37.
Sollazzato da un gradevole profumo di calla, primula e lavanda. Udì ronzii di api, fruscii di fogliame, tintinnio di campanacci e gorgoglio d'acqua.
Aprì entrambi gli occhi e venne accecato dal fascino del suo amato, lì presente prospetto il viso suo. La sua amabile sagoma era delineata dalla luce del sole, rendendolo simile a una creatura mandata dai cieli.
«Gavriel?» farfugliò Loris, confuso di quanto stava vedendo.
Il suo amore si trovava lì, in quello che sembrava essere un delizioso giardino. Distesi sotto la grande chioma di un albero, cuore del paradiso in cui si trovavano. Il cielo era turchino, limpido come il fiume che scorreva ai piedi del verdeggiante colle. Pasciava un pascolo poco lontano da loro, brucavano l'erba e belavano.
Svolazzavano api, succhiavano il nettare dai vari fiori cresciuti sopra il colle, sgabello dell'albero sotto cui erano i due innamorati.
«Finalmente sei sveglio, amore mio»
disse Gavriel con tono candito di gioia, colse la mano di Loris e lo invitò ad alzarsi.
«Vieni, seguimi» pronunciò.
Loris non fece domande, poiché accecato d'amore e fiducia, si lasciò condurre dove l'amato bramava.
Indossavano tuniche chiare come il latte profumate di polline, le braccia erano ornate di bracciali dorati e sui capi portavano delle ghirlande. Corsero giù dalla collina, dove il vento trovò divertente issare le loro vesti. Si diressero verso il cospetto di un campo di grano, vi ci entrarono senza esitare.
Gavriel teneva la mano del compagno stretta alla sua, non la lasciò finché non giunsero nel luogo stabilito.
Mano a mano che si addentravano in mezzo le colossali spighe dorate, il sole sopra le loro teste si fece più debole e il profumo di prato svanì.
Si fermarono quando giunsero in un anello dove alcuna spiga era cresciuta, sembrava il nido di una grande creatura, preparata per i propri cuccioli. Gavriel condusse l'uomo a sedersi al centro della nidiata, in mezzo a grappoli d'uva e melograni.
Quando si sedettero, Loris si concesse di chiedere all'amato dove mai si trovassero, ma quest'ultimo gli rispose posandogli il dito sulle labbra.
«Shh, serba la voce per quando dovrai evocare il mio nome» sussurrò.
Dopodiché scoprì le spalle dell'amato e iniziò a seminarlo di baci, respirò sulla sua pelle e gli lasciò segni per ricordare. Loris erse lo sguardo al cielo chiaro, guardò le nuvole pascolare e si sollevò la corona di fiori dalla testa.
«Mi manchi moltissimo, ma Dio non ci vuole insieme» disse, levando anche a Gavriel la ghirlanda.
Quest'ultimo posò il proprio palmo sopra il petto di Loris, e spingendo leggermente, lo invitò a distendersi.
«Rinnega il tuo Dio e riconosci che io sono il tuo unico e solo, non hai bisogno di Dio quando esisto già io» pronunciò con vanto. Si spogliò, riconoscendo di possedere la bellezza di un sovrano.
Loris, indebolito dal suo fascino e da quella spiccabile muscolatura, divaricò lentamente le gambe allettando l'appetito del suo amore.
«Inondo il mio cuscino di lacrime fino a consumarlo. La notte mi corico piangendo e mi sveglio con gli occhi stanchi. Mi manchi così tanto che il mio corpo ne risente, le mie ossa fervono perché non riescono a sostenere il peso della tua assenza. La mia pelle non stilla più sudore perché è fredda, e il mio cuore non palpita perché ha dimenticato come farlo da solo»
piagnucolò.
Gavriel si calò tra le sue gambe, lo accarezzò e baciò.
«Adorato mio, mi ferisce sapere che piangi. Perché non sono lì per asciugare le tue lacrime? Perché mi hai allontanato come una malattia? Quando sono letteralmente la tua cura? Il tuo miracolo?»
chiese sollevando ambedue le gambe dell'uomo sopra le sue spalle.
«Non lo so, perché voglio fare la cosa giusta» rispose Loris, erudito ad accogliere dentro di sé l'amore del compagno. Lo bramava tutto quanto, voleva sentirsi zeppo in ogni angolo ed esaudito come un fertile terreno nel giorno di mietitura.
«Spezzare il mio cuore è stata la cosa giusta? Privarmi di vita e animo? Sei la luce del mio mondo, te ne sei andato e ora io vado errando nel buio. Loris, mio amatissimo Loris, ti amo più di quanto tu possa immaginare» mentre diceva tutto ciò, entrò per sommi capi nella tenue carne dell'amato, procreando un incantevole contentezza nel cuore di Loris.
