2.

Sotto i rintocchi irrompenti delle campane, seguivano gli scalpiti delle suole di coloro che scendevano giù per la scalinata, diretti verso le proprie auto con gli animi sazi di sermoni e parabole.

Sognavano di pranzare assieme ai familiari, di trascorrere un sereno pomeriggio in compagnia dei cari e degli amici, a ponderare sulle sedie o a leggere un buon libro.

Loris d'altro canto si trattenne nella sala, in attesa che tutti i fedeli abbandonassero il luogo, per poter avvicinarsi al pastore.

Quando Daniel, il pastore, si trovò finalmente in compagnia di sé stesso, Loris intimò il figlio di attenderlo in auto.
«Posso andare direttamente a casa a piedi?» domandò titubante, sapeva l'esito che avrebbe ricevuto dal padre, difatti l'uomo si rifiutò e porgendogli le chiavi gli ordinò di chiudersi in auto.

Infine, si avvicinò al pastore e chiamò la sua attenzione su di sé.

«Come al solito il servizio è stato meraviglioso, le tue parole, pastore, mi entrano dritte al cuore e mi nutrono l'anima» disse l'uomo ammirando con fascino il pastore, lusingato di sentirsi dire tutto ciò.
«Comunque, se per te non è un problema, avrei il bisogno di parlarti un momento in stanza, se è possibile»

Dal sottile tono contenuto che Loris usava, l'uomo di Dio comprese che ciò che gli voleva dire era importante e deciso a serbarlo in segreto, così condusse Loris nel proprio studio dove avrebbero potuto discutere senza terzi.

Lo studio del pastore era una piccola stanzetta rinfrescata da un piccolo ventilatore attaccato a una vecchia presa elettrica, le eliche sul lampadario erano rotte e la finestra se aperta in malomodo si sarebbe potuta guastare.
Era carina ma necessitava di una ristrutturazione, le crepe erano miserabilmente nascoste dietro a mobili e quadri, gli angoli sebbene spolverati profumavano di vecchie pagine.
Il pavimento era umido lungo i margini, e anche se lucidandolo ogni mattina, restava comunque una leggera brina di polvere.

«Allora, di che si tratta? Hai bisogno di favori? Preghiera? Consigli? Parlami figlio mio» chiese Daniel posandosi al margine della scrivania, unico mobile nuovo e robusto presente nella stanza. Su di essa c'erano posati dei fogli delle varie attività che si svolgevano nella struttura, pennarelli aperti, segnalibri e graffette.

Loris si lasciò leggermente distrarre dai numerosi elementi presenti su quel mobile e dai rumorosi fedeli lasciare la chiesa, credendo che a momenti avrebbe colto anche suo figlio in mezzo a loro. Infatti, era di lui che voleva parlare al pastore.

«Si tratta di mio figlio, lui sostiene di essere omosessuale, o almeno, temo abbia una crisi d'identità. Inoltre ha nuovamente pronunciato imprecazioni, egli non è solito a farlo, pastore» dichiarò.

«Sono sicuro che si tratti solo di una fase, i giovani d'oggi giorno vogliono fare sempre parte di un gregge pur di non trovarsi soli. Vogliono sentirsi accettati, non ti preoccupare, Loris» disse il pastore, che conosceva molto bene William e lo considerava un figlio modello, timido e molto riservato. Estraneo alle cose del mondo e devoto negli affari del Signore.

«Certo» sospirò Loris poco convinto.

«Continua a pregare per lui, veglialo e cerca di tenerlo lontano da qualsiasi influenza. Il diavolo non opera mai in prima persona, sii prudente con chi si aggira, anche se a scuola non puoi controllarlo, accertati che le persone di cui si circonda non siano testimoni del diavolo»
Continuò il pastore.

«William non ha amici, conosce solo Adric, e lui lo conosco è un ragazzo per bene» rispose il padre con tono quasi fiero.
Suo figlio non aveva una larga vasta di conoscenze, in pochi a scuola erano al corrente della sua esistenza, poiché sempre silente e solo, veniva notato solo quando chiamato durante l'appello.

Adric invece, era stato capace di notarlo quando nessuno lo aveva fatto.

Veniva da una famiglia benestante, un architetto e una casalinga, Loris li conosceva entrambi e aveva stretto una particolare amicizia con la madre di questo poiché entrambi uniti dalla passione per l'arte.

