23.

Si risvegliò tra le lenzuola, terso in un bagno di sudore e letizia. Con il palato candito di miele e la carne realizzata.
Soffiava delicata e furtiva una flebile arietta dalla finestra della stanza, le dune delle lenzuola chiare ricoprivano i loro corpi nudi.

Aveva preso una scelta che lo avrebbe condotto tra i rovi e i carboni accesi, una decisione presa in un momento fragile e di conflitto, alterato dal fascino della serpe.
Aveva mangiato dal frutto proibito senza l'occasione di poter dire di "no", si era abbandonato al peccato e all'efferatezza.

Era stata a dir poco un notte meravigliosa, intensa e proibita.
Al suo risveglio si ritrovò con le lacrime agli occhi, stava annegando nel rimorso, era dolcemente pentito. Ciononostante, voleva rifarlo tutto da capo.

Gavriel si svegliò poco dopo di lui, ebbe un risveglio romantico, la prima cosa che gli occhi suoi videro fu la candida schiena dell'amato.

«Sei sveglio?» chiese.

Loris si voltò e lo guardò.
«Grazie, grazie per essere qui» disse Gavriel.
«Avevo paura di svegliarmi da solo, come quel giorno. Ma menomale sei qui. Ho amato ogni secondo di ieri notte, soprattutto quando siamo entrati in camera. La macchina era davvero scomoda»

«Non mi sento più il collo, la prossima volta non mi sciolga i capelli, me li ha stretti troppo forte» lamentò Loris.
«Scusa, sarò più cauto. Promesso»

Momenti dopo, i due uomini si recarono presso il lussuoso bagno dove potersi rinfrescare.
Loris si trovava dentro la cabina della doccia, con la testa sotto il soffione d'acqua a riflettere. E mentre solcava smarrito nei propri pensieri, Gavriel,  senza annunciare il suo arrivo all'amato, si fece furtivamente vicino. Loris si accorse di non traversi più da solo nella cabina, ma oramai era  troppo tardi per poter chiedere della privacy.
Gavriel si avventò su di lui con un bacio dietro il collo, Loris sussultò e cercò di voltarsi, solo per ritrovarsi improvvisamente premuto contro le gelide e umide piastrelle della parete.

«Questo è il mio sapone preferito, cocco e mandorle» dichiarò Gavriel scorrendo le mani lungo la pelle liscia e profumata del compagno, e dopo una lunga e infinita serie di baci sulla schiena, Gavriel si chinò, e condusse la lingua laddove il sole non aveva mai conosciuto Loris.

Il pittore si lasciò sfuggire un trepido singhiozzo debolmente trattenuto, unì le ginocchia e cercò di farsi forza, ma la lingua di Gavriel era assai abile e non c'era modo di resistere.

«A che pensavi?» domandò in un momento di pausa, Loris gemette, e si voltò leggermente per poter rispondere.

«Stavo pensando di tornare a prendere mio figlio... anche se sono ancora arrabbiato, sento la sua mancanza» 
Gavriel annuì, ma prima di poter replicare, curiosò in lui, scoprendogli l'orifizio nascosto in mezzo le sue tonde natiche rosee.
Loris venne letteralmente baciato da una soffiata d'aria fresca, sentiva le gocce d'acqua farsi liberamente strada in lui, solleticandolo proprio in quel punto.
Gavriel avvicinò le dita, e come se stesse cercando di raggiungere l'ultimo grumo di marmellata sul fondo del barattolo, si addentrò nella carne del suo compagno.
Loris gemette sollazzato di piacere, poiché toccato nel punto perfetto. Non c'era nulla a cui poteva aggrapparsi e perciò, dopo pochi istanti, si ritrovò con le ginocchia sul tappeto antiscivolo della doccia a recuperare l'aria che gli mancava.
Gavriel lo colse tra le sue braccia e lo baciò.

«Posso accompagnarti?» chiese.
«Se per lei non è un problema, a me farebbe piacere» rispose a stento Loris.
Gavriel lo baciò e lo accarezzò lungo i capelli bagnati. Oramai la barriera di formalità tra di loro era stata abbattuta, Loris non era più tenuto a rivolgersi rispettosamente a Gavriel, ora che avevano visto tutto di uno e dell'altro, si trovavano sullo stesso piano.