«Oh Gavriel...» anelò stordito.
Si sentì florido, le guance erano entrambe ambrate come le bucce dei melograni che giacevano attorno.
Strizzò gli occhi e strozzò il terreno, i denti affondarono nelle labbra inferiori, il cuore traboccò di letizia e il petto trasalì animato.
«Ti piace quando giacio dentro di te, vero?» chiese con un malizioso ghigno tra le guance.
Loris dacché troppo confuso per rispondere, annuì con la testa e disse con voce flebile.
«Ah Gavri, certo che mi piace, mi piace da morire...» era così disperato, voleva Gavriel tutto per sé, dentro di lui e al suo fianco. Né mari o tempeste avrebbero distato i suoi occhi da lui, nemmeno catastrofi e uragani sarebbero stati capaci di fargli dimenticare di lui.
L'uomo di trovava dentro il pittore, era come se la setola del pennello stesse riempiendo ogni lato della tela, rendendola ricca di colori e priva di spazi. Scorreva lungo di essa, colando scie di colori, pennellate e carezze.
Loris si abbandonò completamente, sprigionando l'aria dai suoi polmoni senza morsa e privo di timidezza.
«Ti amo così tanto, Gavriel, ti amo tantissimo» sospirava ebbro, l'amato ricambiò, dichiarandogli di sua volta tutti quanto l'amore suo.
«Se solo mi avessi accolto nella tua vita...» disse.
Loris permise a quelle parole di trovare spazio nel suo cuore e appesantirlo, il piacere del momento rischiò di venir attenuato dall'amarezza della sua risposta.
Fu proprio all'ora, nello sconforto e tristezza, che Loris raggiunse l'orgasmo.
Espirò un profondo respiro, e accolse in sé il seme del compagno. Traboccò come un calice, le gambe sue credettero e il respiro diventò affanno.
«Se solo mi avessi scelto...» Gavriel si calò lentamente verso l'orecchio dell'adorato e sussurrò queste parole.
«Ma ami più tuo figlio che me, non è così?» Loris scosse leggermente il capo e tentò di negare quanto però era vero.
«Non sono degno di prendere il posto di tua moglie? Non ho dato abbastanza per poter meritare una stanza nel tuo cuore? Non raggiungo i tuoi statuti?» mentre poneva queste domande, l'occhio di Loris venne catturato dalla presenza di una esile figura in mezzo il campo.
Lo stava fissando, sembrava essere stata lì da tempo, ma non si era preoccupata di dichiarare la propria presenza.
Loris cercò di attirare la sua attenzione, di chiamarla e ordinarle di avanzare. La figura si rivelò essere suo figlio, pietrificato nel vederli insieme in quel nido.
«Sei un ipocrita» disse additandolo, dopodiché si addentrò nel campo e sparì.
Loris si alzò e gli corse dietro, nel mentre la voce dell'amato lo seguiva pesantemente, tuonava nella sua testa e come frecce finivano dietro la sua schiena. Seguiva il figlio dentro quel vasto campo di spighe di grano, evocava il nome suo pregandogli di fermarsi. Ma il ragazzo fece sparire le proprie tracce, lasciando il genitore smarrito.
«William? Ma non lo capite che sto facendo questo per compiere la cosa giusta? Parlate ma voi non siete nemmeno nei miei panni» diceva girando a tondo.
Il campo prese vita e cominciò a rispondere, ad accusarlo e assorbirlo in sé. Gli si accorciò il fiato, il cielo si fece scuro come la notte, il campo si ribaltò e diventò mare. Le voci si assalirono l'una sull'altra proprio come le onde che tentavano di seppellire l'uomo, quest'ultimo lottava con tutte le sue forze pur di rimanere in superficie. Ma la colpevolezza lo afferrò e lo trascinò nei fondali di quel profondo oceano, Loris si agitò, riusciva a respirare eppure temeva di annegare.
Erse le braccia verso l'alto, agitò le gambe e cercò di gridare, ma nulla sembrava riuscire a condurlo nuovamente in superficie.
Si sentì improvvisamente scosso, udiva il proprio nome giungere dall'esterno, la voce di suo figlio penetrò in lui, rovesciò la realtà e svuotò tutta l'acqua dell'oceano sopra il divano del soggiorno.
L'uomo poté tornare a respirare senza impedimento, la pressione su di lui cessò e la mano che lo trascinava nei fondali si ritirò.
Sussultò stravolto di emozioni, aprì veramente gli occhi, trovandosi di fronte al visetto del figlio.
