32.

Il sole si sollevò oltre i capi delle abitazioni, i cieli si fecero limpidi, e le nuvole vennero falciate da lame di luce.

La notte era stata benevola, quiete e tranquilla, ora se n'era andata lasciandosi dietro ricordi sabbiosi di sogni e ricordi.

La testa di Loris era appoggiata sul cuscino, sveglio dalle prime giovani ore del giorno, poiché colto dal lieve bruciore alle mani. Ci soffiò leggermente sopra e si medicò con baci e carezze, ma nulla sembrava alleviare il dolore.
Dinanzi lui stava addormentato il figlio, si erano coricati assieme nello stesso letto, per potersi fare compagnia.

Loris vide il volto di sua moglie, e ne rimase amareggiato. William non possedeva nulla di lui, né interiormente né esteriormente, egli era gemello della donna che aveva preso in moglie.
Tese il braccio verso di lui e lo accarezzò dolcemente sulla guancia, provocandogli una piacevole sensazione di conforto.

Non serbava alcun rammarico verso di lui, le ferite sui palmi delle sue mani erano beffe confronto a ciò che il ragazzo aveva subito.
Non riusciva nemmeno a immaginare come quell'uomo, a cui aveva dato tutta quanta la propria stima e lealtà, avesse soddisfatto le sue perverse sevizie abusando di un innocente giovanotto che di male non ne aveva commesso alcuno. Non riusciva a capacitarsi di comprendere, il sol pensiero lo disgustava, l'odio che aveva per lui era maggiore di quello del fratello, della moglie e il diavolo.

Se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe trattato con Dio, chiedendo di vivere l'orrore passato dal figlio, affinché quest'ultimo ne restasse intoccato.
Ma non era possibile, la realtà lo accecò di tristezza.
Baciò la fronte del ragazzo e lo accarezzò di nuovo, riconoscendo che purtroppo, baci e carezze, non avrebbero lavato via il danno compiuto.

"Daniel merita le pene dell'inferno più di chiunque altro" pensava.

Mentre teneva le labbra posate sulla pelle chiara del figlio, il campanello di casa venne premuto.
Ignaro di chi potesse essere a tale ora, l'uomo si alzò dal letto e abbandonò la propria stanza.
Scese al piano di sotto privo di occhiali, convinto che non gli sarebbero serviti, immaginò che dovesse trattarsi del postino o della vicina.

Il pensiero che potesse trattarsi proprio di lui non lo sfiorò nemmeno di poco, difatti, quando aprì la porta dell'ingresso, restò di stucco e senza parole.

Anche se l'immagine di fronte non era limpida, riconobbe l'uomo dal suo pungente e costoso profumo.
«Che cosa vuoi tu?» domandò reggendo rigidamente la porta, impedendo così a Gavriel di poter accedere.

«L'uomo con cui mi hai visto ieri era solo una conoscenza, nulla di più. Dal momento che non ti stavi facendo più sentire, ecco... mi mancava stare in compagnia di qualcuno, lui era lì solo per compiacermi fisicamente» confessò, notando subito di come il compagno tenesse entrambi gli occhi sottili, comprese dunque che fosse dovuto al fatto che non avesse addosso i suoi occhiali.

Loris ciononostante, fece fatica a credere alle sue parole, si sentiva ancora gravemente oltraggiato, esattamente come il giorno in cui sorprese la moglie assieme suo fratello.

«Tu mi ami, vero? E mi conosci anche, io non ti tradirei mai, piuttosto preferisco morire» domandò Gavriel, timoroso di star per perdere l'amore della sua vita.

Loris rifletté su quella domanda posta, sospirò e calò giù lo sguardo, chiedendo a sé stesso se ne fosse davvero ancora innamorato dopo quello.

Ma la verità era che lo era, anzi, molto.

Loris sapeva di essere affezionato a Gavriel come Arianna lo era a Dionisio, come Ero a Leandro e come Orfeo a Euridice.

Negarlo sarebbe stato come rifiutare di credere che il cielo era di colore azzurro, egli non era stupido, non era capace di gestire i sentimenti e l'emozione, ma le conosceva.

