33.
Era una notte silente, il chiarore della luna permetteva al giovane uomo di potersi godere il panorama dalla terrazza dell'albergo. Le luci della strada, i fari delle auto e il brio dei lampioni, distavano così tanto da quei venti piani, che sembravano stelle cadute in terra.
Stemperava l'amaro sul palato bevendo una bottiglia di liquore, sperando che la sua pungente dolcezza, avrebbe presto fatto il suo effetto.
Giunse lentamente alle sue spalle la donna, appena uscita da un lungo bagno di riflessione e pianto. Addosso aveva un morbido e pesante accappatoio latteo, ai piedi portava un paio di pantofole firmate con l'iniziale della struttura in cui stavano alloggiando, eran così soffici che l'uomo non udì i suoi passi.
«Loris?» uscì in terrazza e si avvicinò al marito.
Quest'ultimo però non rispose, restò di spalle a guardare le vette dei grattacieli di quella meravigliosa città notturna.
La moglie dunque sospirò, si strinse la cinta alla vita e si appoggiò ai margini della terrazza. Soffiava una misera brezza che solleticò la pelle chiara della donna, giocò con i suoi boccoli d'inchiostro, i quali alcuni finirono attorno alle carnosi labbra lampone. Aveva un viso da bambina, regale, fine e innocente. Eppure si era macchiata di un vergognoso atto, ragione per cui il marito era tanto arrabbiato.
«Tu credi di avere sempre ragione? Ti credi perfetto? Sei Cristo per caso?» Domandò.
Loris volse lo sguardo verso di lei con malavoglia, avrebbe preferito guardare il nero in cielo piuttosto che quello nei suoi occhi e quello dei suoi capelli. Il suo sguardo da cerbiatta abbattuta non lo commoveva affatto, anzi, crebbe maggior rabbia in lui.
«Dunque tu saresti la vittima?» chiese dilettato.
Clara lo guardò con sdegno, inabile di capire come fosse riuscita a sposarlo. Eppure ne era davvero innamorata, il giorno in cui si lasciò condurre nella sua camera da letto, ella nutriva molto affetto verso di lui. Nessuno l'aveva costretta ad amarlo, lei aveva voluto molto bene a Loris.
«Sono colpevole, ma sono anche giustificata...» Loris issò gli occhi e bevve un altro sorso di liquore, per dimenticare subito le parole udite.
«Ho sentito il tuo amore verso di me scarseggiare, ti atteggi come un maledetto cinico del cazzo!» esclamò.
Per quanto avesse cercato di trattenersi dal compiere atti violenti, o nel pronunciare volgarità, quello sfregio lo falciò personalmente, e gli andò di traverso un sorso di liquore. Guardò la donna con ribrezzo, incapace di ricordare il motivo per cui l'avesse presa in moglie.
Ella agli occhi suoi non era niente meno che una serpe con il nettare sulla lingua, bugiarda ed egoista, testarda ed immatura.
Egli non tollerava atteggiamenti immorali, detestava chi era efferato e lesto nel compiere perversità.
Vide dinanzi a sé quella che era una donna posseduta dal demonio, preda di uno spirito immondo, sporca di menzogna e peccato.
Percosse con ferocia la guancia della donna, certo che così facendo, ella si sarebbe schiarita la mente.
Clara si ritrovò a terra illesa, con la pelle che scottava e l'orecchio che fischiava. Loris posò la bottiglia, si chinò verso di lei, le spostò i capelli dal collo, e disse.
«Non ti permettere mai più in vita tua, di parlare così a me»
Clara singhiozzò terrorizzata, consapevole delle maniere ardue del marito. Egli non esitava a compiere violenza, ai suoi occhi una sberla era sempre necessaria se richiesta.
«Io non volevo, giuro che non volevo...» balbettò in lacrime, timorosa che sarebbe stata picchiata su quella terrazza. Ma non temeva per le lividure, piuttosto, non voleva che suo figlio la sentisse urlare.
Per sua fortuna però, anche Loris meditò lo stesso pensiero, non voleva che il bambino diventasse testimone di uno sgradevole scenario.
«Ti ho sentito distante in questo periodo, volevo solo sentirmi amata da qualcuno, io volevo sentirmi bene. Per te sembro non essere mai abbastanza, pretendi sempre troppo da me. Giuro che ho provato a trattenermi, ma non ci sono riuscita. Loris ti prego, ti supplico amore mio...»
Loris la guardò, ma non riuscì a nutrire alcuna misericordia per lei. Aveva visto con i propri occhi il peccato commesso dalla donna, il cuor suo ardeva d'ira e non vedeva altro che quel maledetto bacio avvenuto tra lei e il fratello.
«Mi fai schifo» dichiarò con tono acre, ma provò dolore nel dirlo, non pensava che un giorno l'avrebbe detto alla donna che amava.
