21.
«Padre ti prego, perdonami, perdona tuo figlio perché ho peccato! Perdonami perché ho peccato contro di te! Perdonami per il mio peccato, lavami da esso, purificami con il sangue di tuo figlio, gettalo nelle fondamenta del mare, allontanalo da me!»
Graffiava la propria pelle, strofinava lungo se stesso le sacre scritture, gli sorse in mente l'idea di mangiarsi le pagine, di masticarle e purificarsi.
Rinchiuso nella serra in giardino tra le pianticelle e i fiori, pregando per il perdono e piangendo disperato.
Gavriel si era svegliato e ritrovato solo nella stanza di Loris, con i ricordi di una magnifica notte e il dolce sulla lingua. Si eran coricati a notte fonda, uno con il capo posato sul petto dell'altro, a fissare lo stesso lampadario e meditando su ciò che avevano fatto con le loro membra.
Tuttavia, non trovando Loris da nessuna parte in casa, decise di chiamarlo al telefono.
Quest'ultimo però ignorò immediatamente la chiamata e riprese a pregare.
«Digiunerò, offrirò olocausti e ti tormenterò finché non avrò avuto il tuo perdono» immerso tra lacrime e dolore, sentiva il proprio corpo putrido e la gola sporca.
Non si capacitava di comprendere quel che era successo, non poteva davvero averlo fatto.
Si era lasciato sodomizzare da un uomo, egli era ceduto il proprio corpo alla perversità, commettendo atti impuri con il suo prossimo.
Non era convinto che Dio lo avrebbe perdonato, si era giocato il posto in paradiso per una banale fiamma che si era riaccesa dopo anni.
«Loris! Loris, dove sei?»
Gavriel esplorò tutta la casa, dal bagno alla camera del figlio.
Quando poi entrò nello studio dell'artista, si lasciò distrarre dal disordine e la varietà di tele.
«Interessante»
C'erano colori ovunque posasse lo sguardo, teli chiari, pezzi di giornale, acrilici e barattoli. Si respirava una stagione autunnale, pareva di stare dentro un museo d'arte.
Ma sebbene fosse una stanza intrigante, l'uomo non aveva tempo per guardare le opere.
Continuò dunque nella ricerca, cercò Loris ovunque, ma non sapendo che possedesse anche una serra dietro casa, non pensò di uscire in giardino ed evocare il nome suo.
Alla fine, dopo aver passato a pettine ogni stanza, si rassegnò.
Accumulò sdegno e rancore, il suo cuore si fece pesante e nutrì avversità.
Era stata la sua prima notte di sesso e avrebbe voluto svegliarsi tra le braccia del suo primo amore, e poiché non era andata come desiderava, si rivestì, si sistemò e uscì dalla casa.
Loris lo sbirciava dall'angolo dell'abitazione, lo guardò salire sulla propria auto e sparire lungo la via del quartiere.
«Signor Anderson, va tutto bene?»
Chiese la vicina, cogliendo Loris di sorpresa, furtivamente appoggiato alle mura di casa.
«Buon giorno signora Redshank, sì va tutto bene, e lei?» rispose atteggiandosi in maniera opposta al suo animo, le sue mani fremevano e il cuor suo palpitava agitato contro il petto.
«Chi era quel bell'uomo? Ha passato la notte da te, è per caso un parente?» domandò.
«È una conoscenza» rispose con incertezza, la curiosità della vicina lo disturbava, non era tenuto a rivelarle tutto, così sospirò e se ne andò senza aggiungere altro.
Lasciò la donna appesa al dubbio, ella sospettò che ci fosse altro oltre una semplice conoscenza.
Nelle ore più tarde era solita a irrigare le piante o a spegnere la lanterna sul portico, mentre se ne stava fuori in vestaglia e pantofole, aveva udito dei rumori giungere dall'abitazione del vicino.
Si era trattenuta dall'indagare, solo perché suo marito la stava attendendo in camera, ma in cuor suo sapeva che i suoi non erano solo futili sospetti.
Loris rientrò in casa e si gettò sotto la doccia, si lavò furiosamente, recitando salmi e rivolgendo preghiere all'Altissimo. Il pentimento lo stava lentamente divorando, sfregava la spugna convinto che avrebbe lavato via la muffa tra le sue viscere.
Ma per quanto forte si lavava, niente sembrava pulirlo.
Una parte di Gavriel era dentro di lui, lo sentiva, lo accarezzava, gli sussurrava all'orecchio, soffiava sulla sua pelle. La sua tenera voce profonda coccolava le sue orecchie, le sue mani scorrevano lungo il suo corpo.