«Portalo qui, fallo partecipare al gruppo giovani, loro sapranno come aiutarlo. Oppure puoi farlo venire qui da me, potremmo parlare insieme qualche volta» suggerì l'uomo di fede.

Loris la trovò un'ottima idea, si chiese come mai non gli fosse venuto in mente prima.
«Certo, potrebbe funzionare»

«Nel frattempo tu continua a pregare per lui. Noi ci dimentichiamo che al mondo non mettiamo copie di noi stessi, ma soggetti con propri pensieri e idee. I fanciulli dell'età di William sono molto fragili e basta poco per corromperli, sii prudente Loris, guidalo per la retta via»

«Certamente, questo io l'ho sempre fatto» rispose il genitore, la corona che portava sul capo era pesante, doveva metterci impegno e sudore se non voleva fallire come figura paterna.

«Non ne dubito, sei davvero un buon padre e si vede»
Detto ciò il pastore invitò il seguace di lasciare lo studio, quest'ultimo uscì con animo sollevato e raggiunse il figlio seduto in auto come ordinato.

«Andiamo a mangiare adesso?» chiese, lo stomaco suo non aveva cessato di brontolare dall'inizio del servizio, sognava di sedersi a tavola del "Mezzanotte" e gustarsi un piatto abbondante del suo pasto preferito.

Sua madre era di origini italiane, ella era cresciuta tra le padelle e i fornelli, suo padre le aveva tramandato il proprio sapere anche una volta emigrati a Toronto.
Quella donna possedeva la cucina, preparava piatti prelibati che facevano leccare i baffi a chiunque.
La sua specialità erano le lasagne, William le adorava, non si stancava mai di mangiarle.

Il ristorante a cui erano ora diretti non le cucinava come la madre, ma si avvicinavano, e il loro sapore sul palato del ragazzo lo trascinava a quei pomeriggi in terrazza.

«Hai intenzione di ordinare lasagne? Non vorresti provare qualcosa di diverso dal solito?» chiese Loris.
Il figlio scosse il capo e dichiarò di voler ordinare lo stesso piatto.

«Va bene. Comunque, dalla domenica prossima inizierai a prendere parte al gruppo giovani, ho già parlato con Daniel» disse l'uomo.

«Ma io non voglio...» balbettò il figlio, già al corrente del fatto che la sua opposizione non sarebbe contata niente.

«Non è questione di volere o meno, è una cosa che devi fare e basta. Il tuo linguaggio di ieri mi ha turbato molto, lo sai che è abominevole pronunciare certe parole con la stessa bocca con cui si loda il Signore. Inoltre questa storia di essere gay o no non mi piace, mio figlio non è un depravato»

«Papà, quello è un oltraggio» ribatté offeso il ragazzo, ma ciò suscitò sospetti nel padre.

«Perché prendi le difese di questa comunità di efferati?» chiese, ma il giovane non sapeva come rispondere. Erano suoi fratelli e sorelle, egli ne faceva parte, qualsiasi oltraggio contro loro colpiva anche lui.

«William la mia pazienza è corta, non tenderla troppo» disse il padre, e dacché già irrequieto, decise di privare il figlio di quella piccola gioia.
Non si sarebbero più recati al ristorante, bensì a casa.
La brusca inversione lo fece intendere per chiaro al ragazzo, che con gran delusione soffiò e appoggiò la testa sul finestrino.

«Domani hai la verifica di storia, sei pronto?» chiese l'uomo.
«Sì» borbottò il figlio.
«Sì, quanto? Tanto o abbastanza?» replicò, ma il ragazzo non rispose, o meglio, trattenne la risposta tra i denti.
Dunque il padre tese il braccio verso di lui e lo solleticò sotto il mento.
«Sorridimi» disse scherzosamente, ma William non aveva ragioni per cui sorridere.
Era stato offeso e privato di una gioia, inoltre dalla Domenica prossima gli aspettava l'incontro con i giovani membri della chiesa.

