno a casa, padre e figlio decisero di condividere il bagno e rinfrescarsi. Una volta lavati, si sedettero lungo il letto matrimoniale nella stanza del padre, dove quest'ultimo prese a pettinare i capelli del giovane.
Passava il pettine con delicatezza, qualche volta si fermava per guardare i loro riflessi sullo specchio, per poi riprendere.
«Amore...»
Pronunciò l'uomo, assalito da un leggero senso di colpa. Si rimproverava per aver fatto arrossire l'occhio del figlio, vedendolo così la gente avrebbe subito pensato che fosse il risultato di una lite tra ragazzetti. A scuola avrebbero posto domande, l'istituto lo avrebbe chiamato per chiedergli spiegazioni. Loris non voleva tutto quello, così concesse al ragazzo di stare a casa.
«Papà ha esagerato con le parole, non si ripeterà mai più. Ti chiedo scusa»
Ma con quelle scuse mediocri, William ci si sarebbe pulito l'ano. A distanza di qualche mese si sarebbe ripetuto, e di nuovo avrebbe giurato di non ripeterlo.
«Starai a casa domani, così potrai riposare un po'» disse il padre.
Dopodiché si pose davanti al ragazzo e lo abbracciò fortemente.
«Papà ti vuole molto bene»
Il figlio fu incapace di ricambiare l'abbraccio, non sentiva alcuna connessione e desiderio di farlo. Ma per accontentare il genitore, gli rispose.
«Anche io ti voglio bene»
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