29.

Sedeva a ponderare sopra la sedia della cucina, solcava smarrito tra i suoi pensieri, inghiottito dal rimorso.
Reggeva in mano la collana dall'amato donata, incapace di strapparsela via, la toccava rimembrando a lui e al suo profumo.
Non aveva memoria di quel che era successo, non possedeva un solo briciolo di schizzo in quel riquadro di mistero. Ricordava di aver aperto una bottiglia di vino, ma non con il proposito di recarsi da lui.

Il suo corpo lo aveva tradito, esso si era così legato a quello di Gavriel, che si era condotto presso la sua dimora completamente da solo.

Si sollevò gli occhiali e liberò corsi di lacrime lungo entrambe le guance, non cercò di fermarne nemmeno una.
Poteva udire la voce di Dio rimproverarlo, ergeva il dito verso lo stagno di fuoco, come condanna della sua ignobile condotta.

Non si riconobbe, solo mesi fa, egli era un uomo retto ed estraneo a ogni sorta di abominio. Ora però, era follemente innamorato di un uomo, bramava di fare l'amore con lui come non mai.

Piangeva, strinse al petto la collana e pensò amaramente a ciò che aveva commesso con la propria carne, oramai non più come prima.
Gavriel era riuscito a sedurlo, a farlo innamorare di lui genuinamente. Nessuno lo aveva costretto, non c'era in gioco la vita del figlio e nessuna ricompensa divina.

Riconosceva di aver compiuto tutto quanto da solo, egli aveva semplicemente seguito il proprio cuore e si era lasciato indebolire da dolci parole.

«Mi trovo di nuovo qui, per chiederti di perdonarmi. Perdona tuo figlio, Padre, perdonami ti prego. Io non ho potere alcuno su di me, il mio corpo e la mia anima appartengono a te. Aiutami, Padre, a ritornare sulla retta via; aiutami a non cedere alla tentazione» pregava singhiozzando.

La moglie sedeva a qualche passo da lui, gli ripeteva all'orecchio, le volte in cui si era lasciato andare.
Alla sua sinistra invece, si trovava il padre, disgustato dagli atti compiuti dal figlio.
«Sei una vergogna, una completa vergogna. Ti ho istruito affinché tu diventassi un uomo vero, non un depravato» diceva.

«Mi dispiace, giuro che io ci sto provando, ci sto provando» rispose il figlio.

«Mi fai schifo, ti auguro le pene dell'inferno» continuò.
Loris sussultò dal terrore e cominciò a chieder perdono al genitore e clemenza alla moglie, ma entrambi restavano a guardarlo con occhi di giudizio e le loro ombre si facevano man mano sempre più grandi.

«Non so che cosa fare, mi sento così confuso, non so cosa fare! Lo voglio, ma allo stesso tempo vorrei essere gradito davanti a Dio. Padre, se voi solo foste qui, se foste ancora vivo, nulla di tutto ciò mi sarebbe successo!»

Si portò con le ginocchia sul pavimento e annegò nelle proprie lacrime, pianse come non mai, bagnando le punte delle scarpe del mancato genitore.

«Papà?» ma la voce di quest'ultimo si fece giovane e chiara, simile a quella di un fanciullo. Loris erse lo sguardo, si asciugò il volto e si trovò di fronte a William.
Egli era tornato dalla casa di Adric, era giunto all'ingresso trovando la porta aperta. Si era preoccupato, ma sentendo il pianto del padre, era entrato senza esitare.

L'uomo singhiozzò e cercò di pretendere di non essere devastato.

«Che cosa è successo?» domandò il ragazzo, confuso nel vedere il genitore a terra a versar lacrime.
Loris non sapeva come replicare, nemmeno a lui era chiaro quel che stava succedendo.

«Va tutto bene?» domandò William, ma Loris ancora non rispose, facendo sorgere maggiori dubbi nella testa del ragazzo.
«Papà?» si chinò e cercò il volto suo sotto quella lunga chioma di capelli. Quando lo trovò, il ragazzo mise da parte il rancore e si avvicinò, posò giù lo zaino e si piegò sulle ginocchia dinanzi all'uomo.

