40.
L'uomo aveva appena riaperto gli occhi, spaesato e privo di ricordi, si trovò dinanzi a dei volti a lui ignoti.
Non lo sfiorava alcuna familiarità, li guardò confuso e con curiosità ammirò il luogo in cui si trovava.
Non riconobbe di assomigliare al suo fratello gemello, e nemmeno a sua madre. Vide il figlio ma il suo nome non gli parve.
William lo guardò con gran dispiacere, ma cercò di trattenere le lacrime. Voleva potergli chiedere perdono per tutto quanto, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto se solo lui gli avesse permesso di amare.
Ma le sue scuse non avrebbe riportato la memoria al genitore, sarebbe stato come versare della sabbia sopra un terreno arido.
«Dove sono?» sussurrò confuso, guardò la flebo e il lettino su cui si trovava disteso. Venne colto poi da un pungente dolore alla tasta, ma che venne subito medicato dalla delicata carezza della madre.
Provò conforto quando ella la toccò, percepì un piacevole brivido ma non sapeva come tradurlo.
La donna lo abbracciò e lo baciò in fronte, lo guardò con tenerezza e ringraziò il Signore per averlo sotto la cura delle persone giuste.
«Chi sei?» chiese titubante l'uomo.
La donna cennò un sorriso, si pulì una lacrima, e dichiarò di essere sua madre.
«Mamma?» replicò quasi attonito, guardò negli occhi la donna il proprio riflesso e sentì di attenere a lei. Gli sembrava di averla vista in sogno, la sua presenza gli donava pace e protezione, era una gradevole sensazione averla accanto.
Nel frattempo, presso una graziosa villa in cima a un colle, tra la natura e la quiete; abitava depresso un uomo dal cuore affranto.
Gavriel non riusciva a capacitarsi di quello che aveva fatto, si detestò, ma era la cosa giusta da fare. Amava il suo Loris e voleva solo il meglio per lui, non poteva mettersi in mezzo al rapporto paterno e divino, non poteva infrangere la promessa fatta.
Cercò di alleviare il dolore bevendo e passeggiando per il giardino di casa, rifletteva, piangeva e lottava contro la voglia di tornare indietro.
Il suo amore per Loris era ancora vivo, pulsava vivace e bramava di palpitare assieme il suo. Ma pensò che l'amato avesse ragione.
"Ognuno doveva starsene per conto proprio".
Tuttavia, anche se la distanza fosse stata come il cielo distava dalla terra, l'amore suo non sarebbe mai e poi mai venuto a meno.
Lo avrebbe amato anche dall'altro capo del mondo, lo avrebbe sognato nel giorno che nella notte.
"Magari un giorno mi dimenticherò di te..." pensava.
"Ma in questo momento il mio cuore è in disperata ricerca del tuo".
Trascorsero dei giorni dall'incidente, e Loris si trovava ancora ricoverato all'ospedale.
La sua famiglia gli stette accanto, rammentandogli il suo passato mediante racconti e foto.
Tra queste venne fuori anche quella della moglie, Clara. Quando Loris la vide ne rimase immediatamente folgorato, gli sfuggì un sussulto di scalpore e chiese subito di lei.
«È bellissima, chi è?» domandò.
La madre sorrise e gli disse che la donna nella foto era sua moglie, colei che gli aveva dato un figlio.
Loris guardò il ragazzo, seduto ai piedi del lettino, e notò quanto difatti fosse molto identico alla moglie.
«Mia moglie?» farfugliò ancora incredulo, non riusciva a credere che un essere così meraviglioso, si fosse innamorato di lui.
Clara era molto bella, forse anche troppo, così tanto che la sua bellezza pareva immaginaria.
Loris s'innamorò perdutamente, nacque in lui il desiderio di poterla vedere.
Ma prima che potesse chiedere di lei, il fratello gli colse la mano e gli rivelò lo spiacevole destino a cui la donna era andata in contro.
«Clara è morta anni fa in un tragico incidente stradale, siete solo tu e tuo figlio»
Loris si rattristò molto, guardò nuovamente la foto e se la portò al cuore.
«Mamma, che persona era? Davvero stavo con una come lei? Ci amavamo davvero?» chiese.
«Certo, tu e Clara vi amavate alla follia» rispose la donna.
