5.
La stimabile dimora del signor Heinrich ergeva briosa sopra un colle, sotto il vasto cielo che fioriva di rosaceo e il sole che stava cominciando a ritirarsi tra le vette degli arbusti.
C'era una gradevole e leggera composizione orchestrale nel grembo di quel salone luminoso, l'arco scivolava lungo le corde del violoncello, che ingravidava la sala traboccante di profumo e gente. La voce dell'affascinante donna in abito rosso, conduceva indietro nel passato chi si ricordava del brano.
Era una canzone allegramente romantica, un omaggio alla luna e alle stelle, alla cecità che l'amore era capace di provocare. Un adulazione verso l'amata, un invito a visitare la stagione primaverile in un altro pianeta.
Era un brano dal pizzico fiabesco, che colmava di gioia molti cuori. Ma in mezzo a quei sorrisi e alle labbra che seguivano le strofe, c'era il volto serio di Loris.
Triste di dover ascoltare lo stesso brano su cui lui e la moglie avevano ballato la sera del matrimonio, era una condanna, una pena a cui non poteva sottrarsi.
Cercava di mandar giù la tristezza con esagerati fiotti di vino, ma nulla poteva privarlo di quell'amaro.
La canticchiava contro volontà, era più forte di lui. Si guardava attorno e si atteggiò come un semplice uomo a suo completo agio, sorrideva e chinava il capo per salutare chi si accorgeva di lui.
Ma la sua maschera non reggeva dinanzi a Gavriel, egli era l'unico ad aver riconosciuto il disagio che incombeva sul suo pittore. Dunque decise d'intervenire, finì di bere dal proprio calice, e si diresse dal suo intoccabile amato. Nel mentre veniva seguito da elogi e omaggi, dopotutto, quella notte compiva i suoi ben portati quarantuno anni.
Una volta giunto da Loris, non si trattenne, si avvicinò e lo abbracciò, a differenza di tutti gli altri a cui aveva semplicemente stretto la mano.
Loris singhiozzò, stava ancora bevendo e si sorprese del particolare saluto del suo cliente.
Provò un leggero imbarazzo, chi li aveva visti, pensava subito che i due uomini fossero imparentati o uniti da un particolare affetto.
«Sorridi, perché vieni vestito di lutto nel giorno del mio compleanno? Hai visto un cadavere lungo la via? Il banchetto non è di tuo gradimento? La cantante stona? Perché questa faccia seria? Oggi è il mio giorno, ti voglio sorridente»
Loris forzò un tremendo sorrisetto, le sue guance erano evidentemente tese e i denti rigidamente serrati. Non era capace di fingere un sorriso, neppure se indotto a farlo. Credette di aver fatto del suo meglio, ma Gavriel se ne accorse e glielo fece notare.
Perciò tornò serio e Gavriel gli domandò che cosa lo stesse turbando.
«Sono solo un po' esausto, ho sbrigato molte faccende a casa oggi. Ah e tanti auguri, signore»
Rispose innalzando il calice verso l'uomo, quest'ultimo abboccò all'amo e credette alle parole di Loris.
Sopraggiunse poi tra la gente, una nota coppia sposata. La signora e il signor Schmidt, entrambi appassionati di figurazione e arte.
Conoscevano molto bene le opere realizzate da Loris, esse dimoravano in molte stanze della casa ed era impossibile non rimanerne incantati.
«Dunque è lei il padre di queste opere, è da inizio serata che le stavamo ammirando» disse la donna tendendo la mano, Loris la colse e la baciò. Salutò poi il marito e si confuse quando quest'ultimo gli rispose in tedesco.
Gavriel, che era delle stesse origini, tradusse quanto detto a Loris.
«Ti ha salutato. La signora Schmidt parla la nostra lingua fluentemente, suo marito invece conosce solo il tedesco» disse.
Loris, che di quella lingua non ne conosceva nemmeno l'alfabeto, si limitò a sorridere e a stringere la forte mano del vecchio.