«Li ho avuti anch'io quindici anni, so che non è facile» disse Loris, erano quasi giunti a casa, ma rallentò affinché potesse guadagnare abbastanza tempo e parlare al figlio.
«Ma vedi William, spesso non è facile perché siamo noi stessi a renderci la vita complicata. Non permettiamo ai più grandi di aiutarci, sei in una fase dove credi di sapere più degli altri, una fase dove senti di essere un dio. Solo una volta preso il posto dei tuoi genitori o dei tuoi insegnanti capirai, ma ora sei troppo piccolo»

Nella mente sua intanto, scorrevano gli episodi di percosse e rimproveri. Lo schiocco della cinghia che percuoteva le braghe sotto le preghiere della madre, erano sere difficili da scordare, ma erano ciò che lo avevano reso responsabile e maturo.
Ringraziava suo padre per averlo istruito in quella maniera e disprezzava sia la madre che il fratello per aver avuto idee e pensieri diversi, li considerava pigri, degli sfaticati senza propositivo nella vita.

Una volta giunti a casa, il ragazzo prese subito posto a tavola.
Era molto affamato e desiderava mangiare il più presto possibile, l'uomo vedendolo in quello stato, si apprestò a mettersi ai fornelli per preparare qualcosa di lesto e buono.

Gli servì un piatto di patate lesse e pollo, non ciò che il ragazzo desiderava, ma si accontentò lo stesso.

«La tua insegnante ha inserito i voti della verifica di geografia della scorsa settimana» disse l'uomo guardando la schermata del proprio telefono, aveva il registro elettronico del figlio sempre a portata di mano e non gli sfuggiva mai niente.

«Quanto ho preso?» domandò il ragazzo, sicuro di aver preso un buon voto.
E difatti, se non per una piccola svista, lo scolaro si era meritato una "B" piena, che purtroppo non soddisfò affatto le aspettative del padre.

«Potevi fare di meglio» brontolò.

Egli aveva imposto al figlio l'obbiettivo di ottenere sempre il massimo dei voti, non tanto per vanto o per ipocrisia, ma allo scopo d'impressionare il prossimo.
Loris amava suo figlio, e voleva sempre sentirsi orgoglioso di lui.

«Dopo pranzo ripassa tutto, io devo andare dal signor Heinrich»
«Non mangi?»
Chiese vedendo l'uomo affreatto ad andarsene.
«Al ritorno, credevo che l'appuntamento si sarebbe tenuto nel tardo pomeriggio, ma riguardando il telefono mi sono ricordato che in realtà era dieci minuti fa. Sarò di ritorno tra qualche ora, non entrare nel mio studio»

Disse avviandosi verso la porta di casa. Con sé aveva i propri utensili e gli oggetti personali.
«Se dovesse arrivare qualche lettera da firmare, non aprire. Se bussa la vicina, ignorala, e se bussa il corriere gli dici di lasciare il pacco fuori. Non mettere piede fuori casa e se squilla il telefono non rispondere, al mio ritorno mi dirai chi ha chiamato»

«Lo so papà, me lo dici sempre» soffiò il ragazzo.
«So che lo sai, ma te lo ripeto» rispose il padre, dopodiché si avvicinò al proprio figlio e lo baciò.
«Ciao, tesoro»
Disse.
«Ciao papà, salutami Gavriel»

Loris lasciò la casa, e mentre camminava lesto verso l'auto, pregò per la protezione del figlio.
Masticò tra le labbra il salmo centoventuno, entrò in auto e sistemò la valigetta sul sedile del passeggero.

Ma tra una parola santa e l'altra, gli sfuggì un ringhio di frustrazione.

Mise in moto e bruscamente uscì dal proprio quartiere.
La vicina, sentendo la violenta sferzata della ruota, spostò la tenda di casa e fissò curiosa l'abitazione del signor Anderson.

Tribolava per quel vedovo solitario, sempre per i fatti suoi e poco interagente con il mondo esterno. Uomini di mistero l'affascinavano, la rendevano debole.

Credeva che l'unica maniera di giungere all'uomo era mediante il figlio, una volta conquistata la fiducia di quest'ultimo, avrebbe ottenuto anche il padre.
"Colmerò il vuoto nel suo cuore, prenderò il posto di Clara. Dimostrerò di essere una madre perfetta"
Pensava.
Ella era ancora sposata, ma suo marito e lei stavano già svolgendo le pratiche del divorzio. Gli aveva confessato di essersi innamorata di un altro uomo, non aveva rivelato chi, ma entrambi erano rimasti d'accordo sul separarsi.