Era solo un incubo, nulla di tutto ciò che aveva vissuto era reale. La voce del ragazzo lo aveva condotto nella realtà, in soggiorno disteso sopra il divano.
«Papà? Tutto bene? Ti stavi agitando e boccheggiavi, hai avuto un incubo per caso?» chiese curioso, l'uomo lo tranquillizzò con una carezza.
«Sì, era solo un brutto sogno. Ora torna a letto, sto bene...» rispose alzandosi.
Anche se nulla era veramente accaduto, le sensazioni e lo sconforto erano vere e presenti.
«Tu non vieni?» chiese.
Loris scosse il capo, si rifiutava di coricarsi solo per bagnare di lacrime il cuscino. Pensò fosse saggio alleviare prima il dolore, affinché potesse avere sogni tranquilli e dormire beato.
«Ti raggiungo subito, tu va»
Nel frattempo, proprio nella stessa ora tarda, Gavriel si trovava sveglio a custodire il posacenere davanti a lui. Fissava la cenere e anelava il pungente profumo del tabacco, gustava sul palato l'amaro del kummel bevuto e la dolcezza dei confetti che stava mangiando.
La stanza era quiete, il personale aveva già lasciato la casa, non era rimasto che il padrone.
Così però credeva, perché a sua insaputa, la sua cara e fedele Genna era ancora presente all'interno della villa.
«Signor Heinrich, è ancora sveglio?» domandò.
L'uomo si sorprese di vederla ancora presente a tale ora, doveva già trovarsi a casa sua dai suoi bambini. «Genna, perché sei ancora qui? Vai a casa, devi riposare» disse.
La donna avanzò verso di lui e accennò un sorriso
«Non si preoccupi, ho già chiamato il mio compagno per dirgli che avrei fatto tardi oggi» rispose ponendosi dietro il suo signore, poggiò entrambe le mani sulle sue larghe spalle e cominciò a massaggiarle.
«Non riesco a dormire, se mi corico dopo penso a lui e lo sogno» disse godendosi il tocco magico della donna, abile nel massaggio.
«Loris ha fatto la sua scelta, lo lasci perdere» suggestionò lei.
«No, io so che mi ama, è solo che...» sospirò sconfortato, prese un altro confetto e se lo mangiò.
«Detesto quello che mi ha fatto, mi ha letteralmente regalato la gioia del mondo, me l'ha fatta assaggiare. E poi me l'ha semplicemente strappata via. Ora capisco cosa significa amare e odiare nello stesso momento, è tutta colpa della sua dannata religione e di quel suo problematico di figlio»
Genna esercitò maggior pressione per scacciare lo stress dall'uomo, convinta che rilassandosi, avrebbe ragionato più chiaramente.
Lei aveva avuto molte esperienze in amore, ne conosceva tutte le sfumature, sia quelle belle che quelle brutte. L'amore non era rosa e fiori come narravano i romanzi, esso poteva rivelarsi anche una cronaca, un racconto macabro e triste.
Gavriel invece era ancora un infante, non sapeva nulla dell'amore, egli si era follemente innamorato di Loris e si era convinto che presto sarebbero convogliati a nozze. Aveva la fantasia di un bambino, ignaro sui sentimenti altrui, eppure la mamma lo aveva messo in guardia su chi innamorarsi.
«Quando decidiamo di amare qualcuno, compiamo una impresa molto grande. Si dice che la decisione più difficile da prendere sia il matrimonio, o l'avere figli.
Io credo che la scelta più difficile sia quella di decidere chi amare» disse.
«Non ho mai visto nessuno amare come lei, signor Heinrich, lei è un perfetto esempio per tutti gli uomini che io abbia mai conosciuto. Lei non si è innamorato di un solo Loris, lei ha amato un Loris prepotente, ingrato, cinico, silenzioso, premuroso e severo. Quando ami la forma originale di qualcuno, è come amare nessuno. Quando si ama, bisogna amare tutte le facce di una persona, perché noi cambiamo ogni giorno. Loris è un uomo molto confuso e ha bisogno di pensare e parlare a sé stesso, oggi è un Loris indeciso e freddo. Ma domani sarà una persona diversa, e io so che lei sarà lì ad aspettarlo»
Le sue sagge parole fluirono nell'animo leso dell'uomo, facendolo ragionare e temere.
«Ma se non dovesse farlo?» titubò.
«In quel caso, lei andrebbe avanti con la sua vita. Troverà un uomo che saprà come amarla» rispose lei.
«Ma io non voglio un altro uomo» lamentò, convinto che non ci sarebbe stato uomo simile a Loris.