«Il signor Anderson è il protagonista dietro a ogni dipinto, è molto talentuoso, non ho mai visto nessuno dipingere come lui» disse fieramente Gavriel.
«Ammirevole» rispose la donna, ammaliata anche dall'aspetto dell'artista.
Non se ne rendeva conto ma in quel salone gli occhi delle signore erano posati su di lui con fascino, egli era benedetto di un viso spigoloso e fine. Gli occhi inoltre, se non che si trovassero dietro a due lenti, si confondevano con il cielo. Essi erano incoronati di corte ciglia chiare e le palpebre leggermente sfumate di notti insonne. Non si era pettinato molto, ma i suoi lunghi capelli rosso rame erano ordinatamente sistemati in uno scuro elastico. Il mento era morbido, odiava la rugosità al tatto provocato dalla barba, e il suo fisico sebbene non atletico, rammentava quello di un modello.
Era davvero un bell'uomo, chi lo guardava non poteva cessare d'immaginarlo come proprio sposo, le donne ne erano fisicamente attratte e gli uomini serbavano un innato astio.
Tutti all'infuori di Gavriel, il quale impazziva per quel viso.
Persino da scocciato era bello, infatti, la voce della signora non lo raggiungeva e si sfumava via via che il suo sguardo si perdeva in quei cieli dietro le lenti.
«Io e mio marito siamo dei veri fanatici dell'arte, io sono stata insegnante di storia dell'arte mentre Friedrich faceva la guida turistica nei musei di scultura. Il tuo stile mi rammenta molto quello di Johannes Vermeer. Adoro le sue opere, riescono a trasmettermi profonde emozioni...»
Man mano che la donna parlava, la pazienza di Loris si accorciava. Trovava la sua voce petulante, si chiese come facesse il marito a sopportarla, egli infatti era silente ad annuire inconsciamente al discorso della moglie.
Avrebbe venduto la propria anima pur di andarsene via, era tentato di girare i tacchi e scomparire. Ma ciò sarebbe stato molto scortese e avrebbe di certo offeso il festeggiato.
Pretese di essere meravigliato da quel che la donna diceva, annuiva, alzava le sopracciglia e di tanto in tanto commentava.
«Ah sì, bello, incantevole!»
Ma alla fine i cieli udirono il suo pianto e Dio volle che la donna perdesse il filo del discorso, dando così all'uomo l'opportunità di tagliare la testa al toro e allontanarsi.
«È stato un piacere parlarvi, a più tardi»
A Gavriel però tutto questo non sfuggì, si rese conto che doveva esserci altro dietro quel pallido viso rigido.
Salutata la coppia, il festeggiato inseguì l'artista incompreso fino al cortile, dove si era recato per prendere una boccata d'aria.
"Va tutto bene Loris, non ti agitare...".
Sospirava sedendosi sopra uno degli ultimi gradini.
Detestava i luoghi affollati, lo rendevano irrequieto, ansioso e soppresso da una sensazione di schiacciamento.
Gavriel approcciò silenziosamente, pur di non disturbare la quiete. Tirò fuori dal taschino un pacco di Benson e dalla tasca dei pantaloni un accendino.
Il ticchettio della rotella seghettata, fece voltare Loris verso l'alta figura alle sue spalle.
Si alzò in piedi e si scusò per l'improvviso allontanamento.
Gavriel tuttavia, non si mostrò affatto offeso. Anche se gran parte degli invitati era curiosa di vedere di persona l'artista dietro i ritratti, pose i sentimenti di Loris in primo piano e comprese che tali attività non fossero adatte a uno come lui. Così, per rallegrargli l'animo, gli porse la sigaretta accesa.
Ma dopo un lungo silenzio e uno sguardo quasi irritato, si ricordò che Loris non era un fumatore.
«Perdonami, non capisco perché ogni volta me ne dimentico» disse ridendoci su.