Loris nel mentre era ignaro delle attenzioni che riceveva dalla vicina, anzi, lui la odiava per le sue maniere evasive e per la sua voce acuta.
Inoltre non aveva tempo per le donne, credeva che non poteva amare due persone contemporaneamente. Suo figlio era al centro del suo universo, il suo tutto e per sempre. Nessuna donna avrebbe potuto mettersi in mezzo a loro, nessuna ne sarebbe mai stata degna.

L'uomo giunse al cancello dell'umile dimora del signor Heinrich con venti minuti di ritardo, si sorprese quando però gli venne concesso di entrare.
Credeva che sarebbe stato respinto o addirittura licenziato seduta stante con una chiamata.
Alla porta c'era la cameriera ad attenderlo, ella lo accompagnò lungo l'ingresso fino al salone.

Il signor Gavriel si fece trovare nella stessa blusa da notte color maggese, sotto di questa non aveva nulla.
Aveva il palmo lungo lo scorrimano e gli occhi rivolti verso Loris.

«Mi scusi per il ritardo signor Heinrich, mi ero dimenticato l'ora dell'appuntamento, credevo che...» ma il pittore venne interrotto dalla tenue voce elegante dell'uomo, profonda e limpida come l'acqua.

Si fermò lungo le scale presso il volto di un raggio di sole, il suo fascino spiccava divinamente sotto tutto quel brio e la cameriera ne fu accecata.
«Figurati, tanto prima o poi sapevo che saresti arrivato» disse, e proseguì per il piano di sopra.

«Continuiamo da dove abbiamo interrotto»

Il pittore e la sua opera, salirono nella stanza di sopra.
"Eden" lo chiamava Gavriel.
Era una sala spaziosa e fresca, il soffitto era una lucente vetrata che permetteva la completa veduta del cielo. Era un panorama che solo un uomo come Gavriel poteva permettersi, ma poiché abituato a tutto quel lusso, nulla lo impressionava più.

Era nato e cresciuto in un palazzo, nei suoi anni di fanciullezza aveva visto, vissuto e assaggiato. Ma ora, nei suoi quarant'anni ben portati, egli era affamato di novità, bramava di essere sorpreso, la pelle sua desiderava qualcosa d'intoccabile e nuovo.

Per un uomo con il conto sempre pieno, era facile poter ottenere tutto e alla svelta.
Ma c'era solo una cosa che ancora non era riuscito ad avere, ad assaggiare e provare.

Era una cosa a lui impossibile da comprendere, da studiare e toccare.
Non poteva comprare l'oro con l'oro, e Loris Anderson era la pepita che non era mai riuscito ad ottenere.

Gavriel ne era follemente innamorato.

Quando posava per lui si sentiva benedetto, invidiava con astio quei suoi attrezzi che teneva con cura e prestazione tra le dita.
Aveva provato a sedurlo con il proprio corpo da doriforo di Policleto, candendo la lingua di miele o invitandolo alla propria tavola.

Ma Loris era estraneo a quelle maniere, era sordo a quelle lusinghe e cieco a quei richiami.
Ma questo non faceva che far innamorare ancora di più Gavriel.
Non voleva ottenere il suo amore con la prepotenza, o facendo appello al proprio titolo. Voleva l'amore di Loris come un comune mortale, e non come il dio Zeus.

Poteva minacciarlo, rovinargli la carriera, farlo uccidere dai suoi uomini e vendere i suoi organi al mercato nero. Avrebbe corrotto poi le forze dell'ordine, il cadavere sarebbe stato cremato e il figlio sarebbe diventato orfano e testimone di due orribili eventi.

Aveva questo potere nello schiocco delle sue dita, ma si rifiutava di usarlo.

"Prima o poi, egli mi amerà" pensava convinto e fiero di sé, anche se ci sarebbero voluti anni, avrebbe pazientemente atteso.

«Ho finito»
Annunciò Loris.

Gavriel si coprì e si alzò dal divano, raggiunse il pittore e guardò l'opera terminata.
Era un vero incanto, una goduria per gli occhi.

«Accidenti, sono davvero impressionato. C'è un motivo se ho scelto te, Loris» disse l'uomo stringendo la spalla del pittore, quest'ultimo l'addocchiò con ribrezzo e fu tentato di respingerla.