«Perché un altro uomo non è lui, e io voglio lui. Non lo troverò mai in nessun altro uomo, il suo sorriso, i suoi occhi e i suoi capelli. L'amore che ho per lui non potrò mai concederlo a nessun altro, perché non sarò più capace di amare più di quanto già sto amando adesso. Preferisco morire allora, piuttosto che vivere e amare un altro» disse.
La cameriera sospirò, riconoscendo che non poteva compiere miracoli.
«Ricordo il primo giorno che mi sono innamorato di lui, eravamo insieme nella stanza e mi stava facendo un ritratto. Quando poi si alzò, si avvicinò a me, e mi spostò leggere il polso. Fu all'ora che i miei occhi videro i suoi, e fui come benedetto. Sai quella cosa che i cristiani dicono quando lo spirito santo discende su di loro? Ecco, è così che io, ateo, mi sono sentito. Ho sentito su di me qualcosa di celeste, ed era lui»
Genna annuì, era tangibile l'amore che Gabriel nutriva per Loris.
Mentre se ne stavano silenti nella stanza, Hui irruppe dalla porta facendo un largo e lungo sbadiglio. Camminò verso il suo caro e Genna vedendolo approcciare si distò.
Non gradiva la sua presenza, disprezzava coloro che vendevano il proprio corpo a efferatezza in cambio di denaro. Inoltre Hui era un giovane uomo molto orgoglioso di sé, considerava solo il proprio benessere e se ne fregava del prossimo.
«Ugh, non mi sento più la schiena. Cosa ti sei bevuto, kummel? Senza di me?» domandò accomodandosi sulle gambe del cliente e sollevando il bicchiere. Gavriel lo guardò, incredulo dal fatto che avessero fatto l'amore proprio poco fa, provò rimorso e si vestì di vergogna.
«Con te ho finito, puoi tornare a casa. Genna, portami il libretto degli assegni per favore» disse.
La donna annuì e abbandonò la stanza. Al suo ritorno, consegnò tra le mani dell'uomo il suo libretto e una penna d'inchiostro nera.
«Quanto ti devo?» chiese sfogliando i fogli.
Hui gli rammentò di come avessero trascorso ben tre giorni assieme, nei quali in ciascuno di essi avevano fatto l'amore innumerevoli volte, Hui lo aveva addirittura intrattenuto con le sue doti di danzatore e gli era stato accanto come uno sposo, colmando il suo vuoto e cogliendo le sue lacrime.
Il tutto sommò una cifra che ammontò a una grande quantità di denaro, denaro a cui Gavriel non mancava affatto.
Lo dava per ricevere affetto e attenzioni, pregi di cui Loris lo aveva improvvisamente privato.
Scrisse sull'assegno la cifra e il nome dell'intestatario, dopodiché lo porse a Hui.
«Grazie» disse fiero del compito svolto, infilò la carta nella tasca del pantalone e baciò il cliente.
«Genna, accompagna il signorino alla porta» disse Gavriel, e Genna fece cenno a Hui di seguirla.
«Non esitare a chiamarmi» disse andandosene.
Quando il suo profumo di menta lasciò la stanza, Gavriel passò la mano tra i capelli e sospirò.
Desiderava piangere ma lo aveva fatto così molte volte che non gli erano rimaste più lacrime da versare, si erse dalla sedia e pensò di andare a stendersi sul letto.
Ma sul prendere il telefono che stava sul tavolo e sistemarsi il laccio dell'accappatoio, ricevette una chiamata. Sussultò quando riconobbe il numero dell'amato, salvato con il nome di "Lori".
Sebbene titubante e terrorizzato, rispose alla chiamata e condusse il telefono all'orecchio.
«Pronto?» balbettò, immaginando che Loris gli avrebbe timidamente chiesto di presentarsi a casa sua.
"Magari ci ha ripensato, forse voleva ricominciare tutto da capo".
Pensava, ma dovette ricredersi quando udì il pianto straziante di William.
«William? Che succede? Perché piangi?» domandò preoccupato, il suo cuore sobbalzò alla gola e colto dallo spavento si sedette sulla sedia.
Il ragazzo farfugliava parole confuse, impedito dal pianto.
«Che significa? William, raccontami con calma, che cosa è successo? Dov'è Loris?» chiese Gavriel.
William dichiarò che fosse successo qualcosa di tragico, una disdetta lungo la strada, ma non riusciva a dire che cosa.
«Dove sei adesso?» domandò l'uomo.
Il ragazzo si trovava seduto sulla strada circondato da persone e luci e veicoli, piangeva disperato raggomitolato su se stesso.
«Voglio mia mamma!» esclamava.
«È stata tutta colpa mia, sono stato un pessimo figlio!»
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