Lo sentiva entrare e uscire, percepiva il calore del suo petto dietro la schiena e il suo respiro sopra il collo.
«Ti amo» gli diceva.
«Ti ho sempre amato, Loris»
Loris aveva dimenticato il significato di quelle due parole, non concepiva più l'amore tra due anime unite dal fato.
"Che cosa mi è successo?"
Cadde in un mulinello disastroso, sentiva il corpo sotto sopra, quasi agganciato al nulla totale. Pervaso di delusione, sconforto, indecenza e rimpianto. Piangeva, singhiozzava, terse di lacrime il cuscinetto del divano e rimembrò con amarezza i baci e le carezze ricevute nella notte precedente.
Ma piangere non avrebbe purificato il suo corpo, niente poteva far scorrere il tempo indietro, il danno era già stato compiuto. Tutto ciò che poteva fare era prevenire per evitare che riaccadesse, nulla doveva consentire al fato di riunirli in quella maniera, lui e Gavriel, dal canto suo, non erano nient'altro che nord e ovest; coste terrene divise l'una dall'altra da un fiume. Non dovevano esserci bussole o ponti che avrebbero potuti guidarli al corpo di uno e l'altro, Loris era il pittore e Gavriel il finanziatore, così era e così doveva restare.
Loris si ricompose, si asciugò il volto dalle lacrime, si cambiò abiti e uscì di casa.
Camminò con grinta e decisione verso la propria auto, una volta a bordo, guidò recitando nel proprio cuore, tutto ciò che avrebbe detto in presenza dell'uomo.
"Sarò diretto nel mio parlare e schietto nel fare, non guarderò né lampadari né pavimento"
Pensava rigorosamente risoluto e fedele nelle sue parole, ma mentre meditava si quanto dire, i risultati di quella fatidica notte si fecero acuti.
L'uomo venne colto da una pungente doglia, al risveglio l'aveva semplicemente ignorato, ma ora si era fatto ancora più sonoro.
Era scomodo sedersi sul sedile, quel fastidio gli avrebbe ricordato in ogni minuto, le ore di passione consumate presso la camera da letto.
Il viaggio si rivelò un vero martirio, le sue gambe sembravano voler cedere sui pedali del veicolo e gli era difficile rimanere composto.
Ma si presentò alla dimora del signor Heinrich come chi era sceso dal letto con le spezie in mano, sereno e privo di pensieri.
Cercò di camminare senza mostrare fragilità e incertezza nei passi, nascose con curanza le lividure sotto le maniche corte della maglia e si spostò i capelli attorno il corpo.
Quando Genna lo accolse all'ingresso, egli si trattenne al centro della sala come un suddito al cospetto di un imperiale.
«Il signor Heinrich è in casa?» domandò.
La donna era già al corrente di tutto, ma pretese di non sapere niente. Il suo padrone aveva fatto ritorno con gli occhi tersi di lacrime e l'umore avvilito, era venuto da lei piangendo come un bambino, narrando di come si fosse coricato sereno e ricolmo di gioia, solo per sopportare un risveglio amaro.
«Certo, egli è appena uscito dalla doccia, ora lo informo subito della sua presenza» disse salendo per le scale.
Loris attese, ma la fitta al ventre lo costrinse a cercare una sedia su cui sedersi.
Ma non c'era poltrona o sgabello su cui rilassarsi, avrebbe dovuto sopportarlo e patirlo fino all'arrivo dell'uomo.
Soffiò e fece alcuni passi in giro per la sala, ammirò le tende e il cortile attraverso le grandi vetrate. Custodì il personale prendersi cura delle aiuole e dell'auto del signore, la lavavano come lo scudiero del re, trattandola cautamente con esperienza.
C'era profumo di sapone in quella grande sala, la luce del lampadario era una beffa allo splendore del sole, i cui raggi irrompevano con generosità lungo il levigato pavimento a scacchiera. Oltre il profumo c'era anche il suono, il ticchettio di un lontano pendolo picchiava profondo per colmare la quiete, per non far rammentare il luogo a una tomba. Era piacevole e accorciava l'attesa, Loris aspettò l'arrivo di Gavriel in compagnia dei suoni e i profumi, nelle profondità dei suoi miriadi di pensieri.
Sudava leggermente, eppure la sala era fresca di menta e limone, le finestre la mattina venivano aperte per far arieggiare l'aria naturale. Chi risiedeva dentro quelle pareti era estraneo al sudore, i domestici godevano sia della brezza portata dai colli, sia della freschezza sprigionata dalla costosissima aria condizionata.