Loris non aveva mai sfiorato una sigaretta in vita sua, e ne andava pienamente fiero. Odiava chi cedeva il proprio corpo ai vizi terreni, considerava l'abitudine di Gavriel un peccato grave.
Erse gli occhi e fissò per un po' il cielo.
Esso era scuro e ricolmo di stelle, guardò poi il suo orologio e si decise che era ora di tornare a casa.
«Se non le dispiace, io tornerei a casa» dichiarò.
«Come mai così presto? In molti hanno chiesto di vedere l'artista dietro i miei ritratti, non voglio deluderli...» disse Gavriel, sperando che l'artista l'avrebbe compreso.
«Mio figlio è a casa da solo e io sono esausto» rispose Loris.
«Ha quindici anni, giusto? È già abbastanza grande» disse Gavriel, ma Loris scosse il capo.
«È ancora piccolo, e non è abituato a stare troppo tempo da solo»
Gavriel comprese le ragioni dell'uomo, ma non trovò giusto la motivazione.
«Capisco che gli vuoi bene e che sei preoccupato, sei un genitore ed è normale» sospirò Gavriel scendendo uno scalino.
«Ma devi anche pensare a te stesso, concederti un po' di piacere»
Le sue parole fecero infervorare Loris, che era del tutto contrario.
«Non voglio offenderla signor Heinrich, ma un genitore non può mettere se stesso prima dei figli. Ma ovviamente lei non può capire perché non ne ha nemmeno uno»
«No, hai ragione, non ne ho mai avuti. Ma sono stato figlio di una donna che ha fatto tutto pur di farmi arrivare dove sono ora, se non per mia madre, io non so dove sarei. Le devo molto, devo tutto a quella donna. Non si è mai presa cura di sé stessa perché era troppo preoccupata per me»
La sua risposta cambiò completamente la prospettiva e l'espressione in volto del pittore. Non conosceva nulla del suo cliente, se non che fosse ricco, e che possedesse un'intera schiera di camerieri al suo servizio. Della famiglia da cui proveniva invece, non sapeva assolutamente niente, e provò dispiacere nell'udire che aveva perso un genitore. Egli stesso aveva perso il padre mesi fa, e conosceva il dolore.
«Mi dispiace, non volevo» chinò il capo e sviò lo sguardo, si sentì imbarazzato per essere stato così schietto nel parlare.
«L'amore l'ha uccisa, l'amore che aveva per me l'ha condotta alla morte» aggiunse Gavriel.
«L'amore non uccide» ribatté Loris.
«Dipende da come lo dai» disse Gavriel dopo l'ennesimo tiro, la sigaretta si stava facendo corta tra le sue dita.
«Lei me ne dava troppo, lo ammetto, ero molto viziato da lei»
Loris, poiché religioso fino al midollo, riteneva l'amore come un dono immeritato, inestimabile e perfetto sotto ogni condizione. L'amore di un genitore verso il figlio poi, era sacro e incondizionato. Per nulla violento e di certo non conduceva alla morte. Aveva compiuto molti sacrifici in nome dell'amore che aveva per il figlio, aveva rinunciato alla sua gioventù e ai sogni pur di innalzare il ragazzo.
Di conseguenza, non concordava con quello che aveva detto il suo cliente, l'amore non era capace di uccidere. Semmai di corrompere, ferire o guarire.
«Sei un po' freddo» disse Gavriel, dopodiché si avvicinò all'uomo e annegò in quei suoi occhi chiari.
«Sciogliti un po', mi piacerebbe poter conoscere il vero Loris. I tuoi disegni parlano molto, c'è qualcuno dietro quello sguardo serio»
Il suo volto si fece pericolosamente vicino, il suo respiro finì sulla pelle di Loris e i suoi occhi non si distarono nemmeno per un secondo.