«Loris, ora puoi chiamarmi con il mio nome» disse Gavriel.
«Anzi, puoi chiamarsi in qualsiasi maniera tu voglia. Amore, tesoro, caro, Gavri o anche babe»
«Babe mi piace, sì, babe» rispose lui. Gavriel se ne rallegrò e promise che avrebbe fatto lo stesso.
«Va bene, babe»

Si fece pomeriggio, i due dopo un'abbondante colazione, salirono in auto e guidarono fuori dalla città fino in campagna, dove le case e i negozi venivan di meno e si godeva di una chiara vista dei campi e fucine.

Capirono di starsi avvicinando quando iniziò a ergersi l'aroma di fieno e cavallo, la strada si fece più turbolenta e stretta, ma tuttavia meno piena. Comparirono cartelli di avvertenza, era solito che qualche mucca si fermasse al centro della corsia.

Arrivati a destinazione, Gavriel parcheggiò l'auto ai margini dello scricchioloso sentiero, accanto la pendente buchetta della posta e la vecchia staccionata.
Sceso dall'auto con addosso le scarpe meno adatte Gavriel allontanò qualche gallina scorrazzante nei dintorni, prestò attenzione ovunque mettesse piede per evitare colli di feci, cacciò via le mosche che lo tormentavano e si lamentò del pungente odore di concime e fieno.

«Hai punito tuo figlio facendolo venire a lavorare in fattoria?» domandò ironico.

«È qui dove sono cresciuto, benvenuto a casa mia» mostrò con orgoglio la sede dei suoi ricordi, la casetta oltre l'orticello serbava memorie della sua fanciullezza.
«Se vuoi ti attendo qui, tu vai pure a prendere tuo figlio» suggerì Gavriel, tornando a cercar riparo all'interno dell'auto.

Loris approvò e camminò lungo il sentiero diretto la casetta. Il profumo di latte ed erba cresceva assieme a quello del piumaggio e degli zoccoli dei cavalli, alcuni svegli e altri dormienti nella stalla.
Era cambiato poco da come se lo ricordava, niente era quasi cambiato, la nonna aveva preservato lo stato di molte cose per custodire i ricordi.

Avanzando sereno, udì in lontananza la grassa risata del figlio, susseguita da strilla e parole. Non lo aveva mai sentito sbellicarsi così forte dalle risate, pensò con piacere che stesse giocando con la nonna. Ma quando intravide quest'ultima dalle finestre della casetta in legno, egli titubò e si preoccupò.
William non si trovava in compagnia della nonna, era qualcun altro la ragione della sua risata.
Loris si apprestò a seguire subito la voce del ragazzo, timoroso che si trovasse in pericolo tra le braccia di un estraneo.
La voce lo condusse dentro il pollaio, dove trovò subito il figlio circondato dalle galline e i pulcini, tutti affamati in attesa di ricevere il mais. Il giovane indossava un grembiulino chiaro nel quale teneva i chicchi, tentava di spargerli ma i pennuti erano troppi da sfamare.
Aveva appollaiati sui capelli due pulcini, sulle spalle pure e anche sopra le scarpe. Ridacchiava dal leggero solletico provocato dal piumaggio e i pizzicotti di questi, a pochi passi da lui rideva anche lo zio Loren, giunto dalla città una volta saputo che il nipote si trovava con la nonna.

«Sembri Cenerentola» sorrise divertito. Il ragazzo cercò di disciplinare le galline ma inutilmente, queste agitavano le ali e chioccavano assieme i proprio piccoli che pigolavano.

Loris ribollì di rabbia quando vide suo fratello farsi vicino al figlio, guardò le sue mani tendersi verso il ragazzo con un espressione losca e minacciosa dipinta sul volto.
Colto di furia, entrò dentro il pollaio e alzò la voce contro l'uomo, facendo spaventare il pollame e i due stessi.
William si sorprese di vedere il genitore lì, e dalla maniera in cui era conciato, trovò il tutto quanto buffo. Loren invece si distò dal nipote, timoroso della reazione del fratello.