«Tu hai un occhio particolare e una mano molto abile, riesci a farmi sentire un dio nei tuoi dipinti» disse guardando l'amato dritto negli occhi.
"Che occhi meravigliosi" pensava.
Loris aveva il cielo racchiuso nelle iridi, quello era il panorama che non smetteva mai d'impressionarlo.

Loris era disgustato dalla maniera in cui l'uomo lo fissava, si sentiva pesantemente premuto da quei occhi verde turchese.
"Perché mi sta così vicino?" si chiedeva.

Gavriel tirò fuori dalla tasca della blusa un pacchetto di sigarette, ne accese una e la porse a Loris.

«Sigaretta?»

Ma il pittore scosse il capo e gli rammentò di non essere un fumatore, Gavriel se lo dimenticava sempre.

«Il giorno del mio compleanno si avvicina, ci sarà molta gente alla mostra, non mi deludere» disse compiendo a seguito di alcuni tiri.
«Certo che no, l'ho mai delusa?» rispose Loris.

«Ti sto solo avvertendo, ci tengo molto a te, non voglio trovarmi costretto a rimpiazzarti, sarà come cercare una perla. Uomini come te io non ne conosco»
Loris percepì qualcosa di iniquo in quelle parole mielate, ma non disse nulla e fece finta di non covar niente.
«Questi sono davvero dei bei complimenti, signor Heinrich, ma non credo di essere poi così speciale. Sono solo un pittore»

«Sei il mio pittore» sottolineò soffiando poi il fumo, dopodiché gli fece notare i precedenti dipinti realizzati presenti sulle pareti della sala.

«Guarda che meraviglia»

«Sono solo acrilici usati con buona tecnica» rispose Loris, guardava le proprie opere con poca meraviglia, considerava quel che faceva come qualcosa di banale, bello solo all'occhio altrui o di chi incapace di prendere una matita in mano.

L'uomo sogghignò, gli si avvicinò e gli porse una busta contenente una gran moltitudine di banconote.
«Tieni» disse.

«Ma mi ha già pagato la scorsa volta, signore. Questo che cos'è?» domandò confuso guardando la grande somma di denaro.

«Un regalo» rispose Gavriel.
«Usali, facci quello che vuoi, danne anche un po' anche a tuo figlio»

Loris titubò, non soffriva di fame e non nutriva il timore di non arrivare a fine mese. Gavriel lo aveva viziato di così tanto denaro, che non sapeva più che farsene.

«Io non li posso accettare, sono troppi. Per dei semplici disegni?» ribatté porgendo indietro il pezzo di carta, ma l'uomo dagli occhi verdi, soffiò e trattené le mani riservate.

«Prendili» ordinò.
Voleva che Loris se li potesse godere, desiderava vederlo oziare sotto il sole.
Riteneva che avesse bisogno di una vacanza, quelle occhiaie scure immaginava essere risultato di una vita stressante.

Loris però non credeva di meritarseli, erano troppi per solo lui e suo figlio, sapeva che c'erano altre persone là fuori che ne avevano più bisogno.
"Li donerò" pensò, e infilò la busta nella tasca della camicia.
«La ringrazio» disse.

Graviel sorrise e si rallegrò nel vedere l'amato suo accettare il dono.

«Che cosa farai nei prossimi giorni?» chiese.

«Nulla di particolare, seguo mio figlio con la scuola, presto inizieranno le vacanze estive perciò ha bisogno d'impegnarsi»

«Avresti tempo per andare a prendere un caffè insieme? Oppure se vuoi potremmo andare a visitare la galleria d'arte a Ontario, può venire anche William se vuole» Gavriel tentò in tutti i modi per convincere Loris, ma come al solito quest'ultimo trovava una scusa per rifiutare.

«Il mio medico mi ha sconsigliato di bere caffè e i posti affollati non fanno molto per noi, grazie per il pensiero, ma purtroppo sono costretto a rifiutare»
Ciò fece torcere lo stomaco a Gavriel, oramai a corto di idee. Ma accettò il rifiuto e guardò oltre.

«Va bene, non ti preoccupare» rispose, dopodiché invocò il nome della sua cameriera.
«Genna!»
Quando la giovane donna si presentò nella stanza, il suo superiore le ordinò di accompagnare il pittore al cancello.