Il suo cuore era agitatissimo, bramava di unirsi a quello di Loris, ma si contenne e si limitò a guardarlo. Ma Loris, sentendosi derubato del suo prezioso spazio vitali, si allontanò leggermente.
«Che ne hai fatto dei soldi che ti ho dato?» chiese Gavriel.
«Credo che li darò alla chiesa o alla scuola di William, devono ristrutturare i bagni» rispose abbastanza teso.
«Ormai sono tuoi, puoi farci quello che ti pare, ma mi farebbe piacere sapere se li usassi anche un po' per te» rispose Gavriel.
Loris dunque aggrottò la fronte «Sta dicendo che non mi sto prendendo cura del mio aspetto?»
«Assolutamente no, tu sei un uomo bellissimo. Dico che potresti usarli per andare in vacanza con tuo figlio, andare alla spa, goderti una giornata in montagna»
«Mi perdoni per la domanda, signore. Ma perché ci tiene così tanto al mio benessere?» chiese il pittore.
Gavriel vide un'occasione aprirsi dinanzi a sé, si domandò se fosse giunto il momento di dichiararsi, di confessare al proprio pittore tutto quello che sentiva per lui.
Ma solo perché era una meravigliosa notte stellata, calda e serena, non significava che anche la sua reazione sarebbe stata altrettanto romantica.
Loris era ancora chiuso in una mura, se voleva avvicinarsi, avrebbe dovuto rimuovere un mattone alla volta. Se lo avesse improvvisamente spaccato, di certo lo avrebbe spaventato e istigato alla fuga.
E Gavriel non era pronto a perdere ciò che nemmeno era riuscito ad avere, lo amava, lo amava come non aveva mai fatto con nessuno.
«Non vederla come elemosina, e nemmeno come ricatto. Sei mio amico, lo faccio con il cuore, mi piace dare, soprattutto a te» rispose con tono sincero.
«Sei l'unico amico che ho» aggiunse.
Era quasi impossibile per Loris pensare che il suo cliente non avesse amici, anzi, nessuno, poiché egli stesso non si riteneva suo amico.
«Che regalo mi hai fatto? Visto che te ne vai, sono curioso di saperlo»
«Lei è un uomo molto ricco, signore. Che cosa avrei potuto comprarle? Magari se le avessi preso una cravatta, l'avrebbe aggiunta alla sua collezione» rispose Loris.
«È vero, ma non dovevi preoccuparti, il vero regalo è il gesto stesso. Ma tranquillo, tu il vero regalo me lo hai già fatto. Venire da me quasi ogni giorno per realizzare magnifici quadri è un bel regalo»
Gavriel erse la mano e la condusse dolcemente alla guancia di Loris.
Accarezzò con amore quel viso androgino e fine di cui era innamorato perso, sorrise compiaciuto e immaginò di poter vedere quei occhi prospetto i suoi in una stanza poco illuminata, sopra un soffice materasso tra lenzuola profumate di giglio. La carne sua scoppiettava scintille, vacillava come un campo di grano pettinato dal vento. Era così bramoso di sedurlo smaniosamente, baciarlo con enfasi e privarlo di ogni indumento. Poiché uomo senza vergogna e con nessuno da temere, lo avrebbe conosciuto sul prato dinanzi agli occhi di tutti. Ma non poteva, era tutto ancora così proibito.
«Sei il mio Van Gogh» disse.
Loris sprofondò nella confusione totale, non comprese le gesta sdolcinate del suo cliente ed esitò.
«Mi farò sentire al telefono, vai pure da tuo figlio» disse Gavriel.
Loris colse immediatamente l'occasione, annuì e si allontanò.
«Buonanotte, signore»
Raggiunse la propria auto, vi salì e uscì oltre il cancello.
Gavriel restò lungo i gradini a fissare con ardore il proprio amore andarsene via.
Gettò la sigaretta ormai corta, e la pestò sotto la suola.