«Mi volevi?»
Irruppe grave la voce accentuata di delusione.
«Signor Heinrich, buongiorno» Loris si voltò verso di lui senza candore di contesa, non era nel suo piano uscire da quella casa con frustrazione e rabbia, preferiva affrontare la questione con maturità.
Ma Gavriel alla sola veduta di Loris, venne assalito di cordoglio.
«È stato abbastanza maleducato da parte tua sparire così» Pronunciò.
Genna fece cenno di concordo, anch'ella si sentiva altamente indignata.
Camminava cinto alla vita con un bianco asciugamano, lungo le scale tappezzate di rosso vino. Aveva il corpo lindo e lo si notava subito, emanava una fragranza di mandorle, cocco e aloe. Al contrario di Loris, il quale nonostante un lungo bagno, si sentiva ancora marcio.
«Suppongo che tu sia qui per rivolgermi le tue scuse» proseguì sostando sopra uno degli ultimi gradini. La sua ombra restò distesa alle sue spalle, quella di Loris invece si ritirò per non subire alcuna berlina.
«Ciò che è successo è stato un grosso errore, un errore madornale che io non avrei mai e poi mai dovuto fare. Assolutamente. Non ne parli con nessuno, per favore, ne vale della mia vita» dichiarò accertato, era esattamente quello che aveva avuto in mente di dirgli.
Gavriel erse gli occhi e pensò con le dita sopra il mento al giorno seguente. Qualcosa non gli tornava, la faccenda si stava facendo buffa dal suo punto di vista, e il suo cenno di sorriso confuse Loris.
«Strano, io stavo per andarmene, sei stato tu a chiamarmi e chiedermi di restare. Inoltre, tu mi hai fatto capire che lo volevi, di conseguenza non mi sono tirato indietro»
Loris lo interpretò come un'accusa infondata, si adirò e giustificò.
«Sono semplicemente caduto in tentazione. Non doveva succedere, io mi sono solo lasciato trasportare dalle sue parole»
Tuttavia, pur dichiarando di essere ceduto ai desideri della carne, Gavriel non riusciva ancora a trovare un senso a tutto ciò.
«Parole che tuttavia a te facevano piacere, visto che mi hai pregato di continuare. Loris, ascoltami bene, non voglio essere scortese...»
Proseguì lungo gli ultimi gradini che lo separavano da Loris, gli si avvicinò minatorio ma tra l'ira e il disincanto c'era anche l'aroma di sapone.
Loris, sentendosi quasi minacciato dal cambio d'espressione di Gavriel, fece un passo indietro.
«... ma sento che mi stai prendendo per il culo. Perché mi manchi di rispetto?» disse l'uomo.
Loris non capì, tuttavia restò a capo teso e le labbra serrate tra loro.
Sembrava un bambino rimproverato dal genitore, teneva le mani impegnate a grattarsi la pelle attorno le unghie e seminava il pavimento con un timido sguardo fuggitivo.
«Cosa ti dà il diritto di farlo?»
Il tono di Gavriel lo scosse di brividi, non lo aveva mai visto e sentito così. Credeva di trovarsi di fronte un'altra persona.
«Tu mi hai teso la corda, sei stato tu a invitarmi a casa tua, tu mi hai chiesto di restare e sempre tu mi hai guidato fino in camera tua. Avevi una scelta davanti e l'hai presa, perciò non ti permettere di venire qui, a casa mia, con quella faccia solo per dirmi stronzate!»
Loris venne scosso da quel tono così autoritario e abbattuto, fece un altro passo indietro e si riguardò.
«Io...» balbettò.
Gavriel lo guardò stizzito, pronostico di sentirlo discolparsi e chieder perdono. Lo amava ancora, provava ancora molto affetto verso Loris, ma in quel preciso momento era altamente adirato.
«Chiedo scusa» farfugliò.
«Prego?» rispose Gavriel serrando le braccia.
«Chiedo scusa» marcò Loris.
«Per cosa?» chiese.
Loris esitò e passò le mani lungo le gambe.
«Per averla mancata di rispetto» dichiarò fremendo leggermente.
"Ti concedo il mio perdono per l'amore che ho per te, non riesco a nutrire rancore nei tuoi confronti. Anche se mi hai abbandonato nel tuo letto, dopo una magnifica notte desiderata, il mio affetto non viene a meno".