Loren guardò il fratello e fu tentato di confessargli l'errore commesso in passato, ma lo sguardo della madre lo rimproverò a non farlo.
Tale notizia avrebbe irritato Loris, dovevano approfittare del fatto che non ricordasse, unica bellezza collaterale.
Il giorno seguente, Loris e la sua famiglia si trovavano ancora nella stanza dell'ospedale, poiché si era ripreso, l'uomo fu trasferito in un altro piano, dove lui e la famiglia avrebbero potuto conversare senza disturbare i pazienti accanto.
La madre aveva portato con sé un album di ricordi, mostrando così al figlio tutte le foto scattate in passato.
Dalla comunione al primo dente caduto, dal primo giorno di scuola al diploma.
Loris apprese di essere una persona alquanto brillante, conobbe il padre tra le foto in seppia e lo trovò un uomo saggio e dai mille complessi
«Qui siamo nel novantacinque, avevi vent'anni e Clara aveva appena dato alla luce William» indicò Loren.
La foto raffigurava la donna distesa sopra il letto dell'ospedale che teneva tra le braccia il piccolo fagottino appena dato alla luce, alla sua destra c'era il marito, fiero della moglie ed entusiasta di essere appena diventato padre.
«Clara era davvero bellissima» disse Loris, ancora inabile di accettare che non ci fosse più.
«Lo era e come» aggiunse il fratello, che aveva avuto la grazia di poterla conoscere da vicino.
Loris guardò il figlio, unico riflesso del fascino della moglie.
«Sono contento di avere un figlio da lei» confessò.
Il ragazzo sorrise e celò l'imbarazzo dietro una mano.
«Che padre ero, William?» gli chiese.
Il giovane esitò e sollevò lo sguardo, si morse il labbro e pensò a ciò che dire.
Anche se gli avesse detto che per punizione lo bastonava, non avrebbe avuto alcun senso, Loris aveva perso la memoria e non poteva ricordare quello che aveva compiuto. Egli ora doveva appendersi alle parole dei parenti, facendo appoggio sulla loro fiducia.
Di conseguenza il ragazzo lo guardò, e gli disse.
«Il miglior genitore al mondo, un padre meraviglioso»
La sua risposta scaldò l'animo dell'uomo, che colto dall'emozione, chiese al figlio di abbracciarlo.
«Sono felice di essere tuo papà» disse contento.
«Sei un ragazzo molto bello» aggiunse accarezzandolo.
William si lasciò coccolare, accolse tutti i suoi baci e si chiese se avesse fatto la scelta giusta.
«E io sono contento di essere tuo figlio» disse.
Loren e la madre si unirono all'abbraccio, rendendolo più stretto e caldo. Loris si sentì bagnato d'amore, provò un intenso affetto verso la sua famiglia, tra le sue guance rigate di lacrime comparve un largo sorriso e il dolore alla testa e alle costole svanì.
Capì di trovarsi a casa, capì che queste persone lo avrebbero amato e protetto. Non poteva chiedere di meglio.
Passato un mese, i dottori decisero di dimettere Loris, poiché idoneo a poter tornare a vivere in mezzo alla società.
Aveva recuperato qualche ricordo, nella notte era stato svegliato da piccoli frammenti del passato, ma nulla di tanto limpido.
William era entusiasta all'idea di ricominciare, ora suo padre era un uomo diverso e sarebbe stato compito suo e della nonna aiutarlo a tornare a vivere.
«Mi chiamo Loris Anderson, ho trentacinque anni e vivo in Canada» disse.
Il dottore dunque annotò la risposta corretta e passò a quella successiva.
«Come si chiama tuo figlio? E quanti anni ha?» Loris non ci pensò molto, se lo ricordava bene, e rispose senza alcuna difficoltà.
«Mio figlio si chiama William Isaac Anderson e ha quindici anni»
Contento del risultato, il dottore gli porse un'ultima domanda.
«Come si chiamava tua moglie?»
Loris piegò la fronte è pensò, di lei ricordava maggiormente la bellezza e con l'immagine del suo volto pressa nella mente, era difficile ricordare il nome.
Ma scavando affondo e riflettendo a lungo, ecco che se lo ricordò.
«Clara Palmieri»
Loris venne dimesso il giorno stesso, era molto felice di poter tornare a casa e per tutto il tragitto investì il figlio di domande.