Gavriel lesse negli occhi di Loris tutto ciò che le sue labbra non riuscivano a dire.
Condusse la propria mano al suo viso e tentò di accarezzarlo, ma l'uomo si distò e respinse la carezza.

«Mio figlio è in casa» disse.

«Potremmo parlare nel tuo giardino» suggerì Gavriel, sapendo che Loris possedeva un grazioso retro di casa con assieme una serra.
«Ti supplico» aggiunse.

Loris ci pensò, e accettò.
Prese le chiavi e uscì dall'abitazione in pigiama e con entrambi i piedi nudi, ma non se ne curò più di tanto, il prato che avrebbe calpestato era di sua proprietà.
I due uomini camminarono verso la serra, vi ci entrarono e iniziarono a conversare.
Loris fu il primo a scandire parola, aveva molto di cui chiedere.

«Dunque lui era solo la tua puttana, hm. Dove lo hai trovato? Al negozio dell'usato? In un troiaio?» Domandò, non riuscendo a celare la propria invidia nemmeno mediante il tono e l'espressione, tremendamente imbronciata e infantile.

«Più o meno, qualcosa di simile» rispose Gavriel, compiaciuto della gelosia del compagno. Egli aveva incontrato Hui presso un locale notturno dove non era solito andare, Hui ci lavorava come intrattenitore. Durante il numero, aveva fiutato il profumo di soldi sui capi firmati dell'uomo, così lo aveva sedotto, cogliendo le sue lacrime e colmando il dolore dentro di lui.

Loris serrò le braccia al petto e si avvicinò all'uomo con fare interrogatorio.

«Quante volte lo avete fatto?» chiese.

Gavriel aveva molto rispetto verso l'amato, mai e poi mai gli avrebbe mentito, di conseguenza, pur sapendo che lo avrebbe ferito, decise di dirgli la verità.
«Solo due volte, la sera del nostro primo incontro e prima che tu ci trovassi al bar» la sua dichiarazione lasciò Loris senza alcuna sorpresa, dopotutto, lo aveva intuito.

«E... com'è stato?» Chiese timido.
Gavriel sogghignò, fiero di non dover nemmeno mentire.
«Non riusciva a farmi eccitare inizialmente, ho dovuto chiamarlo con il tuo nome» Gavriel fece scorrere lentamente il suo sguardo lungo il didietro di Loris, lo guardò con malizia e incanto.

La schiena di Loris venne percossa da un piacevole solletichino, la sua sete era stata appagata con l'idea di possedere il didietro più bello. Era come aver vinto un duello, l'alloro si trovava sul suo capo e lo sconfitto sulla sella del mulo.

Ma poi ricordò, ricordò da dove veniva e a chi davvero apparteneva. Il piacere che Gavriel poteva offrirgli sarebbe stato breve, tutto terreno.

Ma non poteva negarlo, non poteva mentire. Lo amava terribilmente troppo.

Singhiozzò, si coprì leggermente il volto e diede le spalle al suo amato.
«Stai piangendo?» fremette Gavriel, sentire o anche solo vedere che Loris piangeva lo distruggeva.

«Io ti detesto, detesto come tu sia riuscito a sedurmi e a farmi innamorare così tanto di te, Gavriel. Odio dover pensare a te per riuscire a dormire, odio dover fingere di averti davanti per sorridere agli altri, odio dover costantemente chiedermi come stai. Sei riuscito a prendermi tutto il cuore, tutto. Così tanto che non c'è più spazio per Cristo, per il mio Salvatore, anzi, mi sento più salvato quando faccio l'amore con te, che quando metto piede in chiesa...»

Le parole di Loris danzavano per la tristezza presente nella sua gola, ma per Gavriel ogni lettere arrivava chiara e netta.