Pensava l'uomo, per questo alleggerì il cuore e pose da parte l'orgoglio e la rabbia. Genna al suo posto non lo avrebbe tollerato, ma conoscendo il signor Heinrich, sapeva che lo avrebbe perdonato; egli aveva un cuore molto grande e pronto a perdonare il prossimo.
«Scuse accettate» pronunciò.
Loris si liberò di un peso, non credeva che si sarebbe trovato nella posizione del torto, era giunto convinto di porre fine al loro rapporto, ma Gavriel lo aveva colto alla sprovvista con quelle parole.
«Grazie, signore» disse.
L'uomo si avvicinò all'orecchio della cameriera e le sussurrò qualcosa, Loris restò fermo a pensare su quello che si fossero detti.
La cameriera annuì e salì al piano di sopra, ella si recò nella camera matrimoniale del signore e dal cassetto prese ciò che egli le aveva ordinato di portargli.
Quando fece ritorno, porse nel palmo della mano dell'uomo una piccola scatoletta nera infiocchettata con un nastro bianco.
Loris guardò curioso l'oggetto e si domandò cosa mai contenesse.
Gavriel gli si avvicinò e fece cenno di avvicinarsi.
Loris, sebbene un po' titubante, si fece vicino e guardò il signore aprire la scatoletta. Al suo interno c'era un piccolo cuscinetto chiaro con su sopra una graziosa collana d'argento, Gavriel la sollevò e ne mostrò la bellezza a Loris.
«Ieri l'ho vista in negozio momenti prima di uscire, e ho pensato subito a come ti sarebbe stata bene al collo»
Disse.
Loris rimase senza parole, non poteva credere a quanto sentito e visto, venne assalito dal senso di colpa e provò rimorso per aver abbandonato Gavriel la notte prima.
L'uomo si portò alle spalle di Loris, gli sollevò i capelli e gli fece indossare la collana.
Era una semplice sequela di piccoli cristalli, graziosa e fragile all'occhio, Loris non poteva immaginare quanto denaro avesse speso Gavriel per prenderla.
«Non doveva» disse fremente, ma Gavriel non considerava più quello che aveva fatto, aveva sempre trovato gran piacere nel fare regali al suo amato.
«Genna, stirami i vestiti per favore» ordinò alla cameriera, come pretesto per restare in compagnia con Loris, quest'ultima obbedì e concesse a entrambi gli uomini la presenza di uno e l'altro senza terzi.
Quando se ne andò, Gavriel calò gli occhi al collo ornato di cristalli del suo adorato. Bramava di sfiorargli il viso con una carezza ma si trattenne, non voleva andare in contro la sua religione.
«Ti ho fatto male ieri?» domandò.
«Solo un pochino, quando mi ha tirato i capelli, e...» Rispose Loris, ma non riuscì a finire il resto della frase.
Aveva patito abbastanza dolore all'inizio del rapporto, sentiva ancora bruciore e la schiena si lamentava a ogni suo movimento.
Gavriel non si trattenne, baciò il suo amato sulla fronte e lo guardò teneramente.
«Amici come prima? Disegnerai ancora per me?» chiese.
Loris accolse quel bacio e annuì.
«Per favore, quando vuoi e puoi, chiamami. Il mio numero ce l'hai, risponderò sempre alle tue chiamate e... se ti fa piacere, potremmo uscire insieme qualche volta» disse Gavriel.
«Mi farò sentire» rispose Loris.
Ed ecco che quello stormo nello stomaco tornò improvviso, serrò rigidamente le labbra per non permettere a nessuna farfalla di volare via. Ma erano così tante che tenere la bocca chiusa non era abbastanza.
Uscì dalla dimora lasciando Gavriel solo in quella sala, e quando giunse alla sua auto, sprigionò l'intero stormo che agitava dentro di lui.
Non aveva mai visto così tante farfalle in vita sua, ognuna di un colore diverso, svolazzavano dentro il veicolo impedendogli di mettere in moto. Il loro fruscio, profumo e presenza rendeva la realtà surreale, la sua vista si alterò di sfumature e ricordi, iniziò a sudare e a perdere il tatto con ciò che era vero da quello che era frutto della sua immaginazione.
"Sarà la mia punizione? Dio è forse furioso?" pensava ansioso.
Abbassò il finestrino permettendo a tutte le farfalle di volare fuori e liberare l'auto, erano davvero tante, forse più di cento.
Volarono lontane nella piantagione che circondava la dimora del signor Heinrich, e scomparvero dietro le vette degli alberi e il chiarore del cielo, lasciando Loris con fascino e confusione.