«Di che colore è la nostra casa? Come sono i nostri vicini? Abbiamo animali?»
William fu molto grato di poter rispondere a tutte le due domande, approfittò anche di chiedergli se avrebbero potuto adottare un micio.
«Certo, perché no?»
Giunti a casa, Loris si meravigliò dell'aspetto semplice e accogliente dell'abitazione.
«Qui è dove abitiamo?» chiese alla madre.
«Certo, e aspetta di vedere dentro»
L'uomo non aspettò affatto, chiese al figlio di mostrargli la chiave, e subito dopo entrò nel corridoio d'ingresso.
«È bellissima» disse ammirando il soggiorno. Lo perlustrò a pettine, toccò con le mani il soffice materiale di cui era fatto il tappeto e la poltrona. Annusò i cuscini, guardò lo scaffale delle videocassette e dei dvd, ammirò la matrioska sulla credenza e la legna nel caminetto spento.
Riconobbe che quel luogo era di sua appartenenza, si sentì coccolato e ben accolto. Dal profumo ai colori caldi e tenui, tutto rientrava nei suoi gusti.
«William, mostra le stanze a tuo papà» disse la madre appoggiando giù le valige e le borse.
Il figlio colse la mano del genitore e lo guidò a fare un giro per la casa.
Gli mostrò il bagno, la camera da letto sua e quella matrimoniale.
«E qui?» chiese Loris indicando la porta che conduceva al suo studio.
William prima del suo arrivo, si era accettato di nascondere i ritratti di Gavriel, affinché alcun ricordo di lui sarebbe riemerso.
«Questo è il tuo studio, sai, tu sei un artista» disse.
Aprì la porta e l'uomo entrò nella stanza.
Improvvisamente si sentì abbracciato da una strana sensazione, percepì il proprio cuore unirsi alle tele e a tutti gli altri materiali presenti.
Il profumo di giornale, acrilico e polvere, lo cullò.
Non riusciva a interpretare ciò che sentiva a provava, ma sapeva di appartenere a quel mondo.
«Questi li ho fatti io?» domandò.
William si avvicinò e gli confessò di quanto fosse abile nell'arte.
«Certo, hai un grande talento nella pittura»
Loris non riusciva a crederci, guardava i dipinti e si stupiva.
Colse un pennarello e si meravigliò di come abile fosse nel maneggiarlo, era come se la sua mano fosse stata disegnata per impugnarlo.
Crebbe un innato desiderio di disegnare, bramava di realizzare qualcosa il più presto possibile.
William, notando come il padre si stesse mettendo a proprio agio, decise di concedergli un po' di tempo da solo.
Loris era tale a un bimbo che aveva appena appreso come camminare da solo, si avvicinò a una tela, prese la tavoletta e iniziò a dipingere.
William abbandonò la stanza e scese al piano di sotto, lasciando il pittore in compagnia della sua arte.
E mentre Loris si univa alla sua passione, l'amato suo diventò uno con le membra del giovane Hui.
Presso il fulcro del letto matrimoniale, nella stanza dove Gavriel si serrava la sera per riflettere tra le lacrime, avevano appena raggiunto l'orgasmo e terso le lenzuola.
Le loro pelli e i loro cuori non erano disegnati l'uno per l'altro, essi si erano conosciuti varie volte ma non avevano trovato alcuna sintonia. L'amore che Hui provava verso Gavriel era per la sua ricchezza, Gavriel invece, amava Hui per la sua generosità nel dare attenzioni e sesso.
Il fascino suo, sebbene non si avvicinava a quello di Loris, gli rammentava le piacevoli notti in cui aveva fatto l'amore con lui.
Hui com'era sua abitudine fare dopo ogni rapporto, si accese una sigaretta e prese a fumare.
Esausto e sudato, sentiva il corpo indebolito.
«Va tutto bene?» chiese al cliente, porgendogli con gentilezza la sigaretta. Gavriel accettò di fare un tiro, ma dopo il primo assaggio, restituì la sigaretta.
«Certo, sto bene» soffiò.
«Hmm, ti vedo troppo stressato. Fammi indovinare, c'entra ancora quel tizio» disse Hui.
«Si chiama Loris» ribatté Gavriel.
Hui issò gli occhi e sbuffò, oramai la stanza odorava di candela e tabacco.