«Ti odio, davvero. Ma allo stesso tempo, se avessi la possibilità di tornare indietro, prima dei baci e del sesso. Oh, rifarei tutti quegli errori da capo, e anche peggio. Ho sentito l'universo schiacciarmi quando ti ho visto con quell'uomo, mi sono sentito così male»

Loris si voltò, rivelando la cascata di fiumi che sfociavano dai suoi occhi rossi di tristezza e amaro.
Aveva le guance bagnate e il volto rosso.
Si avvicinò a Gavriel e si accasciò su di lui come se incapace di reggersi.
«Ho pensato di averti perso, pensavo che avessi smesso di amarmi, pensavo che per te io non fossi nulla. Ho avuto così tanta paura...»

Gavriel guardò in lacrime il suo amato, aveva il cuore che bolliva e la pelle che scottava.
«Oh Loris, il mio amore per te esisterà anche dopo la mia morte. Mi dispiace per averti spezzato il cuore, ho sbagliato e ti chiedo perdono»

Loris asciugò le lacrime del compagno con un bacio, confessando che, non sentiva alcuna rabbia.
«Mi perdoni?»

Chiese Gavriel, che nel mentre spogliava il compagno di tutto ciò di cui era vestito, lasciandolo completamente nudo.

Mentre i due uomini si accoppiavano in carne e lacrime, la sveglia di William annunciò l'orario previsto per alzarsi. Il ragazzo si svegliò per porre fine a quel suono così petulante, e concedersi altri cinque minuti di riposo.
Ma quando aprì entrambi gli occhi, davanti a sé trovò solo le grosse dune delle lenzuola e il cuscino. Non c'era più traccia del genitore.

«Papà?» non sentiva alcun profumo di colazione giungere da di sotto, né udiva il gorgoglio dell'acqua dal bagno, e nemmeno il quotidiano in soggiorno.
Scese dal letto e chiamò il padre, convinto di vederlo giungere a momenti da qualche angolo della casa. Ma i suoi richiami non ebbero risposta, suo padre sembrava non esser presente.
Pensò dunque che dovesse essere uscito di casa per controllare la buchetta della posta, o per conversare con la vicina. Ricordava di come nel sonno aveva udito il suono del campanello, concluse che fosse davvero la signora Redshank. Ma poi notò la presenza dei suoi occhiali, abbandonati sopra il comodino della stanza.
"Che li abbia davvero dimenticati?" suo padre non lasciava mai i suoi occhiali in giro, erano sempre con lui dal momento che senza aveva una pessima vista.
"Glieli porto io" pensò.
Perciò indossò su un paio di calzetti, si sistemò i capelli e uscì sul portico, certo di ritrovarsi il genitore davanti.

"È uscito senza dirmi nulla? Non lo farebbe mai, e poi senza occhiali dove crede di andare? È praticamente una talpa senza questi" pensava.

Cominciò a preoccuparsi, suo padre non si sarebbe mai allontanato senza dirgli nulla.
Guardò l'abitazione della cucina, pensando che magari si fosse recato da lei, ma le tende di casa erano tutte serrate e la donna sembrava non essersi ancora svegliata.

"E se stesse irrigando le piante?" Loris innaffiava spesso i fiori nella serra, amava prendersene cura e vederli crescere.
Aggirò la casa e si avviò verso la serra dov'era convinto fosse presente il padre, ma mano a mano che si faceva vicino alla struttura, William poté iniziare a sentire dei curiosi rumori provenire proprio da lì.
Ebbe terrore, credette subito a un ladro. Ma poi rifletté, e pensò fosse insolito esser derubati da un ladro di piante e fiori.
Doveva trattarsi di un animale selvatico, oppure un gatto era riuscito a entrarvici, com'era già accaduto in passato.

Si fece coraggio e si avvicinò sempre di più, preparandosi per qualsiasi cosa prossimo a vedere.

Udì il rumore di un vaso, quest'ultimo era stato spostato dal corpo di Loris, fatto sedere lungo il tavolo dal compagno.
I due erano ignari dell'arrivo del figlio, eran così presi dal momento, che non fecero caso nemmeno allo scompiglio che stavano creando.
Giacevano cocci di vaso, cumuli di terra e fiori calpestati lungo il pavimento.