«Che diavolo stai facendo?» sbraitò contro di lui. Loren guardò il ragazzo è dichiarò di star semplicemente giocando.
«Ciao papà, sei tornato a prendermi?» salutò il figlio.
Loris lo privò dei pulcini che aveva in testa e lo scosse da tutti quei chicchi e le piume che gli erano rimasti addosso, sembrava un contadino dentro quella camicetta a scacchi e quei corti pantaloncini blu.

«Ti avevo detto che a mio figlio tu non ti ci devi assolutamente avvicinare!» Sbraitò additando il fratello.
«È mio nipote, non sono un estraneo» rispose Loren, per nulla incline a torcere un solo capello al ragazzo.

«Lo sei e come, vieni e vai quando e come vuoi come un fottuto disgraziato senza tetto! Non sei nient'altro che un drogato, ho visto cosa volevi fare a mio figlio!»

Ma Loris aveva inteso male le azioni del fratello, egli non intendeva proprio di ferirlo, voleva solo togliergli di dosso il grembiulino giusto per fare cambio.
Tuttavia, Loren si lasciò offendere da quelle acre parole e reagì violentemente avventandosi sul fratello maggiore. Loris, non sospettando che Loren volesse attaccarlo, non riuscì a prevenire l'aggressione e si ritrovò improvvisamente a terra tra il mais e la paglia.

William assistì terrorizzato, guardò impotente i due fratelli azzuffarsi come bambini alzando polveroni di terra.
«Zio basta, gli fai male, basta!»
Tentò di porsi in mezzo a loro ma invano, i due erano così trasportati a baruffare che non prestarono attenzione al ragazzo.
C'erano molti oggetti pericolosi tra cui pale e forconi dentro quel pollaio, William temeva che presto uno dei due avrebbe ferito l'altro con uno di questi arnesi.
Così uscì di corsa e chiamò la nonna, solo lei sarebbe riuscita a dividere i due fratelli.

«Nonna! Nonna vieni subito! Nonna!»

Le sue urla raggiunsero la casetta e l'auto parcheggiata davanti l'orticello, quando la vide William si allarmò, non la conosceva e pensò trattarsi di un portavoce del comune, giunto per sottrarre il terreno.

«Nonna! Nonna!»

La donna uscì lesta di casa con un panno tra le mani e la gonna sporca di sugo, vedendo il nipote correre agitato verso il portico la fece preoccupare.
«Che succede?» domandò.
Il ragazzo le colse il polso e la guidò dritta al pollaio dove stava avvenendo il conflitto «I tuoi figli si stanno picchiando!» disse.
La donna raccolse la gonna, mollò il ragazzo e si precipitò in fretta e furia verso il pollaio.
Gavriel guardò il tutto a bordo dell'auto, era molto confuso e decise di dare una sbirciata.
Quando scese dal veicolo, il ragazzo lo fulminò con uno sguardo minaccioso e diffidente, lo scambiò per un compratore avaro e incurante, pronto a trattare solo per sottrarre ciò che non era suo di proprietà e fatica.

«Chi è lei?»
Domandò.

L'uomo si fece coraggio e attraversò il breve tratto di terreno per avvicinarsi al giovane, era chiaro che non fosse mai stato in campagna, le mosche e i moscerini sembravano già ostili verso il suo arrivo e l'aroma di terra e grano lo investirono.
«Che cosa vuole? Il terreno? La fattoria? Gli animali? Se è giunto qui per questo allora ha solo sprecato benzina, mia nonna non venderà mai il suo terreno. La terra su cui si trovano i suoi prestigiosi mocassini placcati in oro, è stata coltivata con il sudore della mia famiglia. Perciò si rimbocchi le maniche e faccia ritorno dalla scatola da cui è venuto, ha per caso visto qualche cartello di vendita qui?»

Gavriel restò di stucco, non era la prima volta che incontrava il figlio di Loris, ma l'ultima volta che lo aveva visto egli era solo un bambino di quattro anni con ancora il vizio del ciuccio.

Stava per presentarsi quando dal pollaio giunsero le striglia della madre, i due si fecero curiosi e camminarono verso la struttura.

«Siete vergognosi! Alla vostra età vi pare questo il modo di discutere? Ma chi vi ha cresciuti? Razza di somari selvaggi!» i due figli si trovavano uno di fronte all'altro, divisi solo la dalla madre che si trovava in mezzo per prevenire qualsiasi schiaffo.