«L'unica cosa di te che amo, Clara, è il bambino che mi hai dato. Ma il resto può anche marcire all'inferno, non ti perdonerò mai per quello che mi hai fatto. Hai fallito come moglie, come madre e come donna. Ti dovresti vergognare, ti dovresti far ribrezzo. Io mi odierei se fossi in te»
Le sue acerbe parole defluirono in lei, consumandole le membra pezzo per pezzo come un malanno. Clara riconosceva di aver sbagliato come moglie, ma non credeva di meritare tutto quel disprezzo da parte del marito. Voleva comprensione, perdono e amore.
Ma Loris non voleva più il suo affetto, non la considerava più sua moglie, né tanto meno madre di suo figlio.
Passarono mesi da quella notte all'albergo di Wasaga Beach, tempo che Loris e Clara usarono per meditare sulle pratiche del divorzio. Era quasi tutto pronto, gli avvocati di entrambi si eran agguerriti, pronti per affrontare una lunga battaglia legale per la custodia del piccolo.
Ma il Natale era giunto alle porte portando con sé lo spirito di allegria e delizia. Entrambi sapevano che il Natale era la festività preferita dal figlio, di conseguenza, decisero di donargli una giornata di festa calorosa e contenta. Si trattennero dalle liti, finsero sorrisi pur di regalare al bambino una piacevole giornata natalizia. Nessuno citò il divorzio, quella sera la trascorsero a casa di lei, dov'erano presenti tutti i componenti familiari. William si rallegrò molto, adorava il Natale, e soprattutto, adorò tanto il regalo che ricevette dalla nonna Terenzia.
Era una bambolina del suo adorato cartone animato "Hello Sandybell", se ne innamorò a prima vista e cominciò ad accudirla come figlia propria.
Oltre a quello i doni furono molti da parte dei pareti, che gli fecero trovare sotto l'albero puzzle a pastelli colorati, costruzioni e modellini ferroviari.
William ne fu molto contento, ma la bambolina restò il suo preferito. Non l'abbandonò più, fu con lui per tutta la serata.
Cenarono tutti assieme presso la lunga tavola, brindarono all'arrivo di un nuovo anno, festeggiarono per l'ennesimo Natale trascorso insieme, e si rallegrarono tra le bollicine di vino e champagne.
La serata si concluse tranquilla, con William mezzo assopito e i genitori ansiosi di rimboccarsi sotto le coperte e dormire.
Salutarono la famiglia, si abbracciarono, e si promisero che si sarebbero rivisti presto.
Infine, dopo i lunghi saluti, tutti e tre si misero in auto e partirono.
Era previsto un viaggio silente secondo Clara, all'oscuro dei pensieri del marito, ma prossimo a condividerli con lei.
Egli pativa di un gran prurito, per tutta la serata aveva dovuto sopportare la pesante presenza del cugino della moglie.
Costui era un uomo molto affettuoso e amorevole, nutriva un particolare affetto verso la cugina, e lo dimostrava con baci, carezze e lunghi sguardi. Aveva rivolto più volte complimenti al vestito della donna, e Loris lo avevo sorpreso calare gli occhi verso il suo petto.
Clara tuttavia, non ci vedeva nulla di strano. Amava suo cugino, lo considerava suo fratello, egli era stato suo migliore amico sin da quando erano in fasce. Quei baci e quelle carezze, erano solo una dimostrazione del suo amore.
«Te l'ho detto che ci sarebbe stato anche mio cugino, non è colpa mia se poi te lo sei dimenticato» disse frustrata.
«Sai benissimo che lo detesto, non mi piace la maniera in cui ti guarda» ribatté Loris, ancora infastidito da quella carezza.
«È mio cugino» marcò Clara.
«Gli piaci è evidente, solo che tu sei troppo scema per capirlo. Cazzo, ma hai visto come ti guardava il seno? E poi non credere che non abbia visto quando ti ha toccato i fianchi. Quel bastardo non ha alcun rispetto, è un maiale!»
«Santo cielo, Lori siamo cresciuti insieme! Cosa vuoi che faccia?» ribatté irritata, Loris cennò una risata e sorvolò con gli occhi.
«Beh, magari digli di contenersi? O forse sono io che pretendo troppo? Dopotutto a te piace farti toccare dagli altri uomini, è quello che fai quando ti senti "meno amata".
Sono sicuro che assieme giocavate al gioco del dottore a porte chiuse a casa di tuo zio» disse.
Il figlio, udendo nominare quel gioco, interruppe la sua silenziosa conversazione con il giocattolo che aveva in mano, per poter rispondere al genitore.
«Anche a me piace il gioco del dottore»
Loris sollevò lo sguardo verso lo specchietto, credeva che il bambino stesse dormendo, ma s'irritò quando lo trovò sveglio seduto a bordo del suo seggiolino.
«Will sta zitto, io e tua madre stiamo parlando» disse.
La moglie s'irritò del tono usato contro il piccolo, di conseguenza ne prese le difese.
«Non parlare così a mio figlio» disse.
Loris la guardò e si meravigliò, dopotutto era anche figlio suo, aveva diritto di potergli dire quanto voleva, usando il tono che desiderava.
«Perché ti sei ingravidata da sola, giusto? Clara per favore, sono già molto incazzato, non farmi arrabbiare ancora di più» rispose.