William a quel punto, capì che non poteva trattarsi di un gatto, e nemmeno di un ladro.
Riuscì a riconoscere la voce del genitore, gemere a briglia libera tra sussulti e cigolii.

Restò freddamente pietrificato alla soglia, avveduto di ciò che si stava svolgendo all'interno della piccola serra.
Suo padre non si stava affatto prendendo cura delle piante com'egli pensava, e fu chiara la ragione per cui non si era portato dietro gli occhiali.
Diventò testimone di uno scenario a cui mai avrebbe pensato di assistere, colse Gavriel in fragrante, entrare e uscire valente e con ardore dentro suo padre, provocando a quest'ultimo un inopinato senso di fulgore e rigoglio.
Anelava stordito dalle impetuose dosi d'impeti regalate dagli abili fianchi del compagno, ogni movenza era generosamente saziata di vigore, Loris si sentiva medesimo a un calice turgido al culmine, realizzato fino al fulcro.

«Oh sì, così...hmm» gemeva al suo amato, e baciandolo di tanto in tanto per esortarlo.
«Ti piace, babe?» sospirò Gavriel.
Loris si addentava il labbro e si stringeva la pelle per contenere tutto quanto il piacere.

A William caddero gli occhiali dalle mani assieme la mascella, il rumore dell'impatto tra il suolo e le lenti avvertirono i due uomini della sua presenza.

Loris riconobbe la figura sfocata del figlio e venne colto dal terrore, precipitò in uno stagno di berlina e bruciò nel più caloroso fuoco di vergogna.
Sì fece così rosso da scottare la pelle del compagno, il quale si distò da lui una volta visto il ragazzo.
Si sentirono come sue malfattori colti sul fatto, distanti dal potersi giustificare o pulirsi le labbra.

William sentì le proprie gambe cedere, ma riuscì a compiere alcuni passi indietro e ad allontanarsi.
Suo padre, ovviamente, si rivestì, corse fuori dalla serra e colse gli occhiali.

«No William, aspetta! Aspettami!» gridava correndogli dietro, ma il ragazzo entrò dentro casa, chiudendo in faccia la porta al genitore. Ma Loris aveva con sé le chiavi e riuscì a entrare poco dopo aver ricevuto l'urto al naso.

«William, ascoltami, vieni qui!»
Riuscì a trovarsi pari passo con il ragazzo, lo fermò e tentò di calmarlo.
Ma William si rivelò essere molto offeso da quello che aveva visto, guardò il padre con ribrezzo e mantenne una notevole distanza da lui. Sollevò la maglia e scoprì la presenza di una lunga striscia sulla pelle.
«Questa me l'hai fatto tu, per aver baciato un ragazzo!» strepitò furioso.
A quel punto Loris comprese la vera ragione per cui il figlio era così tanto arrabbiato.

«Hai perfettamente ragione, sul serio ma... » provò comunque a giustificarsi ma non resse contro l'ira del giovane, ogni sua parola veniva demolita ancor prima che potesse anche meditarla.

«Tu e il signor Gavriel state insieme, tu ti fai fare quelle cose da lui? Tu?» domandò.

Parlando dell'uomo in questione, Gavriel si presentò alle loro spalle con espressione sconvolta.
«Shh parliamone, okay? Parliamone assieme, ti prego» invitò Loris cercando di placare le acque, timoroso che qualcuno li avrebbe sentiti.

«Ecco perché se ne stava sempre qui come un fottuto parassita, voi due scopavate, tu fai sesso con lui come lo facevi con la mamma! Perché?» esclamò frustrato, alzando sempre di più la voce.
E Loris, preoccupato che qualcuno avrebbe potuto sentirlo, percossa la guancia del figlio per farlo tacere.

«Non ti permettere di parlare così a tuo padre» ringhiò sussurrando.
William era incredulo, non solo suo padre faceva sesso con Gavriel, ma ora lo aveva pure inzittito con una sberla.
Loris strinse per il braccio il ragazzo e lo condusse dentro casa, invitando Gavriel ad attendere di fuori.