«Quello che è» brontolò.
Poi guardò il suo caro cliente e gli si avvicinò quasi furtivamente, quei suoi occhi color inchiostro da serpe, andava in grave contrasto con il chiarore degli occhi di Loris.
«La gente va e viene, dammi retta, io ne so qualcosa» confessò.
«Sono stato io ad andarmene» ammise Gavriel sconfortato, ma per nulla pentito ormai.
«Perché ti sei reso conto che io sono meglio» ghignò Hui.
«Come?» Gavriel lo percosse con un'aspra occhiata, ma l'uomo non si fece intimorire. Era sua natura dare voce ai propri pensieri, non considerava conseguenze e non aveva vergogna alcuna.
«Lo hai lasciato per me, non è così? Altrimenti perché mi rompi sempre al telefono? "Hui ho bisogno di compagnia, Hui mi sento solo, Hui vieni per favore"»
Intenerì la voce e cercò d'imitare la sdolcinatezza del cliente, facendosi anche beffe della sua solitudine.
«Tu non sei nemmeno la metà di Loris» rispose Gavriel.
«Tu hai tutto ma non sai cosa vuoi. Se io fossi te avrei proposto un bel triade, visto che non fai altro che dire il suo nome quando te lo succhio, ahimè, non che la cosa mi disturbi non mi fraintendere. Semplicemente non mi piace quando qualcuno si prende i miei crediti, se lo vuoi così tanto, perché non te lo porti a letto e basta?» disse Hui.
Gavriel lo esaminò con ribrezzo dal capo ai piedi, e tornò a rivivere i loro momenti d'intimità con dispiacere e incredulità. La bellezza di Hui era tale a una rosa colma di spine, mordeva come una biscia e pungeva come una vespa.
Eppure farne a meno era impossibile.
Per questo al locale, tutti lo chiamavano "Lucifero", poiché bello quanto dannato e perverso.
«Mi chiedo come faccio ogni volta a finire a letto con uno come te, sono davvero all'apice della disperazione» disse passandosi le mani tra i capelli, e Hui lo confortò dicendo.
«Me lo chiedo anche io, ma poi mi ricordo che se non lo faccio il mio padrone di casa mi sbatterà sotto un ponte. Vedi Gavri, siamo un po' tutti disperati, ma tu sei beato perché hai i soldi»
Ogni volta si prometteva che non lo avrebbe mai più fatto, eppure ogni mattino si risvegliava con quel suo corpo accanto nel letto.
Non c'era luogo dove ormai non lo avevano fatto, dalla vasca da bagno alla tavola da pranzo, dall'auto e presso i bagni pubblici.
Hui per Gavriel era come una sigaretta: una volta gustata si pianta un seme di desiderio, il seme poi germoglia in vizio e il vizio sgrava il pentimento.
«Quanto vuoi?» domandò aprendo il cassetto, per poter prendere il libretto degli assegni.
Ma Hui, poiché uomo capriccioso e con molti complessi, disse.
«Hai ferito il mio orgoglio facendo il suo nome e dicendomi che non sono nemmeno la metà di quel pazzo. Perciò questa volta ti farò pagare caro...» e gli domandò una cifra salata e abbondante, tuttavia misera per un uomo come Gavriel.
«Potresti darmeli già in contanti? Non ho voglia di andare a versarli in banca, ho le gambe distrutte. Dopo dovrò pure vedermi con un altro cliente, accidenti, come farò?»
«Non ho contanti con me, ti farò un bonifico» disse Gavriel.
«Ma dovrò comunque andare in banca a ritirarli, come puoi non avere contanti? I miei altri clienti mi ci fanno il bagno con quelli» protestò innervosito.
«Ottimo. Allora preparati ad abitare sotto un ponte»
A quel punto Hui si arrese e accettò il bonifico.
«Va bene, okay, ho capito. Tanto il numero della mia carta ce lo hai già. Incredibile, mamma aveva ragione, dovevo farmi sta maledetta patente quando ne avevo tempo» disse alzandosi e cominciandosi a vestirsi.
Quando fu completamente vestito, si diresse alla porta e a malapena si voltò verso il cliente.
Tuttavia, prima di abbandonare la stanza, alla soglia della porta si fermò e disse.
«Manda un bacino a Loris da parte mia»
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