Doveva di certo essere sintomo di una malattia, forse Gavriel lo aveva contagiato di un malanno che interessava il cuore e lo stomaco, e che giocava con la fantasia e i sentimenti. Di conseguenza Loris pensò di guidare fino alla farmacia più vicina dove lamentarsi di questi dolori, forse delle pastiglie lo avrebbero aiutato.
Quando si presentò nella farmacia, si rivolse alla donna dietro il bancone con una lista di sintomi.
«Avete medicine contro le palpitazioni e il male allo stomaco? Ultimamente mi sento molto ambiguo, estraneo a ciò che mi sta attorno. Escono farfalle dal mio stomaco e la mia testa è carica di pensieri su cui mai ho meditato»
La donna restò ad ascoltare con scetticismo le bizzarre parole dell'uomo, guardò il suo collega vicino ed esitò confusa.
«Ha provato a rivolgersi prima al suo medico?» chiese.
Loris a quel punto si rese conto che la medicina non poteva aiutarlo, non era malato, non era affetto da nessun malanno. Forse era semplicemente confuso, l'unico che poteva aiutarlo era la preghiera.
Salutò la farmacista e uscì dalla struttura seguito da sguardi dubbiosi, il personale condivise l'accaduto come qualcosa d'insolito e fuori dalla loro portata.
"Perché mi sento così alterato? Che cosa mi hanno fatto i suoi baci?"
Gavriel era il motivo per cui si sentiva così, le sue labbra, le sue mani e i suoi occhi verde prateria avevano provocato disordine nel suo corpo. Ora Loris era nient'altro che un filo sbattuto dal vento, barcollava con lo stomaco che fremeva di battiti d'ali e le membra dilaniate come un panno logorato a metà. La destra era pari alla sinistra, il nero si mescolava con il bianco e il cielo toccava il mare. Tutto ciò che alla logica era proibito, diventò concesso con il potere della fantasia.
Il bacio di un uomo, le carezze di un ateo e l'amore dato da un innamorato; diventarono lecite nel lessico di Loris.
Nonostante il lungo e intenso conflitto, alla fine accolse quel sentimento arcano composto d'impulsi e rischi, si lasciò abbracciare dal brivido e la bramosia dell'azzardo.
Era l'amore quello che stava fluendo dentro di lui, la cura e distruzione di ogni bene e male. Ma nel caso suo, non sapeva a cosa l'avrebbe indotto l'affetto per un uomo. Poteva essere la morte, la vergogna e l'ira di Dio.
Ma poiché l'amore era cieco, i suoi occhi sovvertirono la sua innocenza e cadde distante dal ragionamento.
Si accasciò all'auto privo di forza e ricolmo di bagliore, tirò fuori dalla tasca il telefono e compose il numero di Gavriel.
Nell'attesa che rispondesse, gingillò con la collana che gli aveva dato e pensò al pensiero che c'era dietro.
Quando l'uomo rispose, Loris sussultò meravigliato.
«La disturbo?» domandò.
«No assolutamente, dimmi tutto» disse Gavriel, sorpreso di quella improvvisa chiamata. Loris si fece coraggio e riuscì a scandire le parole.
«Conosco un bel posto dove cucinano molto bene, preparano piatti italiani, io e mio figlio ci andiamo spesso a mangiare. Mi stavo chiedendo se a lei farebbe piacere venire con me ad assaggiare qualcosa»
«È per caso un appuntamento?» sorrise Gavriel.
«No, non lo è. Solo un uscita tra amici, proprio come ha detto lei» balbettò, ma sapeva di star mentendo a sé stesso, sapeva che in fondo lo aveva fatto solo per vederlo.
Gavriel accettò l'invito con grande piacere.
«Va bene, a stasera dunque»
Quando riattaccò, Loris si sentì sollevato da terra.
"Ho chiesto a un uomo di uscire?"
Non poteva credere di averlo fatto, di aver chiesto a un uomo di uscire a cena con lui.
Sentiva il peso degli occhi di Dio su di lui, ma anche la gran voglia di fare sesso di nuovo con Gavriel.
Detestava ammetterlo ma gli era piaciuto ogni secondo di quel momento.
I baci, i morsi, le carezze e gli sguardi. Tutto.
Si fece così rosso da scottarsi da solo, iniziò a sudare per l'emozione e il suo cuore cominciò a processare tutto ciò che stava accadendo e quello che sarebbe accaduto in seguito.
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