Genna, la sua cameriera, sopraggiunse da dietro una delle colonne che sorreggeva il terrazzo sopra i loro capi. Era rimasta presso i paraggi per ascoltare la conversazione, era a conoscenza dei sentimenti del suo padrone e spesso gli dava dei consigli su come arrivare al cuore dell'amato.
«Che devo fare per far sì che mi guardi come io guardo lui?» disse Gavriel. Genna si avvicinò e guardò anche lei l'auto di Loris farsi sempre più piccola.
«Il signor Anderson è vedovo da dieci anni, non è ancora pronto a far entrare qualcun altro nella propria vita» disse, poi posò una mano sulla spalla dell'uomo e lo consolò.
«Sia paziente, un giorno comprenderà i suoi sentimenti. Oppure semplicemente non è attratto dagli uomini, questo lei deve rispettarlo»
«Non è vero, dovevi vedere come mi stava guardando. Sono certo che da qualche parte un po' pazzo di me lo è. E poi bisogna tentare, non ci troviamo nei secoli bui» rispose Gavriel, del nulla intimorito dal rifiuto e il giudizio, poiché arci convinto del successo, o meglio, speranzoso.
Nel frattempo, il Van Gogh era lungo la strada, inseguito dal pungente profumo di Gavriel e dalla sua voce profonda e quasi tetra.
Quella carezza gli aveva fatto sorgere numerosi pensieri, non cessava di accarezzarsi laddove era stato sfiorato. Non era un innocente pizzicotto tra amici, e nemmeno stava cercando di pulirlo da una briciola.
Era una carezza che parlava, un gesto che diceva più di mille parole.
Gli rammentò il tocco di sua moglie, ella era stata l'unica ad averlo accarezzato in quella maniera.
Ma tutto ciò gli era così complicato da capire, che concluse convincendosi che il suo cliente fosse semplicemente un uomo dai modi bizzarri per esprimersi.
Giunse a casa alle venti, orario in cui suo figlio doveva già trovarsi a letto. Infatti non si stupì di trovare le luci completamente spente.
Entrato nella propria dimora, sospirò sollevato e si levò di dosso tutto ciò che gli era più scomodo.
Le scarpe, l'orologio, l'elastico ai capelli e la cinghia.
Si diresse poi in soggiorno dove trovò il figlio disteso lungo il divano a sonnecchiare beato e abbracciato ai cuscini, la televisione era accesa, si era guardato una casetta e il film era concluso da un po'.
Capì che il ragazzo aveva cercato di farsi trovare sveglio, forse lo stava aspettando.
«Will?»
L'uomo provò a svegliarlo ma stava profondamente dormendo.
Dunque lo sollevò, se lo caricò tra le braccia e lo condusse al piano di sopra.
Lo portò nel suo letto, ma quando tentò di coprirlo, il ragazzo aprì gli occhi.
«Papà?» mugugnò un po' stordito.
«Shh» sussurrò l'uomo rimboccandolo sotto le lenzuola, dopodiché gli sistemò il cuscino e lo baciò sulla fronte.
«Come è andata?» farfugliò
«Non è andata» ridacchiò l'uomo.
«C'era la torta?» domandò William, ma Loris scosse il capo, e gli sistemò un capello.
Il ragazzo inalò un profondo respiro, si fece comodo e riprese a dormire.
Loris gli diede un secondo bacio, pregò, e infine lasciò la stanza con la porta nettamente aperta.
Si recò nella propria, e dopo essersi privato di quello scomodo completo elegante, si distese nel proprio letto.
Gli sembrava la prima volta, sorrise al pensiero di potersi finalmente riposare.
Spense la luce e si levò gli occhiali appoggiandoli sopra il comodino affianco, e benché fosse una notte tiepida, non si preoccupò di accendere il ventilatore.
«Finalmente, grazie Gesù» farfugliò esausto, e senza rendere assolutamente conto, le sue guance fiorirono di rosso, poiché ancora con il pensiero attaccato a quella carezza.
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