Gavriel annuì, e concesse ai due del tempo per conversare privatamente al piano di sopra, Loris e suo figlio si recarono nella camera matrimoniale, si sedettero sul letto uno affianco all'altro.

«Okay, lascia che ti spieghi. Hai visto male...» disse Loris.
Ma suo figlio lo interruppe, sapeva di aver visto bene.
«Non sono stupido, ho visto benissimo papà, ti ho visto con lui, ho visto tutto...» assieme allo spavento c'era anche l'incredulità e l'imbarazzo, William aveva un'immagine ben sottolineata del padre, ma ora quell'immagine era stata distrutta da quella scena che non avrebbe mai più abbandonato la sua testa.

«Ma io non capisco, perché? Lo ami?» chiese assai confuso.

L'uomo prese le mani del giovane e le racchiuse nelle proprie, lo guardò negli occhi e gli narrò tutto quanto dal principio. Non tralasciò nulla, descrisse come i suoi pensieri verso Gavriel fossero maturati nel tempo, e raccontò di come se n'era follemente innamorato.
William restò ad ascoltare, mano a mano si faceva sempre più sconvolto e perso. Odiò Gavriel per essersi messo nella vita del genitore, l'odiò perché si era convinto di potergli portare via il padre.

«Non l'avrei mai detto e pensato ma sì, io sono innamorato di lui» sospirò.

Si sentì sollevato nel dire tutto ciò al figlio, ma prima che potesse dire che aveva intenzione proseguire la relazione in maniera più conforme e gradita sotto l'aspetto morale, William soffiò e dichiarò quanto serbava nel cuore.

«No... Io non voglio che tu ti risposi. Non puoi, no» poi erse gli occhi al genitore e lo strozzò con odio.
«Nessuno può prendere il posto della mamma, di mia madre. E come cazzo dovrei chiamarlo? "Papà due"? Oppure "Babbo", "Papino"?»

Le sue parole lasciarono Loris sconcertato, non immaginava che il ragazzo avesse tali pensieri in testa, non pensava che nutrisse questi timori. Sposato o meno, lo avrebbe amato comunque. Inoltre lui stesso abitava sotto lo stesso ombrello, tali parole dette da uno che trovava amore in un uomo e nella femminilità, lasciarono Loris confuso.

«Poi io non voglio chiamarlo papà, mi basti tu, non voglio avere due papà. E che accadrà quando vi sposerete, eh? Adotterete un figlio, lo chiamerete William e vi sbarazzerete di me? Perché lui? Che ha che la mamma non aveva? Perché? Avevi detto che era un viziato narcisista, allora perché ora lo ami? Avevi detto che volevi bene a me, allora perché farmi questo?»

Il ragazzo scoppiò in lacrime e ritirò le mani da quelle del padre per potersele mettere in volto, e celare così il suo sconforto.

«Ed è vero, Will, sono tuo padre perché mai dovrei sostituirti?» pronunciò il padre, realizzando che anche se si fosse innamorato di una donna, il figlio avrebbe comunque avuto la stessa reazione.

Il ragazzo lo guardò e fu assai tentato di percuoterlo sulla guancia, ma nonostante la circostanza, non dimenticò chi era veramente suo padre.
Così si alzò dal letto, si avviò verso la porta e urlò.
«Fai il cazzo che vuoi! Non me frega! Scopate quanto volete, andatevene e partite senza di me!» dopodiché sbatté fortemente la porta di camera sua.

Si ersero strilla, rumori di mobili ribaltati, carte strappate e oggetti urtare contro le pareti.
Pareva posseduto dal demonio, scagliava addosso ogni cosa tutto ciò che gli capitava sotto mano.
Per abitudine si tirò i capelli, si morse le mani e si gettò sul letto con il viso rivolto al cuscino.

Non poteva accettarlo, non riusciva a immaginare suo padre coinvolto in un secondo matrimonio. Sua madre non se lo meritava, ella era l'unica e sola, nessuno era degno di prendere il suo posto. Inoltre, la paura di essere abbandonato dal padre, lo divorava da dentro.