La donna eseguì la richiesta, intimò a Loris di seguirla alla porta. Quest'ultimo annuì, ma prima di lasciare l'Eden, si voltò per salutare l'uomo che posava per lui.

Gavriel, dacché ferito al cuore e nell'orgoglio, salutò a stento senza preoccuparsi di voltare il capo e guardare l'uomo che amava andarsene via.

Strozzò tra le dita la sigaretta e fumò dalle narici, tense gli occhi rigidamente dritti al proprio ritratto e pensò.
"Qual è la ragione di essere così bello, se poi non posso avere lui?"
Riconosceva di essere di bell'aspetto, nessun uomo si avvicinava al suo fascino. Eppure, Loris Anderson, non lo guardava nemmeno per incidente.
Non mostrava meraviglia, né alcun stupore. Quando veniva ritratto nudo, il corpo del pittore non reagiva, gli occhi restavano sempre concentrati sull'opera e la mente non sembrava lasciare la stanza.

"Che uomo di mistero" lo considerava.

"Che uomo arrogante" pensava Loris una volta salito sulla propria auto.
"Ho già capito che sei ricco, perché sbattermelo in faccia di continuo? Se hai i soldi per andare a vedere uno stupido museo, buon per te"

Arrivò a casa accompagnato da un'aria furibonda e frustrata, accecato dalla rabbia, non si accorse della presenza del vicino che lo stava salutando.
Entrò all'ingressò borbottando, sbatté la porta e si levò le scarpe.

Il figlio, vedendo il padre di cattivo umore, pensò di recarsi in salotto per accoglierlo.

«Ciao papà, che succede?» chiese, ma il padre anziché rispondere, domandò al figlio che cosa fosse la macchia scura che seguiva sopra la palpebra.

«È pennarello, mi sono macchiato» rispose William.

«Uff, quell'uomo mi dà su i nervi, è solo un narcisista ipocrita, vuole farsi notare continuando a darmi questi soldi extra. Mi ci pulisco con questi pezzi di carta, inoltre voleva portarmi a vedere un museo a Ontario, come se non ci fossi già stato due anni fa a mie spese» disse Loris sedendosi sulla poltrona.

«Allora perché proprio a te? Se vuole farsi davvero notare, donerebbe soldi un po' a chiunque» disse il figlio.

Ciò portò Loris a riflettere. Era vero, come mai proprio a lui?

Si domandò allora che cosa ci vedesse Gavriel in lui, forse temeva di perdere il suo pittore personale, come dichiarato d'altronde.

«Papà, la vicina ha bussato e suonato alla porta, l'ho ignorata ma mi ha visto dalla finestra» disse il figlio.

«Che voleva?» domandò Loris.

«Mi ha chiesto se volessi una crostata di mele che aveva preparato, io ho rifiutato ma lei ha continuato ad insistere. Non sapevo più come mandarla via così l'ho ignorata e basta. Se n'è andata via proprio tre minuti fa. Sai cosa? Io credo che tu le piaccia, chiede sempre di te»

Loris fece una smorfia e ci sorrise su.
"Per l'amor del cielo" sospirò.

Ma il ragazzo era più che convinto di quel che diceva, la loro vicina era innamorata pazza di suo padre e lo spruzzava da ogni poro.

«Sono in camera mia» disse Loris alzandosi e avviandosi già nel proprio rifugio.
Il figlio dichiarò di aver finito con lo studio, e chiese perciò se fosse libero di guardare la televisione.
Il padre, mentre saliva pesantemente le scale, si voltò e gli disse.

«Sì, va bene. Ma miraccomando, niente demenziali o roba varia»

"Televisione, nient'altro che una scatola ingravidata di menzogne e pagliacciate, falsa e manipolatrice. Rimbambisce e corrompe, semina desideri loschi o omicidi nella mente dei giovani, altera l'umore e il pensiero. Gioca con la testa e le parole, distorce la realtà e sopprime la fantasia" pensava Loris sulla televisione.

Se ne avevano una in casa, era solo per seguire le notizie del mattino o per guardare qualche vecchia cassetta. A William difatti, era permesso guardare solo quelle, cartoni animati a scopo informativo, con morali e insegnamenti per la vita quotidiana.

Mise sù la sua preferita "Furbo, il signor Volpe"

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