«Papi?» si faceva debole ogni talvolta che vedeva il padre piangere, le sue lacrime chiamavano le sue.
«Pa, perché piangi?» domandò con voce tremante.
Lo abbracciò teneramente e cercò di consolarlo come poteva.
«Ti ho sentito dire che temi di andare all'inferno, giusto? Tra noi due quello che ci andrà sicuramente, sono io. Ma tu no di certo, sei così devoto e favorevole a Dio. Perché mai ci dovresti andare?» chiese, la sua domanda spezzò in mille l'animo di Loris, consapevole di non essere più quell'uomo retto e devoto.
William iniziò dunque a imitare le carezze e le parole compiute dal padre quando deve consolarlo, credendo che ciò avrebbe funzionare.

«Shh, sono qui, non temere. Vedrai che tutto andrà bene» disse.
Loris riconobbe quelle parole e si placò, erano le stesse che la madre gli diceva quando triste o arrabbiato.
Ricambiò l'abbraccio e di lasciò coccolare dal suo bambino. Lo amava così tanto, gli voleva molto bene. Era contento che fosse tornato, temeva che si sarebbe assentato per mesi, e invece erano trascorsi solo due giorni.

Dopo un bagno di amare lacrime, Loris si fece una tiepida doccia, per rinfrescarsi e pensare. Mentre si trovava dentro la cabina, suo figlio si spazzolava i denti davanti il lavabo. Indossava il slip e canottiera, ai piedi portava un paio d'infradito blu, sottratti dal padre una volta che questo era entrato sotto la doccia.
Spazzolava i denti sopra e sotto, giocava ad accumulare più schiuma in bocca possibile, per poi spuntarla tutta quanta.

Aveva la pelle linda e profumata di mandorla, seminata di baci lasciati dal compagno, essi erano ricordi su cui avrebbe meditato la notte.

«Non posso continuare ad aspettarti.
So che stai ancora esitando, non piangere per me, perché troverò la mia strada.
Ti sveglierai un giorno, ma sarà troppo tardi...»

canticchiava a bocca piena un brano della celebre e giovane Madonna, l'uomo restò ad ascoltare il suo canto mentre in uno stato d'ipnosi, assalito da soffiate di pensieri della notte precedente.

Comparivano immagini di un uomo di pelle chiara e dai lunghi capelli color rame, presso il corpo di un altro. Si baciavano, le loro mani si conoscevano e i loro sguardi restavano uniti. Si amavano davvero, bramavano di fare sesso fino allo sfinimento, fino al sorgere del sole.

Loris sentiva ancora le proprie gambe molto deboli, i suoi fianchi sembravano ardere e le sue membra eran simili a stoffe logorate.
Il pensiero di essere stato copulato così forte, lo fece quasi delirare di meraviglia.
Si domandava come Gavriel si fosse mosso sopra di lui, quante volte si fossero baciati e parlati.

Finito di usare il bagno, padre e figlio si recarono in cucina dove poter consumare il pasto del pomeriggio.
Loris, poiché non in vena di cucinare, preparò dei semplici sandwiches a base di pollo, beacon, uova e rucola.
William si gustava il proprio panino assieme a un bicchiere di succo di mirtillo rosso, nonché suo preferito.

«I genitori di Adric ti salutano» disse il ragazzo, sfilando via dal panino una fetta di pollo.
Loris non rispose, l'antipatia che serbava verso quel ragazzo era grande e non riusciva a comprendere come suo figlio ne fosse attratto.
Erano entrambi l'opposto dell'altro, parevano non completarsi, anzi, sembrano destinati alla contesa.

Inoltre suo figlio ne era innamorato nonostante la vita che il padre gli aveva tramandato, William era a conoscenza delle conseguenze riservate per coloro che si univano ad altri uomini, ma sembrava non importargliene affatto.
Loris non riusciva affatto a capirlo, voleva comprendere i pensieri del figlio.

«Nonostante tutti gl'insegnamenti biblici, i rimproveri e le punizioni. Nonostante tutto ciò che ho fatto per impedirti e cambiarti, tu hai continuato ad amare Adric. Perché? Perché lo ami così tanto? Credi all'inferno, allora perché rischiare?» chiese.

William sospese la fetta di pollo prospetto la sua bocca, dopo aver udito la domanda del padre però, la posò giù sul piatto e rispose.
Non si era preparato a quella domanda, era stato colto improvvisamente, tuttavia aveva una risposta già pronta.

«Anche se amare te fosse stato un peccato, lo avrei fatto»

Il cuore del genitore di scaldò, le parole del figlio lo fecero quasi sorridere.
Non immaginava tale risposta, nondimeno, pensò che fosse più facile dirlo che farlo. Dopotutto nessuno conosceva il dolore delle fiamme eterne.

«Parli così perché non hai idea di come sia bruciare in eterno, una sofferenza continua che non osi immaginare» disse.