«Perché hai lasciato mio figlio con quello?» domandò Loris.

Aveva i capelli disordinati e gli abiti sporchi di polvere, gli occhiali erano leggermente storti poiché rotti sull'ala destra e sul mento riportava un lieve graffio.
Loren invece aveva segni di morsi sul braccio, perdeva sangue dal naso e anche i suoi capelli erano in disordine.

«Stavo preparando il pranzo, gli avevo chiesto di raccogliermi della verdura e di dare da mangiare al bestiame» rispose la madre. Il figlio corse tra le braccia del padre e lo pregò di non fare del male allo zio.

«Puttaniere, la prossima volta che ti vedrò a un passo dal mio bambino, giuro che ti ammazzo male!» disse accarezzando dolcemente il capo del ragazzo.
Egli detestava le contese, specialmente in quelle dove suo padre era coinvolto. Loris lo tranquillizzò addolcendo il tono e accarezzandolo in volto.

«Datti una sciacquata e prepara le tue cose» gli disse.

Il giovane fece come chiesto e lasciò il pollaio per avviarsi verso casa, abbandonando i quattro adulti lì dentro.

«Loris, ascolta, mi dispiace un sacco per quello che ho fatto. Ma sono trascorsi anni, lei non c'è più perciò siamo sulla stessa barca. Non permettere a mio nipote di odiarmi» disse il fratello, addolorato per quello che aveva fatto in passato. Ma Loris non era mai riuscito a perdonarlo, lo detestava prima e ora.

«William ti odia già. Non avrai mai il mio perdono, né la mia approvazione» disse.
«Sono tuo fratello, non puoi continuare a trascurarmi così» supplicò.
Gavriel guardò Loris, addolorato per le parole del fratello che chiedeva perdono. Era genuinamente dispiaciuto, era scritto sul suo volto che gli faceva male.
Ma Loris lo guardò con occhi di sdegno, come aveva sempre fatto, e gli disse testualmente con arroganza.
«Io non ho fratelli»
Loren lo guardò affranto, gli voleva molto bene e lui stesso non si perdonava per ciò che aveva fatto.
«Loris, ti sta chiedendo scusa» sussurrò Gavriel.
«Che si scusi per sé stesso» ribatté l'uomo.

Infine uscì dal pollaio e tornò davanti all'auto, Gavriel lo seguì e madre e figlio rimasero dentro la cascina.
Gavriel cercò di far ragionare il compagno, anche se ignaro dell'odio che quest'ultimo serbava per il fratello.

«Tuo fratello è esattamente la copia di te, siete paurosamente identici, non è incredibile?» disse scherzosamente.
«Vero? Per questo ci chiamano gemelli» rispose Loris.

William uscì dalla casetta della nonna con la sacca e lo zaino, pronto per fare ritorno a casa. Raggiunse il padre, che si trovava assieme a Gavriel davanti all'auto.
Si fece confuso nel vederli uno accanto all'altro, conosceva l'uomo, ma non si ricordava di lui.

«Will, ti presento il signor Heinrich» disse Loris.
William guardò il giovane uomo, e s'imbarazzò di quanto detto prima.
«Scusi per i mocassini, le stanno bene» disse computo.
«Mocassini?» chiese Loris.
«Prima mi ha confuso per un compratore, ma tranquillo, non fa niente» disse Gavriel avvicinandosi al ragazzo e tendendogli la mano, William la strinse e si ripresentò.
«Sei ancora bassetto» ridacchiò.
«Sono più alto di molti altri miei coetanei» rispose alquanto offeso, non godeva di molta altezza e ne era consapevole, difatti, odiava essere basso e mentire sul fatto che in realtà fosse più alto rispetto ad altri suoi compagni.

«Tranquillo, anche io ero molto basso alla tua età, compiuti i sedici anni però la vita mi ha dato così tanti calci nel culo che sono arrivato dove sono ora» rispose.

Loris ridette della battuta e la mascella di William cadde leggermente. Era da tempo che non vedeva il padre ridere per una battuta, anzi, si era dimenticato com'era il suo volto quando sorridente.
Era sicuramente un miraggio, qualcuno gli avrà lanciato un incantesimo.
«Avanti sali in macchina» disse.