«Tu sei sempre incazzato» disse Clara, e come era abitudine sua fare fin da bambina, si pose le mani tra i capelli e iniziò a tirarli. Lo faceva quando tristemente furiosa o agitata, si addentava il labbro o la mano, rivolse lo sguardo al finestrino e si premette contro la portiera.
Desiderava mantenere più distanza possibile dall'uomo.
Cominciò a piangere, rammentando il loro primo incontro dentro quel bar dove lei lavorava. Se solo Loris non si fosse fermato lì per fare colazione, ora non sarebbero insieme a bordo di quell'auto.
«Ora perché piangi?» domandò irrequieto.
Il bimbo guardò la madre piangere, ma non riusciva a comprenderne la ragione.
«Sono stanca» confessò.
«Non ti sopporto più, basta...»
Loris soffio, tese la mano verso la sua spalla e la strinse per risollevarle l'animo.
«Allora perché non te ne vai, eh? Sposati mio fratello e andate a vivere in culo al mondo, così non sarai più costretta a sopportare il tuo fedele marito. Dovrei dire io che non sopporto più te, incredibile, fai anche la vittima...»
Mentre Loris parlava acidamente a sua moglie, William toccò uno dei pulsanti vocali che faceva ridere il giocattolo che aveva in mano.
«Will, spegni quel coso» disse Loris.
Ma il piccolo non aveva idea di come lo avesse acceso, di conseguenza non sapeva nemmeno come spegnerlo.
«Non so come si fa, dove devo premere?» chiese.
«Spegnilo o te lo butto dal finestrino!» sbraitò furioso.
«Ma non si vuole fare! Mi aiuti? Mamma me lo spegni?» il bambino andò in panico, iniziò a scalciare e a tendere il giocattolo verso uno dei genitori, affinché potessero aiutarlo a spegnerlo.
Ma la donna aveva le mani occupate, ella stava componendo delle lettere sul proprio telefono a qualcuno.
Loris lo notò e si fece sospettoso, pensò subito trattarsi del fratello, oppure del cugino.
«A chi scrivi?» chiese.
«Non sono affari tuoi» ribatté la donna.
Loris venne pervaso da miriadi di pensieri intrusivi, pensò che la donna stesse pianificando di vedersi con uno dei due uomini, pensò che lo stessero deridendo.
Non poteva accettarlo, era un oltraggio verso la sua autorità e titolo di marito.
«Ora basta, dammi il telefono» ordinò tentando di strapparglielo dalle mani.
Ma la donna si oppose, rifiutò di consegnare l'oggetto nelle mani dell'uomo.
«No!» esclamò.
Loris si ritrovò a bisticciare con la donna, mentre lottavano per ottenere il telefono, il figlio continuava a pregare che uno dei due potesse spegnere il chiassoso giocattolo.
«Non mi toccare!» urlò la donna.
«Scrivi a Loren, non è così?» Loris era così determinato a strapparle dalle mani il telefono, che distò le proprie attenzioni dalla strada.
La donna gridava disperata, il bambino piangeva e pregava di smetterla, nel frattempo il giocattolo non cessava di ridacchiare ed emettere buffi squilli petulanti.
L'auto traballò e si ritrovò a guidare sulla corsia affianco, Loris reggeva con una mano il volante mentre con l'altra aggrediva la moglie.
Quest'ultima sollevò le ginocchia e si chiuse in sé stessa, così facendo, nessuno dei due fece caso al grosso mezzo che stava per giungere davanti a loro.
Quando Loris venne accecato dai fari fu troppo tardi, il suono del clacson seguì quello del violento schianto.
L'auto venne immediatamente respinta contro i margini della carreggiata, rotolò su di sé e restò capovolta una volta che cessò di girarsi.
Il camion con cui avevano scontrato trasportava grossi tronchi d'albero, il conducente, colto dal terrore, proseguì a guidare senza prestare il minimo soccorso.
Loris e la sua famiglia si ritrovarono intrappolati dentro il veicolo, soli e privi di coscienza.
Il piccolo respirava ancora, si trovava seduto sopra il seggiolino, che non aveva fallito nel suo scopo di proteggerlo. Loris invece, si trovava con entrambe le braccia a penzolare, aveva le palpebre ferite dalle lenti degli occhiali, rottesi sull'impatto.
Clara invece, stava anelando quelli che erano i suoi ultimi attimi di vita.
Riportava una profonda lesione alla fronte, un coccio di vetro l'era finito alla gola.
Tentò di chiudere la ferita ma inutilmente, non aveva forza nelle braccia.
Scoccò l'una di notte, Clara inalò il suo ultimo respiro. Dopodiché singhiozzò a stento il nome del figlio, pregando in cuor suo che non lo avrebbe incontrato una volta nell'aldilà. Gli occhi suoi si spensero, la vita dal suo corpo svanì come la fiamma di un lume soffiata dal vento.
Suo marito, che si trovava esattamente alla sua sinistra, ignaro di aver perso la moglie e la piccola creatura che si stava formando nel suo grembo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top