Loris si riguardò e meditò sulle parole del figlio.
Ora erano due a non volerlo assieme a Gavriel.

Scese al piano di sotto, dove trovò l'amato ancora seduto sul divano. Aveva udito tutto, non c'era bisogno di spiegarglielo. Loris si sedette alla sua sinistra e sospirò, pronto a dirgli ciò che ne pensava.
«Gavriel, non lo nego, tu mi piaci un sacco» cominciò.

Gavriel gonfiò leggermente il petto, oramai certo di quello che Loris voleva fare.
«Come l'ha presa?» chiese.
«Ecco...» rispose Loris.

Gavriel accennò una risata, giusto per attenuare la tensione.
«Quindi?» ribatté.

A Loris venne concessa una seconda e ultima scelta, doveva scegliere con saggezza, mettere da parte i sentimenti e ragionare con la logica, esattamente come aveva sempre fatto.
L'amore che aveva per William era immenso, pari a nulla presente in cielo e in terra. Lo amava più di qualsiasi altra cosa, sarebbe morto per lui, avrebbe sollevato colli e spostato mari. Lo aveva visto nascere e crescere, lo aveva amato ancor prima che la moglie e lui avessero potuto generarlo.
Se il figlio voleva il mondo, allora glielo avrebbe dato, se voleva il cielo, glielo avrebbe portato giù.

Riconosceva di non essere stato un padre perfetto, e quello era l'unico modo di rimediare a ogni suo errore e di rendere fiero sia il genitore che il Padre.

Non era necessario dirlo, i suoi occhi parlarono.
Gavriel si spense, perse tutto il suo brio e vigore. Per la prima volta, detestò lo sguardo di Loris.

«Mi stai prendendo per il culo? Loris, tuo figlio non ha alcun diritto di dirti come cazzo vivere la tua vita solo perché non sa gestire la sua gelosia» cercò di trattenere le lacrime ma invano, i suoi occhi si tinsero di rosso e le sue guance si bagnarono.

Loris si voltò, non riusciva a guardarlo in quello stato.

«Non è solo per William, ma anche per Dio. Pensavo di stare con te senza compiere alcun atto immorale, ma ora credo sia meglio non stare proprio insieme. Né spiritualmente, né fisicamente. Gavriel, sono giunto al punto che di te non riesco fare proprio a meno, non riesco a non amarti, ma il tuo amore mi sta deviando, mi sta accecando» disse.

Gavriel si pose sulle ginocchia, si avvicinò all'amato e iniziò a implorare.
«Loris, te ne prego, tu lo sai che per me vali moltissimo» disse.

Ma Loris mantenne il suo sguardo distante, non lo degnò nemmeno della punta del naso.

«Possiamo farlo ragionare, ci si abituerà, ti giuro che me ne prenderò cura, lo amerò come figlio mio» diceva.
Il suo pianto giunse alla camera del ragazzo, il quale ascoltava con fierezza le parole del genitore.
«Te lo porterò a scuola, mi accerterò che avrà un futuro meraviglioso, cederò a lui i miei beni come farebbe qualsiasi genitore. Ti prego Loris, io non riesco a immaginare di vivere un solo giorno senza di te. Se temi che non sarò un buon genitore, dammi almeno la possibilità di dimostrarti il contrario»

Loris rimase di spalle, non riuscì a trattenere le lacrime. Singhiozzò e issò gli occhi al cielo per serbare l'oceano di lacrime nei suoi occhi, sospirò e respinse ogni contatto da parte del compagno, consapevole che se lo avesse guardato anche solo per fallo, si sarebbe indebolito e avrebbe ritirato ogni cosa detto.

Il figlio suo lo esortava in cuore, sperava di assistere a un abbraccio di addio. Ma Loris non gli concesse nemmeno quello, si fece forza, fece un profondo respiro e disse.

«Ho preso la mia decisione. Non tradirò Dio per te, non deluderò mio Padre e mio figlio. Per favore, vattene»

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