Calò lo sguardo verso il proprio piatto, ancora completamente pieno. Non aveva osato nemmeno toccare l'angolo del panino, neppure una briciola.
«Vorrei tornare indietro nel tempo, e non aver mai conosciuto tua madre» pronunciò con dispiacere.
«Però, se non lo avessi fatto, non avrei avuto te. Ma se non avessi avuto te, ora non sarei qui a rimproverarti ogni volta e non sarei qui a lamentarmi del fatto che tu sia... quello che sei. Sarei rimasto un uomo solo»

Mentre scandiva la voce del suo cuore afflitto, la sua mente venne rapita dalle memorie del passato. Voci, abbracci, carezze, saluti e risate. Cocci di giorni indimenticabili, donati dall'esistenza del suo unigenito figlio.
La sua sottile voce acuta, le sue corsette per le stanze dalla casa, le sue opere artistiche sulle pareti e i suoi disegni realizzati con i pastelli; erano perle che tuttora Loris serbava dentro di sé.

Ricordava di come lo teneva in braccio, di come lo istruiva a leggere le lettere e i nomi e di come gli mostrava ad allacciare i lacci delle scarpe.

Era un bambino giocoso, il ritratto dell'innocenza, della spensieratezza e della gioia. Amava apprendere e imitare il genitore, adorava seguirlo aggrappandosi alla sua gamba. Per lui ogni ora era fatta per giocare, quando il sole si coricava, egli pretendeva che tutti restassero svegli assieme a lui.

I suoi sorrisi, i suoi capricci e le strilla.
Come poteva rinunciare a tutto quello? Come poteva tornare indietro e cambiare il passato?
Non si perdonò per aver concepito tale pensiero, non riusciva a credere di averlo veramente considerato.
William era il suo mondo, non lo avrebbe mai cambiato per nulla.

«No... Non cambierei nulla della mia vita» disse.
«Avere te, è stato il mio regalo più bello, William»

L'afflizione e la tristezza da parte della moglie, era stato un sacrificio. Se non per lei, egli non avrebbe mai avuto William al suo fianco.

Riconobbe che per amare bisognava soffrire un po', comprese le parole del figlio e l'affetto che nutriva verso Adric. La paura dell'inferno non poteva spaventarlo, perché chi amava non poteva avere paura. Proprio come diceva il testo sacro, nel primo Giovanni.
"Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell'amore" Loris conosceva il versetto a memoria.

Loris amava Gavriel, questo non poteva negarlo, ma amava anche molto Dio, il suo creatore. Dunque pensò che per continuare ad amarlo è dimostrargli il proprio amore, avrebbe dovuto soffrire.
Non per tanto, l'amore verso un uomo non lo avrebbe condannato, dunque era libero di poter amare sentimentalmente Gavriel con tutto il proprio cuore. Ed era più che certo, nel più profondo della sua anima, che Gavriel avrebbe accettato di restare al suo fianco spiritualmente.

Fiorì un tenero sorriso tra le sue guance chiare, il figlio lo guardò con curiosità e si domandò da che cosa fosse stato colto il genitore.
Quest'ultimo riacquistò l'appetito, prese una fetta del sandwich e lo addentò con piacere. William non aveva mai visto suo padre, gustarsi un semplice panino con così tanta passione.

Pensò che fosse l'effetto delle sue parole, tuttavia, era estraneo a ciò che stava succedendo dentro il corpo del padre.

«Stai bene?» chiese.
Ma Loris non fu capace di rispondere, al contrario, si alzò dalla sedia e si avvicinò al ragazzo.
William lo guardò confuso, mentre raccolto tra le braccia dell'uomo, e premuto fortemente al suo petto.

«Tu non hai idea, di quanto io ti ami» singhiozzò accarezzando suo figlio.
«Invece sì che lo so...» rispose William, sempre più confuso.
Non aveva mai visto suo padre così, solo da ubriaco.

«No, non lo sai. Non lo sai, io morirei per te, darei la mia vita per te, ucciderei se fosse neccessario»

William si sentì soffocato, suo padre sembrava volerlo assorbire dentro di sé.
«Certo, pure io...» rispose guardando il proprio piatto ancora bello caldo, si sarebbe raffreddato se suo padre avesse iniziato uno di quei lunghissimi discorsi strappalacrime.
Ciononostante, gli mancava essere coccolato. Loris non era solito a farlo, non era solito a farlo da lucido.

«Grazie, grazie Will...»

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