«Ci porta a casa?» chiese William aprendo il portello posteriore.
«Potremmo andare a prenderci un gelato e stare un po' al parco» suggerì Gavriel.
Padre e figlio si guardarono, William amava il gelato e gli piaceva molto andare al parco, guardò il padre in cerca di approvazione e quest'ultimo accettò.
«Va bene, perché no?»
William si rallegrò e salì a bordo del veicolo.
«Grazie signor Heinrich» disse.
L'uomo gli sorrise e guardò il suo amato, Loris ricambiò il sorriso ma si concentrò ad allacciarsi la cintura. Non desiderava che il figlio lo vedesse cadere per Gavriel, dopotutto, avevano avuto solo due avventure insieme, non si considerava suo amato.

Guidarono fino alla città e si fermarono a prendere un gelato, infine oziarono presso un grazioso parchetto pubblico che godeva di fontanelle e ponti. Scorrazzavano bambini e conigli, era raduno di giovanotti e amati, il gazebo al centro del prato attirava molta gente.
«Papà, laggiù ci sono i cigni, vado a vederli più da vicino» disse il figlio, l'uomo guardò lo stagno in cui nuotavano i cigni.
«Certo, ma fai attenzione, non li toccare» gli disse.
«Va bene»
Il ragazzo consegnò il cono al padre, allontanò e si unì al gruppetto di bambini attorno allo stagno per gettare pagnotte ai cigni.
«Il mio gelato al pistacchio è pessimo, non ci andrò più a quella gelateria»

Si lamentò Gavriel.
Loris guardò la pallina di gelato colare lungo le sue dita, per un attimo pensò di aiutarlo a pulirsi, ma si trattenne e pretese di non essersene accorto.

"E se provassi a leccarlo? Giammai, che sto pensando?" pensava vergognoso di sé.
«Sediamo in panchina» disse Gavriel, e così fecero. Camminarono lungo i sassi che componevano il sentiero e trovata una panchina libera si sedettero vicini, così vicini, che il le loro spalle si toccavano e se si fossero anche solo voltati uno verso l'altro, i loro occhi si sarebbero incontrati.

«Che piacevole giornata, sono felice di starla trascorrendo con te» dichiarò.
Loris sorrise e finì il gelato del figlio.
«Sei così bello quando lo fai»
«Quando mangio?» chiese Loris, Gavriel rise e si occupò di pulire dal labbro del compagno una briciola di pane.
«No, quando sorridi» disse.
«Me lo ha già detto»
«Loris, smettila di darmi del "lei". Ormai è solo Gavriel per te»

L'uomo si avvicinò tentò di baciarlo in guancia, ma Loris si distò e si lasciò distrarre dal figlio.
«Devo buttare un occhio su mio figlio» disse.
«Come vuoi» rispose Gavriel.
Calò il silenzio tra i due, non restò che un sospiro e il fruscio della chioma sopra le loro teste, seguito dalle risate dei bambini e gli starnazzi delle papere. Il sole accarezzava le loro pelli e soffiava una leggerissima arietta piacevole che trasportava polline e un profumo stagnante.

«Come hai scoperto che tuo fratello aveva una relazione con tua moglie?» domandò Gavriel.

Loris sospirò e cennò un sorriso.
«È successo tutto così in fretta, sembrava la scena di un film» disse. Ma poi ricordò, e l'umore suo si alterò. Rimembrò con dispiacere quel giorno, era un sabato come tanti e si avvicinava il giorno del loro anniversario.

«Mio figlio era anche presente, aveva solo tre anni» sospirò.
«Ha visto qualcosa?»
«No, era troppo piccolo per capire. Mia moglie accoglieva mio fratello in casa e per lui non c'era niente di male, dopotutto è lo zio»

Gavriel provò grande dispiacere per l'amato, non poteva credere che qualcuno avesse potuto tradirlo in quella maniera, non se lo meritava.

«Io non ti tradirei mai» gli disse.
«Dovrebbe essere illegale tradire il proprio partner, io non ne sarei capace, non potrei»

Loris sorrise e si fece rosso, tutte quelle promesse l'ornavano di maestà, si sentiva come un uovo trasportato sul cucchiaio. Non credeva alle sue sdolcinate parole di zucchero, ma ebbe fede guardandolo negli occhi.

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